Vinai vs Farinella, l’accusatore fugge. Avrà avuto il suo interesse?

Paolo Farinella

Al processo per diffamazione intentato da Pier Luigi Vinai, candidato PDL alle comunali di Genova nel 2012, contro don Paolo Farinella per i suoi articoli su Repubblica, MicroMega e il Fatto, Vinai ha inaspettatamente chiesto la “remissione delle querele”, senza condizione, nemmeno le scuse. In questa ricostruzione dei fatti, Farinella spiega le ragioni che possono aver spinto l’accusatore ad abbandonare la lotta e il tribunale.

, prete

Antefatto

Nel 2012 a Genova si svolsero le amministrative per l’elezione del sindaco, vinte dal prof. Marco Doria, sostenuto da un variegato centro-sinistra che andavano dagli Arancioni a Rifondazione Comunista, passando per il PD che già allora s’incamminava sulla via di Arcore fino a restare fulminato dal berlusconismo. Lo sfidante di Marco Doria, a destra, fu Pier Luigi Vinai, segretario in Banca Carige, «uomo di Scajola e dell’Opus Dei» (cf Gad Lerner, la Repubblica, 30-05-2014; Marco Preve, la Repubblica, 27-02-2012). Uomo di destra, egli si è sempre mosso in ambito clericale, da cui riteneva di poter trarre vantaggio politico e di potere. Frequentava i «Cardinal’s Dinner» di Marco Simeon (cf Marco Tecce, «Mi chiamo Simeon, profumo d’incenso e profumo di soldi», Il Fatto Quotidiano, 14-11-2009, p. 6), pupillo di Giuseppe Profiti, oggi sotto processo in Vaticano per peculato in relazione all’attico «a insaputa» del card. Tarcisio Bertone –Dio ce ne scampi! – (cf Salvatore Cernuzio,
La Stampa, 19-09-2017).

Politicamente Vinai è figlioccio di Claudio Scajola, già democristiano, poi forzaitaliota, oggetto di diverse indagini della magistratura, oggi «imputato a Reggio Calabria per aver favorito la ‘ndrangheta e il latitante di Forza Italia, Amedeo Matacena», la cui moglie pare abbia anche insediato da fervente cattolico difensore della famiglia (cf Il Secolo XIX del 4-10-2017) o, come dice lui col suo idioma impossibile, «trasportato con qualche sentimento» (cf l’esilarante commento «Il favoloso trasporto» di Scajola di Vittorio Coletti, la Repubblica, 08-10-2017, p. XIV ). Non è colpa mia se Pier Luigi Vinai ha questi amici o referenti o frequentatori, stabili o occasionali, comunque esponenti di FI, tutti con problemi giudiziari. Dice il proverbio: «Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei».

Nel 2012, il partito FI era politicamente disintegrato per le note vicende del capo/padrone, Berlusconi, e Claudio Scajola aveva altre gatte da pelare. Vinai si autocandidò, ma in un primo tempo fu escluso dalla lista dei competitor – vai a capire perché! –. Non trovarono uno della società civile disposto a bruciarsi per loro. Per non rischiare di restare fuori dalle elezioni, a qualche mese dalla scadenza del termine di legge, Scajola & C. ripiegarono sull’unico rimasto in lizza, Pier Luigi Vinai, che presentò la sua lista. Sul piano politico – per gli evidenti interessi che ne poteva ricavare in chiave elettorale – si è sempre vantato di essere cattolico, cercando di accreditarsi come rappresentante dei valori cristiani con l’implicita conclusione che ne fosse il difensore ideale.

Molti lettori di Repubblica (nell’edizione ligure tengo una rubrica fissa), del Fatto Quotidiano, di MicroMega e molti cattolici, mi contattarono per dirmi l’assurdità di un cattolico che non solo militava, ma addirittura si candidava nel PDL che, tra deputati e senatori, aveva in parlamento il 35% d’indagati, inquisiti, condannati per vari reati, compresa camorra e truffe allo Stato. Era la conseguenza del virus dell’illegalità, profuso a piene mani da un sedicente imprenditore, il cui cofondatore e braccio destro,
Marcello Dell’Utri fu condannato in via definitiva a 7 anni di carcere
per «concorso esterno in associazione mafiosa».
Berlusconi, ancora oggi (v. stragi) è sospettato di collusione con la mafia
: «Il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo ha detto che le mafie fermarono la strategia stragista quando “trovarono nel nuovo partito di FI la struttura più conveniente con cui relazionarsi”» (Il Fatto quotidiano, 28-07-2017). Dal mattino si vede il buon giorno e, infatti, la sera della storia di dopo confermò quella di prima.

