Videoclip e corpi in fiamme: la rivolta dei giovani tunisini

Annamaria Rivera

In Tunisia continuano i casi di torce umane, l’ultimo episodio rappresenta quei giovani proletari diseredati senza alcun futuro: loro, dopo essere stati i protagonisti principali dell’insurrezione popolare, oggi sono dimenticati e abbandonati alla disoccupazione, all’indigenza, all’emarginazione crescenti. E intanto dal 26 al 30 marzo si svolgerà il Forum sociale mondiale di Tunisi: un’ottima occasione per discutere e di riscatto.



Teatro municipale, avenue Habib Bourguiba, nel cuore di Tunisi: una silhouette umana annerita dalle fiamme, abiti e capelli bruciati, sta seduta immobile sul pavé bianco, in posizione da bonzo vietnamita. Alla sua altezza, lontane qualche metro, alcune paia di stivali da poliziotti ne fanno risaltare la solitudine e il distacco: http://www.mag14.com/actuel/35-societe/1672-mort-du-jeune-qui-sest-immole-par-le-feu-a-tunis.html. Quella silhouette è Adel Khazri. Si è dato fuoco poco prima, non soccorso da alcuno. Eppure era nell’arteria più importante della capitale, percorsa da un flusso continuo di passanti, densa di caffè eleganti, sorvegliata da esercito e polizia.

Morirà poche ore dopo, all’alba del 13 marzo 2013, a 27 anni: stessa età di Mohamed Bouazizi, nello stesso ospedale di Ben Arous, entrambi piccoli ambulanti vessati dalla polizia municipale. Come lui disoccupato e orfano di padre, la madre e un certo numero di fratelli da mantenere, Adel aveva lasciato Souk El-Jemaâ, misero villaggio sperduto fra le montagne dell’Atlante, per venire nella capitale a cercare lavoro. Aveva dovuto accontentarsi, invece, di quell’attività meschina da venditore abusivo di sigarette di contrabbando. Vendeva nel mercato di Moncef Bey, che l’11 maggio scorso era stato teatro del suicidio per fuoco, con esito ugualmente letale, di un altro venditore di sigarette. Allora erano stati l’intervento degli agenti, il loro tentativo di estorsione, condito con insulti e minacce, a far scattare la molla del suicidio spettacolare. Per Adel l’umiliazione e la disperazione sono sopraggiunte con la retata poliziesca che ha scacciato gli abusivi dal mercato.

Non è un gesto singolare il suicidio di Khazri: la triste teoria di torce umane che precede e segue Bouazizi non si è mai interrotta nel corso della transizione. Il 14 marzo -giorno dei suoi funerali ma anche dell’insediamento del governo guidato dall’ex ministro dell’Interno, l’islamista Ali Laarayedh- ha visto ben tre tentativi di autoimmolazione, uno dei quali con esito funesto: per il governo, “un vero battesimo del fuoco”, ha titolato sarcasticamente un giornale tunisino online: http://www.tunisienumerique.com/tunisie-bapteme-du-feu-du-gouvernement-trois-tentatives-dauto-immolation-en-un-jour/169382. Né il gesto di Khazri si discosta dallo schema consueto: quasi sempre è un atto di rivolta contro l’umiliazione inflitta da qualche rappresentante del potere; quasi sempre la torcia umana è vendicata dai suoi simili con tumulti, anche assai violenti. Questa volta i venditori abusivi di Moncef Bey hanno reagito con un sit-in e le esequie nel villaggio natale di Adel si sono trasformate in una rabbiosa manifestazione contro Ennahda, il partito islamista al potere: http://www.youtube.com/watch?v=0GP1OozvdsQ.

Nondimeno questo suicidio per fuoco è altamente simbolico. Non solo perché è il primo ad avere per sfondo l’Avenue Bourguiba e le scale del Teatro municipale, animate da continui sit-in di protesta. Ma anche perché rivela della transizione e soprattutto della condizione giovanile attuale più di tante analisi. Adel Khazri era rappresentativo di quell’ampia fascia di giovani proletari e sottoproletari della Tunisia “profonda” e dei quartieri urbani diseredati che non hanno alcun futuro, alcuna speranza di riscatto sociale: neppure la possibilità di emigrare “clandestinamente”, cosa che, come si sa, esige che si disponga di un piccolo capitale. E’ la stessa categoria sociale che regala militanti alla nebulosa dei gruppuscoli salafiti-jihadisti. Se gran parte della popolazione giovanile tunisina ha inclinazioni e comportamenti secolarizzati e moderni, addirittura “modaioli”, come diremo, esistono tuttavia gruppi di giovani, socialmente sfavoriti e inferiorizzati -in alcuni casi marginali o piccoli delinquenti-, pronti a unirsi ai salafiti per compensare la frustrazione sociale, sfuggire alla disperazione, farsi rispettare.

