Ungheria: i giornalisti temono il bavaglio

Massimo Congiu

Una delle misure di recente entrate in vigore in Ungheria e giustificate con la necessità di affrontare al meglio l’emergenza sanitaria dovuta al Covid 19, è quella che prevede da uno a cinque anni di detenzione per chi diffondesse notizie false. Questa, è in generale, il meccanismo che dà al primo ministro Viktor Orbán pieni poteri a tempo indeterminato e gli consente di governare per decreti, è oggetto di ampia critica da parte delle opposizioni interne e di nuove inquietudini, a livello europeo, per l’accentuarsi dell’autoritarismo che caratterizza l’esecutivo di Budapest.
Tornando alla misura specifica cui si è fatto riferimento in apertura di questo articolo, essa preoccupa i giornalisti, specie quelli non “allineati”, i quali temono che essa impedisca loro di dar luogo a un’informazione corretta e obiettiva su come vanno le cose in Ungheria in termini di contagio da Coronavirus. I medesimi hanno paura che, il fatto di svolgere coscienziosamente il loro lavoro e di raccontare la verità su questo argomento, li esponga facilmente alle ire del governo e a conseguenti noie di tipo giudiziario, se non addirittura a pene detentive. Le critiche rivolte alle nuove disposizioni e, nella fattispecie, a quella di cui ci stiamo occupando, hanno determinato la reazione di Zoltán Kovács, portavoce del premier, secondo il quale occorre intervenire nei confronti di quanti diffondano intenzionalmente informazioni “false e distorte” che potrebbero vanificare l’impegno del governo di proteggere la popolazione dal virus.
Esprimono preoccupazione i giornalisti indipendenti che spesso sono accusati dall’esecutivo di fare disinformazione per colpire direttamente Orbán. In una recente conferenza stampa alla presenza di giornalisti stranieri, il ministro della Giustizia Judit Varga ha affermato che la disposizione si è resa necessaria per contrastare campagne antigovernative basate su disinformazione e malafede e che riguarda tutti, giornalisti e non. I primi sostengono che la nuova misura viene già utilizzata per negare loro l’accesso alle informazioni e intimidirli. Quelli indipendenti affermano di non aspettarsi di certo arresti in massa, ma temono che il loro lavoro e, in generale, quello della categoria, vengano profondamente influenzati da questa stretta e conduca anche a meccanismi di autocensura. I filogovernativi sostengono che occorre sanzionare duramente i giornalisti impegnati a diffondere il panico e a screditare l’azione del governo.


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Citato da The Guardian, un giornalista ungherese ha affermato di non aver potuto seguire una pista su presunti casi di contagio in una scuola del paese in quanto nessuno era disposto a parlare con rappresentanti della stampa per paura di perdere il lavoro. Preside, insegnanti, genitori, medici e infermieri avrebbero preferito il silenzio per non esporsi a possibili ritorsioni. La misura si inserisce in un clima di inibizione della stampa opposta al sistema, instaurato ufficialmente nel gennaio del 2012 con l’entrata in vigore della legge definita “bavaglio” che ha portato alla creazione di un meccanismo di controllo del settore. A esso hanno contribuito successivi interventi del potere per silenziare le voci dissidenti.
Il caso più emblematico è quello della chiusura, nell’autunno del 2016, dello storico quotidiano d’opposizione Népszabadág, ufficialmente per motivi economici. Occorre sapere che il giornale si occupava spesso di casi di corruzione che vedevano coinvolti l’esecutivo o personaggi a esso vicini. Il rapporto redatto da sette organizzazioni internazionali che si occupano di giornalismo e libertà di stampa, tra esse Reporters sans frontières, in seguito ad una missione svolta in Ungheria l’anno scorso, sostiene che dal 2010 il governo Orbán “ha sistematicamente demolito l’indipendenza, la libertà e il pluralismo dell’informazione”.
Attualmente la stampa d’opposizione è ridotta, appaiono più libere le iniziative di giornali online che, a detta di diversi osservatori, offrono informazione di qualità. Il problema è nel loro non amplissimo bacino di lettori. I giornalisti ungheresi di fede contraria a quella dell’esecutivo fanno poi l’esempio dei piccoli centri dell’interno dove si guarda soprattutto la tv di Stato, dove al più si leggono fogli filogovernativi, dove spesso strade e muri si riempiono di manifesti propagandistici che indicano le conquiste del governo e i pericoli dovuti ai nemici della patria: George Soros, la tecnocrazia di Bruxelles, i migranti, tanto per menzionare quelli principali. E in una recente intervista radiofonica Orbán ha parlato di una rete gestita da Soros, autrice di attacchi alle nuove disposizioni di Budapest attraverso una serie di presunti suoi affiliati nei vertici Ue.
Il vice primo ministro Gergely Gulyás ha risposto alle critiche piovute sul suo governo e provenienti anche da fuori, parlando di “caccia alle streghe”. A suo avviso l’Ue dovrebbe occuparsi della diffusione del virus invece di attaccare l’Ungheria.

(9 aprile 2020)





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