Gli articoli sulla stampa (la Repubblica, MicroMega, Il Fatto Quotidiano)

Di fronte a questo scenario, esplicito e prevedibile, senza un progetto determinato, iniziai a scrivere, . In quanto cattolico non volevo avere nulla da spartire con lui. Egli era libero di candidarsi con chi voleva, ma se dichiarava pubblicamente di essere cattolico con l’aggravante di fare parte di una organizzazione religiosa (Opus Dei) formalmente riconosciuta, aveva l’obbligo, anche e specialmente in materia politica, di attenersi alla Dottrina Sociale della Chiesa che faceva della legalità lo specifico del «cattolico politico» (cf «Educare alla legalità. Per una cultura della legalità nel nostro Paese», Paoline, Milano 1989) Vinai avrebbe dovuto essere un esperto in materia, dal momento che nel 2007 conseguì anche un «Diploma Universitario in Dottrina sociale della Chiesa presso la Pontificia Università Lateranense» (suo curriculum), fatto che aggravava la sua posizione di candidato di quell’ambiente.

Gli contestavo, inoltre, la frequentazione (non necessariamente fisica, ma ideale) di compagnie non solo discusse, ma pubblicamente immorali, come quella di Berlusconi, capo indiscusso del partito di cui era referente, accingendosi a rappresentarne politicamente il partito nel comune di Genova, qualora fosse stato eletto. Non importava se egli conoscesse o no personalmente Berlusconi, era determinante per l’opinione pubblica che Vinai ne condividesse ideali, progetto, metodi e comportamenti da cui non si è mai dissociato. Ha sempre difeso Scajola a tutto tondo: «Per me, fino a prova contraria, ma deve essere proprio una prova contraria grande, Claudio Scajola è uomo di verità», Il Secolo XIX, 06-05-2010).

Oggi le prove contrarie «grandi» sembrano più di una e molto consistenti.
La storia mi ha dato ragione su tutto perché anche Berlusconi è stato condannato per evasione fiscale (un Presidente del Consiglio!!! ) in via definitiva solo per 7,3 milioni, relativi al 2002-2003; altri 6,6 milioni relativi al 2001 sono caduti in prescrizione [cf Gianni Barbacetto, Il Fatto Quotidiano, 03-02-2015) in forza delle leggi ad personam che egli stesso si è confezionato, dominando il Parlamento (v. elenco stilato da Libertà e Giustizia). Fu condannato a quattro anni di carcere, di cui tre condonati per indulto, con l’interdizione dai pubblici uffici fino al 2019 (alle prossime elezioni politiche non potrà candidarsi). Nel marzo del 2014, qualche giorno prima della condanna, Berlusconi si dovette autosospendere da «cavaliere del lavoro», per non subire la vergognosa onta e il disonore della revoca del titolo e relativa medaglia obbligatoria per legge. Questi furono allora l’ambito di riferimento politico di Pier Luigi Vinai che liberamente scelse «con piena avvertenza e deliberato consenso», mentre con disinvoltura cambia casacca, fonda l’associazione Open Liguria per passare all’altra parte, come lui stesso ha dichiarato definendola «renziana non del Partito democratico» (cf Il Fatto Quotidiano, 13-05-2014). Una vera e cogente coerenza politica con carenza d’ideali politici per il pragmatismo del potere fine a se stesso.

Il processo di 1° grado, con scandalo incorporato

Pier Luigi Vinai, sentendosi diffamato perché accostato a Berlusconi che all’epoca, e anche oggi, frequentava le dacie russe di Putin, dove abbondavano vodka e donnine, per non dire altro, mi portò in giudizio con accuse penali. Ben due Pubblici Ministeri, in tempi diversi, chiesero di archiviare le querele, perché le mie dichiarazioni rientrava-no nell’alveo del diritto di critica, a maggior ragione perché espresse durante una campagna elettorale.

