Vittorio Arrigoni, un eroe vero
Come spesso accade, personaggi opposti hanno la ventura di nascere nei medesimi luoghi. Ecco che Falcone e Borsellino sono conterranei di mafiosi come Riina e i fratelli Graviano. In questo caso, Gino Strada e Arrigoni, appunto, vengono dagli stessi luoghi calpestati da Berlusconi e Formigoni (quest’ultimo, pur dichiarandosi pio e retto, è forse peggiore del primo, perché più subdolo).
Là, dove il male si materializza nelle forme più oscene, nascono le utopie votate quasi a riscattare questi loro scomodi vicini con imprese, tanto estreme, da condurli spesso all’annietamento fisico per il troppo esporsi.
Di Vittorio conoscevamo, infatti, il coraggio spinto al limite che lo portò a far la scelta di rimanere a Gaza sotto le bombe del piombo fuso israeliano, proprio quando tutti fuggivano. Così egli potette fornire quelle testimonianze terze che inchiodavano le vittime della Shoà alle loro responsabilità di aguzzini massacratori. Ed è per questo che probabilmnente ha pagato il prezzo estremo della vita.
Sì, è vero, dell’assassinio vengono accusati questi salafiti estremisti ma io ho imparato a dubitare delle versioni ufficiali quando, come in questo caso, c’è un terrrorosmo estremo e minoritario. Groppuscoli facilmente infiltrabili ed orientabili verso obiettivi facili, per loro e per chi li guida.
Arrigoni era personaggio estremo, sì, ed aveva sicuramente messo nel conto di fare la fine che gli è toccata. Sapeva, in cuor suo, che altra non gli apparteneva, per lui che, figlio della piccola borghesia imprenditoriale brianzola (forse la più chiusa del paese), era fuggito da un mondo fatto di certezze tanto sicure ed ostentate, da superare il limite massimo della banalità. Così, lui, se ne’era andato per il mondo ad esplorare l’esatto opposto, rimanendone conquistato.
Come si diceva all’inizio, un eroe vero, oggi così poco di moda nel mondo untuoso rappresentato da chi, invece, le proprie sicurezze le trova alternativamente negli alti scranni del potere e nelle mollezze dell’alcova.
A futura memoria.
Giulio Raffi
(15 aprile 2011)
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