Vivere senza Dio
Michele Martelli
Si può vivere, e come, senza Dio? È la domanda centrale a cui cerca di rispondere il recente libro dell’ex segretario dell’Uaar Raffaele Carcano, Le scelte di vita di chi pensa di averne una sola, Nessun Dogma, Roma 2016, un volume di facile e gradevole lettura, ironico e autoironico, aperto, critico, antidogmatico, ricco di utili informazioni pratiche e di sottili suggestioni teoriche.
Innanzitutto, chi è il «senza-Dio»? Bisogna subito dire che nella società sempre più secolarizzata di oggi la maggioranza delle persone, in Italia non credenti, ma anche cattolici non praticanti e atei devoti, a dispetto del papa emerito Ratzinger, vivono di fatto non «come se Dio ci fosse», ma, al contrario, «come se Dio non ci fosse». Ovvero, diciamola tutta, vivono senza Dio, e, di conseguenza, senza-Chiesa, e, a quanto sembra, molti ci riescono anche bene. Una minoranza degli italiani, perlopiù anziani, frequenta la messa e talvolta i sacramenti, ma soltanto per conformismo, convenienza e viscerale paura della morte.
In questo senso, come scrive Carcano, «la fede è banale», come anche può esserlo l’incredulità: dipende dalla famiglia, paese e società di appartenenza, e quindi dalle pre-nozioni assimilate fin da bambini, compreso il terrore dell’inferno. Qui da noi si è cattolici come in Arabia saudita si è islamici e in India buddhisti o induisti: «Verità al di qua dei Pirenei, errore al di là», diceva Pascal, sulla scia di Montaigne.
A rigor di logica, sottolinea il nostro autore, «siamo tutti nati atei»: solo nella società si diventa credenti, o, spesso per contrapposizione, non credenti: il relativismo etico e religioso o irreligioso domina sovrano. Ma allora perché le gerarchie cattoliche conservano tuttora, soprattutto in Italia, un sì grande potere? Semplicemente perché, dopo aver in gran parte perso il predominio diretto sulle coscienze, ora fanno di tutto per garantirselo indirettamente, tramite il controllo delle istituzioni, facilitato dalla complicità di tanti, troppi politici e legislatori, governanti e amministratori. Con loro relativo successo, bisogna ammettere purtroppo, ma con grave danno e deturpazione della laicità dello Stato e dei diritti umani e civili.
Sicché non meraviglia che in tema di cultura e legislazione civile, soprattutto nell’ambito della bioetica, l’Italia, in cui risiede il Vaticano, sia agli ultimi posti nella graduatoria dei paesi occidentali. Su questi argomenti, come sul conformismo tutto italiano, che riguarda talvolta anche i non credenti, allorché si piegano supinamente al costume del «così fan tutti» (battesimo dei figli, matrimonio in chiesa, estrema unzione dei moribondi, ecc.), Carcano scrive pagine di squisita analisi psico-sociale.
E non mancano, nel libro, piccole chicche del tipo «Lo sapevate che?».
Come la sentenza del Tribunale di Milano del 7 luglio 2010, che autorizza la madre a battezzare, contro il parere del padre, il figlio di nove anni, con la curiosa motivazione che la religione è un percorso formativo utile per fare magari scelte opposte in futuro: «dunque, per essere consapevolmente atei bisogna andare a messa», commenta l’autore; quasi che, al rovescio, aggiungerei io, per essere consapevolmente religiosi bisognasse iscriversi all’Uaar.
Oppure l’obbligo delle Forze armate italiane di abbassare le bandiere a mezz’asta dalle ore 12 del giovedì alle ore 24 del sabato prepasquale: dunque, «impossibile per un militare vivere pubblicamente da ateo», e forse difficile farlo anche privatamente, come per esempio non sposarsi in chiesa o non battezzare i figli. O infine tre esilaranti imperdibili news: a) «i paesi arabi sono i maggiori consumatori di prodotti pornografici»; b) per l’alto clero cattolico «il rock è satanico»; c) esiste tuttora, consultabile online, un anacronistico «indice dei film proibiti», a cura della Cei.