In 1° grado, tre anni dopo i miei scritti (sic!) la sentenza fu a me sfavorevole. In uno stato di diritto, qualsiasi sentenza penale è sospesa fino al suo passaggio in giudicato, ovvero se non è impugnata o se viene confermata fino al 3° grado di giudizio in Cassazione. Io sarei ricorso in Cassazione e alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a Strasburgo invocando la violazione della Convenzione.

Da parte di Vinai nell’intervista al Secolo XIX, affermare spudoratamente che perdona per un «atto di pietà cristiana», asserendo di essere «stato ristorato» dal Tribunale di 1° grado, è affermare il nulla: egli non può concedere quello che non ha. Fino alla Cassazione, per la nostra Costituzione, in difesa della quale nel referendum del 4 dicembre 2016 votai e convinto altri a votare «NO», egli non poteva né può avere alcun «ristoro» perché ogni cittadino è presunto non colpevole, per cui, la sentenza di 1° grado, essendo interlocutoria, è come se non ci fosse. Se è scappato dal processo per motivi suoi, di cui dirò sotto, affari suoi, ma non dispensi «pietà» perché finisce per fare pietà.

L’esperienza del Tribunale, per me la prima volta in assoluto, fu traumatica, non tanto perché vi ero come «imputato», ma perché ho sperimentato che in esso la ricerca della giustizia e della verità non interessa alcuno. Il Tribunale è un ring dove ognuno mena per vincere, ma la vittoria dipende da fattori circostanziali: dal giudice e dalla sue convinzioni, se è di destra, di sinistra, o neutro, da come si è svegliato quella mattina o se ha le coliche. La favola del giudice «terziario», al di sopra delle parti, è una favola che non regge la realtà. Alcune prove.

1. Le elezioni comunali si svolsero nel maggio 2012 e gli articoli sono stati scritti nei mesi precedenti e uno o due anche dopo.

2. Il processo di 1° grado si celebrò 3 anni dopo (!!!), con una giudice che valutava carte, cioè commenti e interpretazioni di fatti di cui si era perso il contenuto, il contesto, il clima, la passione politica, l’emergenza che Genova stava allora vivendo. Io scrivevo come «opinionista» su diversi giornali (la Repubblica, MicroMega, Il Fatto Quotidiano, ecc.), difendendo in quel clima la Democrazia e la legalità dagli assalti di Berlusconi e della sua parte che ci provò in tutti i modi; con leggi elettorali (chi si ricorda della «porcata»?), leggi ad personam, attacchi costanti alla Magistratura («persone mentalmente disturbate, altrimenti non potrebbero fare quel lavoro» – cf la Repubblica 04-09-2003).

3. Una cosa è vivere gli eventi, un’altra, è «ragionare a mente fredda» a distanza di tre anni perché si finisce per giudicare «una cosa “altra” non i fatti oggettivi».

4. Vi furono n. 5 udienze, di cui una rimandata per indisponibilità del giudice, ma io e il mio avvocato, non avvertiti, perdemmo una giornata di lavoro, quando bastava una e-mail. Se io non mi fossi presentato sarei stato dichiarato «contumace», il giudice non si presenta, ma manda un altro solo per dire che non c’è, sono io a rimetterci un giorno di lavoro.

5. In tutte e 5 le udienze la Procura (Pubblico Ministero) fu rappresentata da 5 persone, ogni volta diversi. Ognuno arrivava trafelato con un foglio che consumava sul posto un attimo prima che entrasse il giudice perché era stato scritto da altri. Tutti e 5 si sono sempre limitati a leggere il foglio, preparato da altri, senza aggiungere altro. Per me era il segno che non sapessero di cosa si stesse trattando. A questo riguardo affermo, e me ne assumo la responsabilità, che questo non può essere un sistema civile di amministrare la Giustizia. In quanto accusato pretendo il diritto sacrosanto di avere un’accusa consapevole, preparata ed efficiente, non un qualsiasi «attore» improvvisato, pur formalmente rappresentante del PM, ma assolutamente estraneo al «de re» di cui in «quel processo» si trattava. In quegli anni giravo l’Italia per difendere l’indipendenza della Magistratura dagli attacchi del partito del mio accusatore, ma forse sono stato un idealista utopico.

