Giù le Vele di Scampia contro camorra e degrado

Eleonora de Majo

Per dieci anni simbolo negativo dell’assenza assoluta dello Stato e del più terribile degrado abitativo, nelle prossime settimane le “carceri speciali” verranno finalmente abbattute per costruire alloggi di edilizia residenziale pubblica. Una vittoria politica frutto del comitato di lotta che ha saputo trattare con gli abitanti e con le istituzioni.

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La Vela verde, o meglio la torre, così chiamata a causa della sua forma compatta e bassa, assai diversa da quella più nota delle altre tre vele, oggi, dopo essere stata completamente svuotata, diventa ufficialmente un cantiere. La ditta che ha vinto l’appalto per il bando comunale finalizzato all’abbattimento di tre dei quattro celebri mostri di cemento di Scampia, stamane ha preso possesso dell’area ed ha un massimo di centottanta giorni per buttare giù l’edificio e portare via tutto il materiale di risulta.

Si compie così un passo decisivo verso la realizzazione dell’obiettivo portato caparbiamente avanti dallo storico comitato di lotta, con sede al piano terra della vela gialla, che si batte per i diritti degli abitanti delle vele da trentanove anni: l’abbattimento dei “carceri speciali” e la costruzione al loro posto di altrettanti alloggi di edilizia residenziale pubblica dignitosi e a misura di essere umano. Obiettivo che per quanto longevo ha certamente assunto un valore ancor più significativo e simbolico da quando, dopo la faida che ha insanguinato Scampia e l’area nord di Napoli nei primi anni duemila e che ha mosso la grande narrazione di Gomorra, proprio le vele si sono trovate loro malgrado a rappresentare lo stigma della città “per male”, il simbolo della Napoli del sangue e del crimine efferato, l’immagine plastica di una città senza speranza. Uno stereotipo che nonostante il trascorrere degli anni e la trasformazione della geografia criminale della città, è rimasto indelebilmente appiccicato alle pareti e alle strade del quartiere modificandone per sempre la percezione collettiva in tutto il paese, in tutta Europa e in gran parte del mondo.

Di fatti le Vele di Scampia nell’ultimo decennio hanno vissuto il paradosso eclatante di essere diventate una sorta di set cinematografico permanente per fiction, video musicali, documentari, serie tv, musical, film di ogni genere. Un set però alle cui spalle continuano ad abitare centinaia di nuclei familiari, donne, uomini e bambini in condizioni di degrado e di difficoltà inaudite.

Così qualche anno fa, in coincidenza con la prima elezione di Luigi de Magistris, il Comitato Vele con alla testa il suo storico comandante Vittorio, decise di reagire con forza, di dare una accelerazione ad un processo di emancipazione e che il tempo aveva affaticato ma non sconfitto. Un piano di fattibilità unico per tutto il quartiere, scritto a sei mani con l’amministrazione comunale e con l’Università Federico II, diviso in lotti, ognuno dei quali immagina il destino complessivo di un territorio che ha scelto che la sua strada verso la rigenerazione urbana e sociale la decidessero gli abitanti e non le istituzioni chiuse nelle proprie stanze. Il lotto M, quello su cui insistono le quattro vele è un capitolo di questo piano dal valore complessivo di centoventi milioni di euro in cui c’è l’Università (che sarà ultimata tra qualche mese per aprire agli studenti nel 2020), lo studentato, le strade perimetrali, il verde pubblico etc. In questi tre anni il Comitato Vele, supportato dall’Amministrazione comunale, è andato a rivendicare quelle risorse da tutti i governi, di ogni colore politico, convinto di aver imboccato una strada di protagonismo popolare che avrebbe fatto scuola in tutta Italia. Così è stato.