Né mancano nel libro imprevedibili colpi ai fianchi dei costruttori dell’immagine del «papa rivoluzionario», Francesco, che, tra l’altro, osserva Carcano, non ha esitato a paragonare lo spauracchio del gender alle armi atomiche, a chiedere ai medici obiettori di non prescrivere la pillola del giorno dopo, a equiparare l’eutanasia a un assassinio mafioso, a promuovere l’attività della Sacra Rota per ridurre il ricorso dei divorziandi ai tribunali civili. Non c’è che dire: una serie non casuale di interventi di tipo woytil-ratzingeriano, contro lo Stato laico e i diritti civili. Insomma, anche con questo papa, a cui pure tuttavia bisogna riconoscere, a mio parere, notevoli e coraggiose aperture e spirito di innovazione nel campo dell’etica sociale, i credenti che volessero davvero vivere in obbedienza ai dogmi clericali non se la passerebbero tanto bene.
Per contro i senza-Dio, gli atei e agnostici possono rivendicare la libertà e l’autonomia delle loro scelte e stili di vita, della loro condotta e dei criteri etici che la ispirano, delle loro idee, opinioni e giudizi. Col vantaggio di non possedere una dottrina unica, omologante, presuntuosamente immodificabile e indubitabile, in assoluto buona, vera e valida per tutti e per ciascuno; al contrario, si può dire, con Carcano, che «esistono tanti ateismi e agnosticismi quanti sono gli atei e gli agnostici».
È il tema delle differenze individuali, da Leibniz riassunto nel «principio dell’identità degli indiscernibili»: in base ad esso, il filosofo non esitava a sfidare persino la prima regina di Prussia, Sofia Carlotta, a trovare due foglie simili nelle sue lunghe passeggiate nell’immenso parco di Herrenhausen. Come nessuna foglia o filo d’erba, così nessuno di noi è, ontologicamente, uguale all’altro. «Sono eguali due rondini / se non sei rondine», recitava una sua bella poesia di Danilo Dolci.
Liberi dal dogma del marchio del peccato originale e della condanna biblica alla sofferenza, rinverdita dalla Chiesa con l’appello al fedele della «sofferenza in Cristo», atei e agnostici possono vivere a modo proprio, non danneggiando alcuno, la sola vita che hanno a disposizione, qui e ora, senza timori o speranze in un immaginario aldilà, e possono quindi, in conclusione, perseguire in autonomia il proprio «benessere psico-fisico». Concetto, quest’ultimo, con cui l’autore del libro suppone che si possa finalmente superare la diatriba tra le due forme di etica tradizionalmente contrapposte, l’eudemonismo e l’edonismo, la ricerca della felicità e la ricerca del piacere.
Sottolinerei qui la novità e l’importanza di questo stimolante spunto di ricerca e riflessione, sicuramente degno di ulteriori approfondimenti. Ma all’aggettivo «psico-fisico», che potrebbe sembrare riduzionistico, suggerirei però di aggiungere, con Savater, «mentale e spirituale», a indicazione del complesso mondo interiore di ciascuno di noi, fatto non solo di emozioni, desideri, ricordi, progetti e speranze, ma anche di valori, cultura, bellezza e conoscenza.
Un’ultima annotazione a margine mi sentirei qui di dover fare: vedo, in questo pur ottimo libro, una certa sottovalutazione della poliforme significanza del sentimento religioso, tendenzialmente schiacciato sulle strategie di potere delle gerarchie;
se questa polisemia negassimo, non ci spiegheremmo, credo, perché ci siano per esempio «preti contro» e comunità di base, la cui voce risuona anche in «MicroMega», o perché ci siano, e ci siano stati, ferventi mistici e credenti (uno per tutti, Guglielmo d’Occam, il filosofo del «rasoio» giustamente lodato anche da Carcano) inequivocabilmente antidogmatici, antigerarchici e antiautoritari, o perché ci siano stati infine i cosiddetti «teologi della liberazione».
(3 maggio 2016)
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