Vito Mancuso: don Gallo, il prete dei dimenticati

Vito Mancuso

, da Repubblica, 23 maggio 2013

Don Andrea Gallo vivrà nell’immaginario degli italiani con il suo sigaro, il cappello nero e l’immancabile colletto da prete, i segni più caratteristici della doppia appartenenza che ha contraddistinto la sua lunga e felice vita: l’appartenenza al mondo e alla chiesa, alla terra e al cielo. Termini tutti ugualmente importanti per uno che vi ha dedicato la vita.

Ma il primo posto per don Gallo spettava al mondo e alla terra, perché era solo in funzione di essi che per lui aveva senso poi parlare di chiesa e di cielo. La stola sacerdotale, che egli amava e a cui è sempre stato fedele, veniva dopo la sciarpa arcobaleno con i colori della pace che spesso indossava, e veniva dopo la sciarpa rossa spesso parimenti indossata per l’ideale di giustizia e di uguaglianza che a lui richiamava.

È stato questo primato del mondo e della terra che ha condotto don Gallo a essere un prete ribelle, contestatore, mai allineato con i dettami della gerarchia, soprattutto in campo etico e sociale. Un ribelle per amore, per amore del mondo e della sua gente, mai invece contro la sua Chiesa solo per il fatto di essere contro. Se don Gallo è giunto spesso a essere contro, lo ha fatto solo perché era la condizione per essere al fianco dei più emarginati, dei più umili, dei più bisognosi, e per non tradire mai la sua coscienza con il dover ripetere precetti o divieti di cui non vedeva il senso o che riteneva ingiusti.

Una volta gli chiesero che cosa pensasse della Trinità, come riuscisse a conciliare il rebus di questo Dio unico in tre persone, con tutte le processioni, le missioni e gli altri complessi concetti speculativi che il dogma trinitario porta con sé. Egli rispose che non si curava di queste sottigliezze dogmatiche perché gli importava solo una cosa: che Dio fosse antifascista!

Al di là della brillante battuta che gli servì per uscire indenne dalle insidie della teologia trinitaria, l’espressione "Dio antifascista" racchiude al meglio il messaggio spirituale che la vita di don Gallo ha rappresentato e continuerà a rappresentare per tutti coloro che l’hanno amato, l’hanno applaudito e hanno letto i suoi libri: intendo riferirmi alla cultura della pace, della solidarietà e della giustizia; alla lotta contro l’arroganza del potere e del denaro; al rifiuto di ogni forma di violenza, anche solo verbale, per ricorrere invece all’arma sempre più efficace dell’ironia e dell’umorismo.

Quello che mi colpiva e mi piaceva di don Gallo era che in lui, a differenza di altri cristiani contestatori e di una certa musoneria risentita abbastanza diffusa nella sua parte politica, mancavano del tutto il risentimento e l’astio, per lasciare spazio invece a un’allegria di fondo, una bonarietà, uno sguardo pulito, un accordo armonioso con il ritmo della vita, come si percepiva anche dalla musicalità grave della sua bellissima voce.

L’ultima volta che l’ho visto è stato due mesi fa, all’indomani dell’elezione del nuovo Papa, quando Fabio Fazio ci chiamò nel suo programma per commentarla. Don Gallo fu brillantissimo, ogni sua parola suscitava un lungo applauso del pubblico, era felice come un bambino per la speranza che il Papa venuto dalla fine del mondo stava riaprendo ai credenti come lui, quelli che sono nella chiesa non a dispetto del mondo, ma per servirne al meglio la vita, cioè cercando di dare agli uomini ciò che il mondo costitutivamente non può dare loro, vale a dire la speranza che i sacri ideali dell’umanità (il bene, la giustizia, l’amore) non sono illusioni destinate a cadere "all’apparir del vero", ma la dimensione più vera dell’essere da cui ognuno di noi proviene e nella quale ritornerà.

Era proprio per questa speranza che don Gallo credeva in Dio e nel messaggio di Gesù. Egli vedeva in questa fede uno dei più nobili gesti d’amore verso la vita e verso gli uomini che l’attraversano spesso soffrendo. La fede di don Gallo era un profetico atto di fedeltà al mondo e di amore per gli uomini. In un cattolicesimo quale quello del nostro Paese, spesso privo di schiettezza e di libertà di parola, calcolatore, politico, amico del potere, caratterizzato da un conformismo che fa allineare pubblicamente tutti alla voce del padrone, compresi coloro che privatamente fanno i profeti e gli innovatori, in questo cattolicesimo cortigiano e privo di coraggio, la figura di don Gallo con il suo sigaro e il suo cappello ha svettato e svetterà per onestà intellettuale e libertà di spirito, perché egli non temeva di ripetere dovunque (in tv o davanti al suo vescovo non aveva importanza) i concetti sostenuti tra nuvole di fumo nelle lunghe nottate genovesi con gli amici della sua comunità.

(23 maggio 2013)



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