Walter devi scegliere: con Aristotele o con Napolitano?

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di Paolo Flores d’Arcais

In un editoriale sull’Unità del 24 luglio, il direttore Antonio Padellaro si è rivolto al presidente della Repubblica con toni più che rispettosi, e dopo aver ribadito la gratitudine a Napolitano per il modo in cui ha fin qui interpretato la sua alta carica, si è permesso di ricordare al presidente che sono “numerosi quelli che giudicano il lodo [Alfano] come un grave strappo al principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge” di modo che “da oggi dunque ci sono quattro cittadini più uguali degli altri e tutto per consentire a uno solo, e sappiamo a chi, di non essere più sottoposto ai dettami della giustizia, come un sovrano senza limiti”. Conseguenza-appello di Padellaro: “Caro Presidente, siamo convinti che lei troverà il modo e le parole per rispondere anche a questo largo malessere. In nome dell’unità nazionale che lei rappresenta, e che qualcuno cerca di calpestare per esclusivi interessi personali, gliene saremo grati”.
Apriti cielo! Nelle alte sfere del Partito democratico è stato un immediato e furibondo stracciarsi di vesti. Culminato nel lapidario e apologetico “quello del presidente Napolitano è un atto dovuto” del segretario Pd e premier-ombra Walter Veltroni. E per Padellaro solo un coro di “vade retro!”.
Ora, noi non ci permettiamo di entrare nel merito. Siamo infatti rispettosissimi di ogni istituzione, ombre comprese. Ci permettiamo però di richiamare tutti, presidenti e ombre, al più elementare dei doveri, quello del rispetto verso la logica.
L’articolo 74 della Costituzione recita: “Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione”. Può, purché lo motivi. I motivi, ovviamente, possono essere molti, e non solo quello – cruciale – di una manifesta incostituzionalità della legge. Ma se poi una tale incostituzionalità è manifesta, il “potere” del Presidente diventa un “dovere”, almeno moralmente, visto che il Presidente è, per comune definizione, il “custode della Costituzione”.
Ora, la stragrande maggioranza dei costituzionalisti italiani, compresi numerosi ex presidenti della Corte costituzionale, in un a cui il sito Repubblica.it ha dato grande evidenza (oltre 150 mila visitatori lo hanno firmato) ha parlato esplicitamente, a proposito del lodo Alfano, di “insuperabili perplessità di legittimità costituzionale”. INSUPERABILI. Dell’aggettivo “insuperabile” viene data dal Devoto-Oli la seguente definizione: “Precluso alla possibilità di venir superato sia al presente che nel futuro, insormontabile”. Significato inequivocabile, che nessuna acrobazia ermeneutica può manipolare.
Di modo che, se vogliamo rispettare il venerando Aristotele, almeno minimamente (non meno dei politici di oggigiorno), delle due l’una: ha ragione Veltroni, la firma di Napolitano era un atto dovuto, ma allora sbagliano tutti gli illustri costituzionalisti, e visto che tra loro ci sono quanti hanno per anni e anni presieduto la suprema corte, la chiave di volta del nostro intero sistema giuridico è stato in mano ad incompetenti. Oppure: la Corte costituzionale, presieduta da giuristi di vaglia, ha garantito il rispetto della Costituzione, i costituzionalisti hanno ragione nel dichiarare INSUPERABILI le perplessità di legittimità costituzionale in cui incorre il lodo Alfano, ma allora la firma di Napolitano non era affatto un “atto dovuto”, checchè ne sentenzi il premier-ombra. Che dovrebbe scusarsi con Padellaro.
Walter Veltroni è leggendario per il suo “ma anche”. Dalla parte di Napolitano “ma anche” di Aristotele, sarà perciò tentato di dire. Tuttavia, con Aristotele e la sua logica il “ma anche” è tassativamente vietato: “per la contraddizion che nol consente”, come diceva padre Dante, che la logica la rispettava (e mandava anche i Papi viventi all’inferno).
Perciò, caro Walter, devi scegliere: col filosofo di Stagira o con l’uomo del Colle?

(25 luglio 2008)



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