Un’altra Chiesa per quale Chiesa?
Paolo Farinella
Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo alcuni estratti dalla prefazione al libro di Valerio Gigante e Luca Kocci “La Chiesa di tutti”: esperienze ecclesiali di frontiera, gruppi di base, movimenti e comunità, preti e laici “non allineati” (Altreconomia, euro 14.00)
, prete
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Per ventisette anni la Chiesa cattolica è stata sottomessa a un papa-imperatore-di-Polonia che dietro il suo potente carisma umano, nascose il suo vero obiettivo del suo interminabile regno: annullare, citandolo all’infinito, il concilio ecumenico Vaticano II. Il papa imperatore non poteva accettare una Chiesa “spirituale”, cioè carismatica in ogni credente. Il suo ideale fu e restò il Medioevo, anzi la “Potenza” medievale, che riusciva anche a imporre la propria volontà “al braccio secolare” di chi si adattava al suo imperio per opportunità o timore. Parigi di ogni tempo e luogo val sempre bene una qualsiasi Messa.
Dopo il papa polacco, per otto anni, la Chiesa ha vissuto il “buio” dell’insipienza con il papato tedesco di Benedetto XVI che portò a compimento l’opera iniziata dal predecessore, di cui fu, per un quarto di secolo, il collaboratore principale nel ruolo decisivo di prefetto della Congregazione della fede, cioè del Sant’Uffizio di ieri e del Sant’Uffizio di oggi; non basta, infatti, cambiare un nome per mutare la natura delle cose. I due papi avrebbero dovuto conoscere l’insegnamento di Giustiniano, secondo cui, nomina sunt consequentia rerum (Istitutiones, II, 7,3). Un papa pauroso e introverso, dedito più al gattino e al pianoforte che alla complessità del mondo di cui aveva paura e della teologia, che egli riduceva solo a quella “romana”, non trovò soluzione migliore che rifugiarsi nel passato, nascondendosi tra le gonne di mamma-tradizione, ma solo quella ipostatizzata dal concilio di Trento in avanti e infallibilmente, cioè arrogantemente, definita nel concilio Vaticano I, pochi giorni prima di Porta Pia (1870). Per gli immaturi e gli indecisi, l’utero materno è sempre garanzia di calduccio e sicurezza appagante.
I due papi fornicarono con i gruppi autoreferenziali, tutti accomunati dall’intimismo misticheggiante in privato e dallo spirito affaristico in pubblico, e, – requisito essenziale – avversari acerrimi del Vaticano II, mettendo, di fatto, la Chiesa nelle loro mani: Opus Dei, Lefebvriani, Milites Christi, scismatici Anglicani e Neocatecumenali hanno avuto – tranne i Lefebvriani a cui però è stato solo promesso – il riconoscimento giuridico di “diocesi personali”, cioè di “chiesuole nella Chiesa”, con ampia facoltà di farsi una comunità a propria immagine e convenienza.
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Nel frattempo, “un’altra Chiesa” andava avanti senza più curarsi dei vescovi, più tesi a fare affari con i corrotti e i degenerati che a occuparsi della condizione della Chiesa.
Molti si resero conto di essere stati perseguitati e condannati per molto meno di quello che dicevano e facevano i lefebvriani, per cui si presero le libertà e l’autonomia di realizzare l’“ekklesìa” in senso opposto ad essi, pretendendo a voce alta il diritto sacrosanto di andare avanti e non indietro.
Perché ai tradizionalisti di qualsiasi stampo si stendono tappeti di accoglienza, mentre a chi vuole tentare vie nuove, forse inesplorate, ma certamente nella direzione del Regno di Dio si danno solo bastonate e condanne, senza nemmeno ascoltarli?
Tutti i teologi, religiosi e laici, della Teologia della Liberazione in America Latina, i rappresentanti di altri tentativi di incarnare il Vangelo nello specifico dei loro popoli furono condannati senza appello, addirittura cacciati dal ministero come appestati, ridotti allo stato laicale; ai laici fu tolta la “missio canonica”, furono cioè licenziati in tronco dall’insegnamento o da uffici ecclesiastici.
Chiunque non fosse allineato, succube, funzionale e totalmente sottomesso, fu condannato, in regime gretto di terrore per cui si ebbero vescovi, prelati e laici genuflessi. Spesso i laici battezzati
erano più clericali dei chierici. Tutti tacquero in pubblico, salvo riservarsi sussurri di disagio in privato. Tutti tenevano famiglia e carriera.
La “chiesa-struttura-di-peccato” ha sempre perseguitato chi voleva pensare con la propria testa e adeguarsi al Vangelo: don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani, don Zeno Saltini di Nomadelfia e padre Aldo Bergamaschi, padre David Maria Turoldo e padre Camillo de Piaz; Gustavo Gutierrez e Leonardo Boff, Marcella Althaus-Reid ed Elsa Tamez, Hugo Assmann e Marcelo Barros, Frei Betto ed Ernesto Cardenal, Ignacio Ellacuría e Jon Sobrino, Arturo Paoli e Giulio Girardi e molti altri – la lunga litania di uomini e donne, giusti e santi, potrebbe continuare all’indefinito – sono stati perseguitati ed emarginati in vita.
