Ungheria, così si silenzia un giornale libero

Massimo Congiu


“La nostra voce indipendente è in pericolo, rischiamo la chiusura”, aveva detto Szabolcs Dull, direttore, fino a poco tempo fa, di index.hu, principale giornale online ungherese. L’allarme era stato lanciato dopo che il 50% delle quote della società editrice dell’organo di stampa era stato acquistato da un imprenditore vicino al primo ministro Viktor Orbán. Il licenziamento di Dull ha riproposto la problematica della libertà di stampa in Ungheria e ha avuto come conseguenza le dimissioni volontarie in massa dei redattori di index.hu, in segno di protesta, e una manifestazione promossa dal partito Momentum.

Soggetto politico nato centrista, di recente fondazione e caratterizzato da una composizione prevalentemente giovanile, Momentum proviene dalle mobilitazioni della società civile ed è molto attivo nelle iniziative di critica verso il governo. Attivo in questo senso anche Index che, almeno fino a poco tempo fa, risultava essere uno dei pochi giornali indipendenti del paese, un organo di informazione che, secondo diversi giornalisti ben lontani politicamente dalle posizioni dell’esecutivo, svolgeva un lavoro di qualità e rappresentava ossigeno per i sostenitori di un cambiamento concreto, per quanto assai difficile, all’interno del paese.

Come precedentemente accennato, la vicenda riporta in primo piano il problema della libertà di stampa nello Stato danubiano che è membro dell’Ue dal 2004. Nel 2012, due anni dopo il ritorno di Orbán al potere, è entrata in vigore la legge sulla stampa, prontamente definita dalle opposizioni “Legge bavaglio”, in quanto concepita e applicata per sottoporre il settore dell’informazione al controllo del governo. La sua entrata in vigore fa parte di un disegno che prevede l’estensione del potere di controllo dell’esecutivo un po’ su tutte le manifestazioni della vita pubblica del paese, a partire dai settori strategici, come appunto quello mediatico.

Chiaramente il sistema creato da Viktor Orbán nega che in Ungheria ci sia un problema a livello di libertà di stampa. Esso sostiene che l’accusa è stata formulata strumentalmente da quegli ambienti politici europei liberali che vogliono imporre la loro visione a tutti gli stati membri e sostengono le ingerenze dell’Ue negli affari di questi ultimi. Per i promotori della legge sulla stampa era ora di rimettere ordine in un settore in cui a loro avviso regnava il caos creato dai socialisti e dai loro alleati liberali.

Il governo Orbán nega di perseguire un piano teso a silenziare le voci dissenzienti e a mettere il bavaglio alla stampa, ma i dossier delle organizzazioni internazionali che si occupano dello stato di salute del settore non gli danno ragione.


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Nell’autunno del 2019, sei di esse, tra cui l’EFJ (Federazione dei Giornalisti Europei), l’RSF (Reporters Sans Frontières) e l’IPI (International Press Institute), hanno effettuato una visita a Budapest per verificare la situazione dal punto di vista della libertà di informazione in Ungheria. La loro conclusione è stata che il governo Orbán ha “sistematicamente demolito l’indipendenza, la libertà e il pluralismo dell’informazione, deteriorato la situazione del mercato editoriale e diviso la comunità dei giornalisti ungheresi, realizzando un controllo sui media senza precedenti in un paese dell’Ue”.

Risulta anche che il 78% dei quotidiani ungheresi è controllato dall’esecutivo; questi ultimi, secondo gli esperti, sono organi di propaganda e hanno una direzione centralizzata. Così, per gli esponenti delle organizzazioni internazionali che hanno studiato sul posto il caso ungherese, quanto da loro constatato sul posto contribuisce a giustificare pienamente la procedura relativa all’applicazione dell’Articolo 7 nei confronti del paese governato da Orbán.

Il precedente più illustre di questo clima esistente dal 2010 e peggiorato nel corso degli anni, è quello con al centro il Népszabadság, quotidiano storico che si era impegnato in una legittima opposizione al governo e che negli anni scorsi aveva pubblicato numerosi articoli di denuncia di casi di corruzione che vedevano coinvolti membri dell’esecutivo e funzionari della Banca nazionale. Attivo anche nella critica alle scelte politiche del governo Orbán, il Népszabadság ha cessato di esistere nell’autunno del 2016, ufficialmente per ragioni di natura economica. Determinante, ai fini del futuro di questo organo di stampa l’acquisizione, da parte di ambienti vicini al governo, della società editrice cui faceva capo. La vicenda di Index si inserisce in questa logica che invita a interrogarsi su quel che sta succedendo in Europa.

(29 luglio 2020)





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