6. Prima della fine dell’udienza, la giudice offrì una pausa per vedere se le parti si volessero accordare per evitare la sentenza. Andammo fuori dall’aula e Vinai si dichiarò disposto a ritirare le querele «purché don Farinella chieda pubblicamente scusa». Porgere le scuse, pubbliche o private, sarebbe stato ammettere, in maniera infame, di ave
re detto il falso. Rifiutai l’accordo, tornammo dentro e il giudice di 1° grado, sentenziò a mio sfavore.

Nota a latere al processo di 1° grado. Mentre ci preparavamo al processo, ricevetti molte offerte di persone che si offrivano spontaneamente di testimoniare contro Vinai perché lo conoscevano o avevano avuto con lui rapporti in svariate circostanze, anche lavorative. Ricevetti anche alcuni documenti scritti e firmati, giunti per posta dal Ponente ligure, in modo particolare da Loano, dove suo padre Vinai Giovanni visse e Pier Luigi crebbe. Casa mia fu una processione ininterrotta. Venni così a conoscenza che Vinai aveva molti nemici che probabilmente costituivano per lui «molto onore». Decisi di non farne uso: forse avrei potuto ottenere una soddisfazione personale o «un ristoro morale», mentre il processo si poneva su altri piani. Da quanto mi è stato detto e scritto, restai molto impressionato. Quando il cardinale Bagnasco mi chiamò per essere informato dettagliatamente del processo, oltre che degli aspetti giudiziari, gli portai tutto il materiale, perché mi parve giusto che leggesse e sentisse fatti e testimonianze da me non cercate, ma che rivelavano il clima e l’ambiente personale da dove partiva nei miei confronti l’accusa di «diffamazione».

L’appello

Il mio avvocato, Emilio Robotti, fece appello. Fino alla prima udienza, fissata al 4-10-2017, tutto tacque. Improvvisamente il 3 ottobre 2017, vigila dell’udienza, mi chiamò l’avvocato per informarmi che Pier Luigi Vinai l’indomani avrebbe «rimesso le querele, senza scuse». Sbigottimento generale! Non essendoci stata richiesta da parte mia, ma essendo una decisione unilaterale, libera e senza condizioni della parte avversa, il mio avvocato mi convinse ad accettare, pur essendo propenso ad andare avanti. Poi cedetti alle argomentazioni dell’avv. Robotti perché ne uscivo indenne, trattandosi di «un non luogo a procedere» con annullamento della sentenza di 1° grado.

Ci siamo chiesti quali potessero essere le ragioni di questo abbandono anomalo del processo, avendo Vinai una sentenza a suo favore, pur in 1° grado, e abbiamo stilato alcune ipotesi che secondo noi si reggono:

Ipotesi giuridica. In appello, la corte è formata da tre giudici che meno si lasciano influenzare da fatti e circostanze esterni, ma si muovono dentro e sotto il «Diritto». La giurisprudenza in Cassazione, Corte Costituzionale e Corte di Strasburgo era a nostro favore e in appello sarebbe stato più agevole dimostrarlo. Vinai non era sicuro di averla vinta, ma una sconfitta in appello sarebbe stata più grave per lui che non per me.