C’è un abisso tra questa condizione giovanile e quella degli studenti dei più vari licei tunisini che oggi sfidano l’autoritarismo di Ennahda e il bigottismo salafita ballando l’Harlem Shake, al pari di milioni di coetanei in tutto il mondo. Questa moda dilagante (un miliardo di visualizzazioni su YouTube), in Tunisia ha esordito il 23 febbraio scorso per diventare subito uno strumento di protesta: allorché il ministro dell’Educazione, Abdellatif Abid, uomo di Ennahda, ordinò un’inchiesta, scandalizzato per un videoclip, diffuso in rete, che mostrava un gruppo di studenti e studentesse che facevano Harlem Shake nella corte di un liceo di El Menzah, nella banlieue di Tunisi. Per protestare contro la decisione del ministro si è cominciato a ballare in altri licei e perfino davanti alla sede del ministero dell’Educazione. Le aggressioni da parte di gruppi di salafiti hanno contribuito a diffondere ancor più questa moda, diventata così una forma di resistenza contro l’islamismo. Non è la sola che si manifesti tramite i videoclip. Alcuni giorni fa due giovani, una donna e un uomo, sono stati arrestati con l’accusa d’ingiurie e minacce contro le forze dell’ordine per aver partecipato a un pezzo rap, diffuso in rete in forma di videoclip, dal titolo inequivocabile, sebbene poco animalista: “Boulicia Kleb” (“Polizia cane”) Un terzo giovane è ricercato: è il rapper Weld El 15, autore del pezzo [http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=6owW_Jv5ng4#!]

La condizione peggiore, dicevamo, è quella degli strati giovanili che, dopo essere stati i protagonisti principali dell’insurrezione popolare che ha costretto alla fuga il despota e la sua corte mafiosa, oggi sono dimenticati e abbandonati alla disoccupazione, all’indigenza, all’emarginazione crescenti, dovute a cause molteplici. Agli effetti della crisi economica mondiale, alla fuga d’investitori e imprenditori stranieri, al crollo del turismo si è sommata l’impennata del tasso d’inflazione e del prezzo dei carburanti. Intanto il Fondo monetario internazionale cerca d’imporre un Piano di aggiustamento strutturale che esige l’aumento di tasse e imposte, la revisione dei salari e della protezione sociale, il congelamento per tre anni della Cassa di compensazione (quella che stabilizza i prezzi dei prodotti di base). Se accettate, le “riforme” prescritte dal Fmi –un’autentica iattura per le economie dei Paesi dipendenti- aggraveranno ancor più le condizioni di vita delle classi subalterne tunisine e dei giovani .

Temiamo che non sarà una Troika appena imbellettata dal rimpasto affidato all’ex min
istro dell’Interno e dall’ingresso di qualche ministro più o meno indipendente ad attenuare le gravi sofferenze sociali e le feroci gerarchie di classe: quelle che alimentano il fenomeno delle autoimmolazioni di protesta o riproducono la spirale di rivolte spontanee e repressione che è tipica della storia della Tunisia indipendente. Se mai, c’è da sperare non solo nell’attivismo della società civile e nella forza delle rivendicazioni e dei conflitti sociali, ma anche nel rafforzamento dell’opposizione di sinistra. La risposta di massa all’omicidio di Chokri Belaid -almeno un milione e mezzo di manifestanti il giorno delle sue esequie- ha infatti rinvigorito l’opposizione e conferito un certo prestigio al Fronte popolare, la coalizione di estrema sinistra.

E’ in questo quadro che dal 26 al 30 marzo si svolgerà il Forum sociale mondiale di Tunisi. Potrebbe essere un’ottima occasione per discutere, fra i tanti temi, anche dei conflitti irrapresentati, quelli che si esprimono attraverso corpi che bruciano nelle piazze. Un tema quasi universale poiché dal Maghreb al Mashrek, dall’Africa all’Europa, sempre più spesso si accendono torce umane a denunciare gli effetti non solo della crisi economica, ma anche della crisi di rappresentanza.

Versione ampliata e aggiornata di un articolo pubblicato dal manifesto il 15 marzo 2013

(16 marzo 2013)



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