Variazioni di scala alla Nomas Foundation di Roma

Luisa Lorenza Corna



Al numero 33 di via Somalia a Roma, vi è una piccola mostra che merita una visita. To continue. Notes towards a Sculpture Cycle: Scala è il terzo appuntamento di un’iniziativa curata da Cecilia Canziani ed Ilaria Gianni che si propone di indagare la scultura concentrandosi sui concetti di “materia”, “sguardo” e “scala”, a partire da una selezione di opere della collezione Nomas.

Per comprendere a pieno il significato della mostra, e delle scelte curatoriali ad essa sottese, è necessario fare un passo indietro. Sculpture Cycle è sua volta il quarto episodio di una ricerca sul medium artistico iniziata nel 2010 con Perfomance Cycle, e proseguita con due iniziative su film e pittura, ed infine, l’anno scorso, con A Theather Cycle, un ciclo di incontri ed opere pensate per essere rappresentate dal vivo su un palco in collaborazione con il Teatro Valle Occupato.

L’iniziativa si distingue nel panorama delle mostre d’arte contemporanea tanto per l’insolita scelta tematica del medium, quanto – e, forse, soprattutto – perché sembra voler sfuggire alla logica della mostra-evento, proponendo al suo posto una struttura dilazionata in capitoli. La crucialità del tempo è già tutta inscritta nel titolo. Cycle allude ad una scansione circolare degli eventi, ad un ritorno al punto di partenza dopo ciò che si presume essere la fine. Nel caso dell’iniziativa in questione, il ricorso al concetto di ciclicità più che indicare una coincidenza tra questi due momenti, allude una ricerca intesa come un percorso che conduce alla riformulazione dei presupposti iniziali. Il progetto curatoriale sembra quindi voler giocare su una doppia temporalità: ogni singolo episodio si propone, all’interno di ciascun ciclo, di agire tanto sulla ricezione del successivo quanto, retroattivamente, sul precedente.

Se per ciclo s’intende un movimento che riconduce al punto di partenza (o piuttosto a ‘ripensarlo’), la variazione di scala, tema del terzo appuntamento di Notes towards a Sculpture Cycle, indica una trasformazione da cui spesso non si può tornare indietro (questo certamente non vale nel mondo digitale, ma per ‘passaggio di scala’ mi riferisco qui, riduttivamente, a quello che si registra nella transizione dal disegno o modello all’opera). E’ interessante notare come nei lavori selezionati dalle curatrici, si ritrovino entrambi i movimenti: a ‘fine mostra’, dopo un percorso costruito attorno ad un gruppo di opere che insistono tutte sulla variazione scalare (senza rappresentare, tuttavia, la trasformazione in atto), ci troviamo dinanzi ad un lavoro che documenta il tentativo di generare un moto circolare e perpetuo.

Tra le opere esposte, quelle in cui l’idea di scala assume tratti più riconoscibili sono certamente La sculpture verte de Motreuil e Retrospective of the first 22 Prismatics (Studio version) del francese Raphaël Zarka. Retrospective of the first 22 Prismatics e’ una coppia di modellini ricomponibili che riproducono opere già realizzate dall’artista. Zarka non adotta quindi un’idea di modello architettonico inteso come prefigurazione in dimensioni ridotte di un ipotetico edificio futuro, ma sembra rifarsi ad un’idea di modello come lo intende la scienza, ovvero come riproduzione ‘in laboratorio’ di un fenomeno che già esiste in natura, al fine di poterne studiare le strutture e i comportamenti, L’artista affianca infatti ai due modelli un foglio ‘d’istruzioni’, rappresentante una serie di potenziali combinazioni che le curatrici dovranno realizzare. Il tempo della mostra viene così a coincidere con un dispiegamento delle possibilità formali delle sculture ‘reali’ a cui i modelli rimandano.

Il lavoro di Flavio Favelli indaga invece il concetto di scala attraverso quello di ‘parte’. Nelle serie Maison l’artista ricompone all’interno di cassette di legno porzioni di soffitti e pavimenti sottratti a spazi abitativi. A cambiare scala non è il materiale ‘estratto’– semplicemente ricomposto – ma lo spazio di destinazione rispetto a quello di origine. Le cassette esposte sono parti che stanno per il tutto delle Maison saccheggiate dall’artista. Anche Italo Zuffi procede per ‘estrapolazione’, isolando una serie di elementi da costruzione che poi replica in marmo botticino (Replica, 2009). Tradizionalmente destinati a confondersi nelle strutture di cui ‘fanno parte’, i mattoni vengono trasformati da Zuffi in preziosi pezzi unici. Infine, sull’ultimo mattone che compone l’istallazione, l’artista appoggia l’ingrandimento di un mattoncino giocattolo. Se i mattoni ‘reali’ (leggi: ‘utilizzabili per la costruzione di edifici abitabili’) sono riprodotti in scala 1:1, il volume del mattone ‘giocattolo’ viene alterato, come ad indicare la distorsione implicita ad ogni costruzione di fantasia.

Di tutt’altra natura il lavoro di Chiara Camoni, esposto all’ingresso della mostra. In Luca ovvero San Giorgio e il Drago ovvero San Michele, Camoni prende spunto da una statua di San Giorgio trovata in un laboratorio di marmo di Carrara, a cui mancano sia la lancia che il drago. L’artista cerca di compensare il vuoto delle parti mancanti, affiancandovi una lunga lancia, realizzata con una porzione di tela del compagno Luca Bertolo riempita di polvere di marmo. Camoni non intende riportare la statua alle sue condizioni iniziali, ma riflettere a partire da essa su concetti come ‘mancanza’ e ‘compensazione’. Osservata da questa prospettiva, il sovradimensionamento della lancia di S. Giorgio allude forse alla tendenza deformante della memoria verso ciò che è irrecuperabilmente passato.

Sono invece gli spazi invisibili ed intimi quelli a cui si rivolge la ricerca dell’artista danese Marie Lund. Le sculture esposte (Goods, 2012), due forme di cemento sulla cui superficie si intravedono segni di cuciture e della trama del tessuto, sono infatti il calco dell’interno di due tasche. Lund rende in questo modo visibile uno spazio nascosto, segreto, e ne rivela, al contempo, la capienza. Non vi è in qui alcuna variazione di scala, ma un passaggio dal negativo al positivo, la materializzazione di uno spazio di cui normalmente si ignorano le dimensioni e la forma.

Affisse alla parete opposta all’ingresso, troviamo infine tre grandi fotografie realizzate dall’artista ungherese Attila Csörg, che ritraggono fasci di luce concentrici. Come intuiamo dall’immagine centrale – in cui si intravedono, sullo sfondo di uno laboratorio, un motore elettrico e dei fili – la scultura luminosa è l’esito di un esperimento condotto dall’artista. Csörgo collega una torcia ad un piccolo motore elettrico, a cui vengono impartite tre velocità diverse che generano spirali luminose crescenti. Una volta raggiunta la forma della sfera, la velocità del motore si riduce, costringendo la luce a compiere a ritroso il movimento iniziale. Richiamandosi al tema della ciclicità da cui muove la mostra l’opera Spherical Vortex II ‘chiude’, ma solo temporaneamente, il percorso sulla ‘scala’.

To continue. Notes towards a Sculpture Cy
cle, Nomas Foundation,
via Somalia 33, Roma 5 giugno- 25 luglio 2014.

(16 luglio 2014)



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