Ipotesi ambientale. Con ogni probabilità, la decisione di portarmi in giudizio ha arrecato più danni che benefici a Pier Luigi Vinai, specialmente in quell’ambiente clericale (e non solo), che di solito si muove in modo ovattato, secondo la logica del manzoniano del «sopire, troncare, padre molto reverendo, troncare, sopire». La scelta di adire il tribunale fu, per lo meno, avventata perché provocò una caduta a cascata di reazioni e valutazioni anche personali e comportamentali. Per un sedicente politico, è un errore irrimediabile che contravviene la prassi secolare della gestione del potere religioso da parte del clericalismo di destra e, spesso fascista: «si non caste, saltem caute», che potrebbe rendersi: se proprio non riesci a trattenerti, sii almeno prudente o fatti un bromuro appunto: sopire, troncare… molto reverendo Pier Luigi. Dichiararsi pubblicamente «cattolico» e farne sfoggio non è un lavoro da poco, perché bisogna essere coerenti nella vita di tutti i giorni, col vicinato, con i condomini, nell’ambiente di lavoro, in parrocchia la domenica, specie se si leggono le letture, quando si dorme. È molto più facile dirsi ateo perché si risponde solo alla propria coscienza, mentre il «cattolico» oltre che a sé, deve rispondere alla comunità, ai non credenti, ai laici, ai laicisti, a vescovi e cardinali, a chiunque incontra e quello che dice pubblicamente deve corrispondere ai fatti anche privati. Se mi dichiaro «cattolico» e penso di trarne vantaggio, devo essere ineccepibile anche nelle virgole, anche nei sogni, anche «a mia insaputa». Altrimenti la gente parla. C’è un solo modo per non avere scheletri negli armadi: non possedere armadi. Chiunque, laici o preti o cardinali, usa la religione per proprio tornaconto, prima o dopo si brucia. Personalmente penso che per Pier Luigi Vinai sarà dura riaccreditarsi negli ambienti della Curia o ad essi collegati, perché nulla sarà come prima. Occorreranno tanti gargarismi di acqua benedetta che quella di Lourdes non basterà nemmeno per l’antipasto. Il vangelo di Lc (14,31-33) è esplicito: se uno va in guerra valuti le forze e se gli conviene, altrimenti sarà la sua rovina.

Ipotesi politica. Credo che Pier Luigi Vinai voglia presentarsi alle prossime politiche, e per assicurarsi un posto al sole, si candiderebbe col Pd di Matteo Renzi, nell’ambito del cui influsso già opera, essendo la ex sinistra diventata destra, a misura delle convenienze del momento. Gli ideali, le ideologie, il «pensiero politico», la stessa legalità sarebbero solo accidenti momentanei, o come si direbbe da Kant a Husserl, pura fenomenologia. D’altra parte, oggi, non c’è differenza tra FI e PD: questi due «cosi», secondo me, sono fotocopie intercambiabili, non solo tra loro, ma anche con lo spirito fascista. Parafrasando un poeta italiano (Manzoni) verrebbe da dire: «S’ode a destra uno squillo di tromba [Renzi] / a sinistra-extrema-destra risponde una squillo» [Berlusconi].

A mio parere le tre le ipotesi s’intersecano tra loro. Solo una cosa non può trovare posto nel guazzabuglio: «la pietà cristiana» e il mieloso perdono nei miei confronti con cui ciancia e si gonfia ancora pubblicamente Pier Luigi Vinai, informandone i giornali. Se avesse avuto anche solo l’odore del perdono e della pietà, sarebbe dovuto venire da me 5 anni fa, nel 2012, in sordina, come prescrive Mt 18. Farlo oggi, nella sessione di appello, dopo averlo decisamente rifiutato in 1° grado, non rende credibile né le parole né l’autore perché dimostra efficacemente lo scopo mercantile dell’atto. Viene in mente la battuta genovese: «È morto il sig. Parodi!» dice uno, cui l’altro risponde impassibile: «Avrà avuto la sua convenienza!». Se Vinai ha qualche convenienza, di qualsiasi genere, se la tenga insieme alla sua pietà e al suo perdonicchio, di cui non so cosa farmene, considerandolo meno che spazzatura.

Non ci resta che aspettare e vedere quali sorbole il tempo galantuomo farà maturare. Sia chiaro: fuggendo dal processo senza alcuna contrattazione con me, Vinai ha dimostrato di avere paura e afferma in Tribunale con tanto di certificazione del Tribunale che nessun processo vi è mai stato a mio carico e i miei scritti di allora restano liberi e, forse, a futura memoria. Io sono lo stesso di 5 anni fa, con una sola differenza che oggi condanno e combatto il PD di Renzi che considero una iattura, come ieri ho condannato e combattuto Berlusconi, Scaj
ola e Vinai.

Qui i due pezzi pubblicati dal Secolo XIX di Genova con le dichiarazioni, corredate di foto, di Vinai e la risposta, senza foto, dell’accusato-vincitore.

(20 ottobre 2017)



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