Unità: diverso ma anche uguale

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di Renzo Butazzi

Non sono un lettore abituale di l’Unità, che leggevo di più quando era organo del PCI e facevo un po’ di diffusione volontaria. In questi ultimi anni, però, mi sembrava divenuta un buon giornale e non capisco in che cosa debba essere trasformata e perché. In questi giorni l’ho comperata ma le ragioni del cambiamento mi sono rimaste oscure.
Devo però ammettere che l’enciclica ai lettori ( del 26 agosto di Concita De Gregorio), mi ha colpito, pur non dicendo niente d’interessante. Anzi, forse anche questo è uno dei motivi per cui mi ha impressionato: così lunga e inutile in un’occasione tanto importante per il giornale e i lettori. Un tempo avremmo detto: quante colonne di piombo sprecate. Ma ci sono altre ragioni per dire che mi ha colpito.

Non capisco perché il nuovo Direttore esordisca dicendo di essere nata in un paese fantastico "di cui mi hanno insegnato ad essere fiera". Fiera di che? Tanto per dire, quando uccisero il giudice Borsellino ero in Francia in vacanza, e mi vergognavo molto di essere italiano. L’unico paese del quale sarei fiero se la fortuna mi avesse fatto nascere lì, è la Svizzera. Non ha mai mandato i suoi "figli" a morire in guerra ed è stata capace di far prosperare unite quattro comunità diverse. D’altronde se siamo fieri del proprio paese non si vede che bisogno c’è di rinnovare un giornale per contribuire a migliorarlo.

L’apologia dei tempi in cui De Gregorio è cresciuta, mi sembra stupefacente. Il ventennio successivo alla sua data di nascita è stato tutt’altro che deamicissiano. Hanno imperversato le Brigate Rosse, è stato ucciso Aldo Moro, si è dimesso un presidente della Repubblica, sono stati uccisi dalla mafia alcuni magistrati importanti e un generale dei carabinieri; ha vissuto sottotraccia l’organizzazione di Gladio ed è emerso il rischio antidemocratico della P2. Per non parlare dei grandi scioperi e delle manifestazioni, soprattutto dei metalmeccanici e degli studenti, che testimoniavano un certo disagio politico e sociale.
Quando il nuovo Direttore non era in tram, impegnato a cedere il posto agli anziani, o dai suoi insegnanti a ripassare le lezioni, cosa vedeva, cosa capiva della realtà del paese? Spero più di più di quello che ha scritto all’inizio dell’enciclica, se no che giornalista sarebbe divenuto?

Singolare l’affermazione che l’Unità "sarà un giornale diverso ma sarà sempre se stesso come capita, con gli anni, a ciascuno di noi". Che vuol dire? Somiglia tanto al tormentone veltroniano del "ma anche": diverso ma anche uguale. E per quanto riguarda "ciascuno di noi", se mi viene l’Alzheimer, se ho una crisi di misticismo o passo dalla sinistra estrema ai lib-lab, sarò un me stesso molto diverso da prima o no?

Infine, quando De Gregorio delinea le caratteristiche che dovrà avere il giornale, "diverso ma uguale", rifà capolino un vezzo veltroniano: l’ecumenismo. Il giornale sarà aperto a tutti, avrà bisogno di tutti, parlerà di tutto e di più, come si dice oggi.
E procederà per questa nuova strada universalistica "in coerenza con la memoria e in sintonia con l’avvenire". Come farà ad essere in sintonia con l’avvenire se il Direttore non possiede un globo di vetro dove leggerlo, nessuno lo sa. Forse voleva dire in sintonia con il presente, come deve essere qualunque giornale, anche uno diverso ma uguale.
Povera vecchia gestione dell’Unità. A leggere gli obiettivi che il nuovo Direttore si prefigge per il quotidiano rinnovato, si direbbe che i predecessori dirigessero un ciclostilato di quartiere.
Mi pareva che Concita De Gregoro fosse una giornalista brillante e spiritosa, aliena dallo stile un po’ melodrammatico di questa enciclica. Che gliel’abbia suggerita Walter Veltroni?

(30 agosto 2008)



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