Val Susa: gli intellettuali scendano in campo
In Val Susa si è ormai giunti ad uno scontro duro, che non sembra più ammettere dialogo, e forse sul dialogo non si è mai fondato, dal momento che a fronteggiare i manifestanti ogni giorno, come si è più volte detto, c’è un corpo di polizia che è solo una controfigura dell’altra parte, che di fatto agisce ad un livello superiore, osservando con facilità la scena dall’alto.
Il manifestare un dissenso è un diritto della nostra democrazia; ma qual è la strada da percorrere quando si combatte contro decisioni che coinvolgono il mondo politico, a livello nazionale e, come in questo caso, europeo?
Ogni giorno le tinte del conflitto si fanno più forti, più accese, e la violenza si ritrova da entrambe le file. Le idee che avevano raccolto insieme i primi gruppi di persone, dando vita ad una comunità viva e animata, private di una possibilità anche minima di ricevere ascolto, finiscono oggi per tramutarsi in altro, per dividersi in tante diverse frange, scontrandosi contro il muro di uno Stato silenzioso che agisce con un’indifferenza amara che fa riflettere. Ma senza dialogo è ben più facile per chi ha interessi nella costruzione dell’opera portare avanti il progetto: alle domande non si danno risposte; al dissenso si oppone il corpo a corpo e si limita così la cerchia di chi è pronto a scontrarsi. Non tutti infatti sono disposti a buttarsi nel mucchio, e questo non per mancanza di coraggio, ma anche per scelta. Non c’è differenza qualitativa tra gli uni e gli altri, ma c’è chi ritiene che la lotta abbia un senso finché non si arriva alla violenza, o chi ha una famiglia, un lavoro e delle responsabilità che ritiene vengano prima.
E così molte persone vengono meno, e il gruppo di manifestanti viene identificato con etichette marcate e definite, che tagliano fuori tutti coloro che condividono la loro posizione, da vicino o da lontano, ma scelgono di non cadere in un meccanismo frustrante. E il più delle volte inconcludente, proprio perché di facile strumentalizzazione.
Non si deve e soprattutto non si può credere che questo sia l’unico metodo per dissentire, con diritto, alla costruzione di un’opera con un impatto così forte sul territorio. La democrazia dovrebbe essere altro: dovrebbe significare dialogo, ascolto, rispetto della posizione altrui e tolleranza.
Soprattutto confronto tra le diverse posizioni e giudizio nel sceglierne una sull’altra. Tutto questo mi sembra scomparso; alla voce si sostituiscono scontri che si fondano soltanto sull’odio e sulla perdita di fiducia.
Ma se da solo il popolo No Tav non può farcela, poiché si trova di fronte una classe politica che appare cieca e sorda – sebbene decisa nel mandare in campo ingenti forze di polizia – siamo così sicuri che non vi siano altri metodi?
La voce che manca ai politici – i quali, se ritengono inattaccabile la loro scelta, dovrebbero forse spiegare con più precisione un progetto che appare oggi confuso e insensato – non deve mancare anche alla classe intellettuale. Certamente, più di chiunque altro, coloro che hanno la capacità e la sensibilità di raggiungere e risvegliare le coscienze dei cittadini, sarebbero una pedina importante per trovare una soluzione al conflitto. Se non altro si proporrebbe un dibattito, si preciserebbero i pro e i contro delle posizioni, si porterebbe la questione anche in bocca di tutte quelle persone che oggi sono escluse, per una lontananza non solo fisica – che verrebbe comunque a restringersi – ma anche morale ed etica. Il silenzio degli intellettuali, non di tutti, ma sicuramente della maggioranza, è decisivo oggi per la vittoria di chi vuole portare a termine, a qualunque costo, il progetto.
Silenzio che significa accettare questa situazione e, questa volta forse sì, mancanza di coraggio.
La voce di chi ha nella società un ruolo importante, e soprattutto riconosciuto da tutti, forse saprebbe bucare il muro, portando per la prima volta i politici a togliere ogni maschera e parlare.
Vedere o leggere tutti i giorni servizi e articoli sull’evoluzione degli scontri, con conseguenze anche dolorose, deve richiamare la nostra coscienza e spingerci ad ammettere che, comunque andrà a finire, se questo continuerà a essere l’unico piano su cui si combatte il conflitto, avremmo perso tutti. Mi tornano in mente alcune frasi tratte dal ultimo libro di Tony Judt, riguardo alla presa di posizione con cui oggi si affrontano decisioni inaccettabili dello Stato:
“Perfino gli intellettuali hanno piegato la testa […]. Il coraggio morale necessario per formarsi un’opinione diversa e proporla a lettori infastiditi o ad ascoltatori ostili, rimane un pregio raro in ogni Paese”.
A mio avviso, è questo oggi ciò che più manca e incrina la nostra, già di per sé fragile, democrazia.
Ed è da qui che, se davvero si vuole, dobbiamo ripartire.
Virginia Giustetto
(1 marzo 2012)
MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.