Il piano di fattibilità complessivo oggi gode di finanziamenti di tutti i livelli istituzionali: Città metropolitana, Regione, Governo, Europa. Il capitolo sull’abbattimento delle vele nello specifico vale diciotto milioni di euro che Napoli ha ottenuto partecipando al bando periferie del 2016 e attestandosi tra le prima venti posizioni. Con quelle risorse tre vele su quattro verranno abbattute e una, la celeste, resterà in piedi completamente ristrutturata e destinata, una volta che saranno costruiti gli alloggi sostitutivi, a diventare sede della Città Metropolitana. Una scelta tutt’altro che simbolica e che serve a immaginare per Scampia il ruolo che le sarebbe spettato di diritto, vale a dire il centro di una gigantesca area metropolitana da tre milioni di abitanti di cui il quartiere dell’area nord di Napoli è il cuore e lo snodo.

Ma ciò che rende straordinaria questa storia non è solo la capacità di orientare la decisione verso le esigenze del territorio e quindi rappresentare un esempio concreto e reale di democrazia diretta e di decisione partecipata, per giunta in un momento storico in cui dalle periferie di tutto il paese arrivano al contrario sempre più storie di ingiustizia, di rancore, di egoismo e di solitudine. Accanto a ciò infatti, a fare di questo processo un faro e un modello da dover raccontare, c’è stato in questi anni da parte del comitato e dell’amministrazione comunale impegnata in questa sfida una meticolosa, costante, precisa attenzione a ogni singola storia, a ogni singola famiglia, a ogni singolo vissuto.

Una attenzione fatta di riunioni, colloqui, accumulo di tutte le carte e i documenti utili a tutelare i diritti di tutti di modo che anche se le vele si abbatteranno una dopo l’altra nessuno resterà senza casa, che siano legittimi assegnatari o occupanti abusivi perché, dopo decenni vissuti all’interno di quei tuguri, l’amministrazione su spinta del comitato ha scelto di considerare ognuno di queste famiglie, semplicemente persone in emergenza abitativa stilando un censimento interno i cui criteri sono stati stabiliti insieme con il comitato.

Così agli abitanti con la residenza più longeva all’interno delle Vele sono stati destinati tra il 2016 ed il 2019 circa centosessanta appartamenti di nuova costruzione mentre chi ancora risiedeva nella vela che sarà abbattuta si è potuto spostare all’interno di appartamenti vuoti nelle vele che restano in piedi, in attesa della costruzione dei nuovi alloggi che verranno via via assegnati sempre utilizzando l’anzianità di residenza come criterio prevalente. Ciò a riprova del fatto che anche laddove esistono delle situazioni di conclamata assenza di titolo alloggiativo, causata dalla fame di abitazioni in un territorio povero come quello dell’area nord di Napoli, si può agire con le armi del dialogo, della costruzione di soluzioni all’altezza di quel bisogno e non, come vorrebbe qualcuno, con la violenza della ruspa e con le armi vigliacche della guerra fra poveri.

Ciò che fa gli abitanti delle vele un popolo, come loro stessi amano definirsi, è il riconoscimento di se stessi come un corpo collettivo, in cui si rispetta chi ha sofferto di più, chi ha aspettato più a lungo, chi attende la sentenza di un tribunale o semplicemente chi ha partecipato con più costanza alle mobilitazioni. Nessuno può scavalcare. Le priorità in questi anni e negli anni a venire sono state e saranno stabilite all’interno di contesti pubblici e assembleari e così sono e saranno recepite dagli atti deliberativi del Comune. È un processo faticoso, pieno di insidie, un processo fatto di scontri, di litigi feroci, ma anche di abbracci, di applausi e di gioia infinita dinanzi a risultati come quello di queste ore.

È un processo che però non ha permesso a nes
suno di cedere alle sirene dell’egoismo e della prevaricazione e che oggi restituisce tutta la sua straordinarietà in una immagine, quella dello striscione arancione srotolato dalla torre verde il giorno che è si è svuotata del tutto, che recita a caratteri giganti: “Ha vinto la lotta, ADIOS”.

* Consigliera comunale di Napoli, Presidente della commissione urbanistica

(13 maggio 2019)






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