Ratzinger, con metodi da Sant’Uffizio, perseguitò, giudicò e condannò senza misericordia e senza possibilità di appello.
Il francescano Leonardo Boff, uno dei più fini teologi della liberazione, fu ridotto allo stato laicale senza nemmeno essere ascoltato, nonostante fosse difeso da due cardinali brasiliani di peso come Paulo Evaristo Arns di San Paolo e Aloísio Leo Arlindo Lorscheider di Aparecida. In Italia è nota la vicenda dell’abate Giovanni Franzoni, costretto anche lui alla riduzione allo stato laicale per essersi opposto all’ingerenza clericale pesante in occasione della legge sul divorzio, dichiarando pubblicamente che, al referendum abrogativo (1974), avrebbe votato per mantenere la legge e in difesa della laicità dello Stato.
Questa “altra Chiesa” ha per maggior difetto la frammentazione e la scarsa o inesistente collaborazione; che porta inevitabilmente a belle testimonianze “singole”, ma a una scarsa incidenza “politica”. Gruppi come Noi siamo Chiesa (sezione italiana), le Comunità di base, alcune parrocchie guidate da parroci illuminati, come don Mario Marchiori di Ronco di Cossato (BL), don Alessandro Santoro delle Piagge (FI), don Aldo Antonelli di Antrosano (AQ), le comunità terapeutiche come San Benedetto al Porto di Genova di don Andrea Gallo, movimenti come Beati i Costruttori di Pace di don Albino Bizzotto di Padova e tanti, tanti altri vivono in modo esemplare e spesso eroico, ma ognuno è ripiegato in sé e nella propria realtà senza un collegamento strutturato e organico tra loro per cui si finisce per avere solenni dichiarazioni separate, ma quasi mai un’azione congiunta e un programma compartecipato.
Ciò comporta una frammentazione anche di pensiero e vanifica gli sforzi perché ogni gruppo deve fare “tutto”, rischiando l’irrilevanza.
Questo fa comodo alla gerarchia che non vede alcun pericolo da questo versante, mentre sa che dall’altra parte, c’è organizzazione capillare: quando si muovono, i tradizionalisti, gli affossatori del Concilio, si presentano come una forza che si fa ascoltare e s’impone. Per questo i papi dialogano specialmente con costoro e cercano di adeguarsi ai loro desideri. Per onore del giusto e del vero, è necessario dire che i papi e le curie dialogano con costoro anche e soprattutto perché sono “in sintonia” con la loro teologia e molti anche con lo sp
irito anticonciliare e con la tragica fedeltà a tradizioni che scambiano per la Tradizione.
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Non si può dire che papa Francesco sia un papa rivoluzionario, né si può pretenderlo e forse nemmeno augurarlo: i due termini sono un ossimoro storico e teologico. Resta il fatto che i primi mesi di papa Francesco stanno rivelando un percorso opposto a quello dei due papi precedenti. Quelli andavano indietro, questo vuole andare avanti; quelli parlavano con il mondo, a condizione che il mondo riconoscesse la propria subalternità, questo nell’udienza ai giornalisti, di cui ho accennato sopra, evita di dare “l’apostolica benedizione”, per rispetto verso i non cattolici e i non credenti: “Vi avevo detto che vi avrei dato di cuore la mia benedizione. Molti di voi non appartengono alla Chiesa cattolica, altri non sono credenti. Di cuore imparto questa benedizione, nel silenzio, a ciascuno di voi, rispettando la coscienza di ciascuno, ma sapendo che ciascuno di voi è figlio di Dio”. Poi si china appena, nella sala si fa silenzio come la sera dell’elezione, a San Pietro” (Il Corriere della sera.it del 16-03-2013).
A questo punto una domanda è inevitabile: quale Chiesa emerge dai pronunciamenti dei singoli papi? È una Chiesa reale, come promana dalla rivelazione, oppure è “secondo il pensiero di ogni singolo papa”? Più in generale: può un solo papa definire la Chiesa e determinarne il cammino nella storia? I credenti devono ogni volta adattarsi alle visioni personali del papa “pro tempore” o devono pretendere che il papa sia fedele all’immagine e alla forma dell’“ekklesìa” come è pensato, immaginata e descritta nelle Scritture e nei Padri della Chiesa? La Chiesa imperiale di Giovanni Paolo II e quella tridentina di Benedetto XVI sono fuori del tempo e della storia e, infatti, sono morte con i loro autori, anche se papi, con l’unico risultato che hanno rallentato il cammino della stessa Chiesa. I papi non vogliono capire che non possono bloccare la Storia, perché non sono “dio” in terra e nemmeno sono capaci di contare i capelli che hanno in testa se non sono calvi (cf Mt 10,30)
(13 novembre 2013)
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