Xylella: dalla scienza più dubbi che certezze

Francesco Sylos Labini

Abbattere ulivi secolari è una decisione straordinaria che dovrebbe essere presa solo alla luce di evidenze scientifiche indiscutibili. Non è questo il caso della vicenda ulivi in Puglia. I dati che abbiamo, infatti, alla luce degli scientificamente imprescindibili ‘postulati di Koch’, non consentono di affermare con ragionevole certezza che il responsabile della malattia sia il batterio Xylella fastidiosa.

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Da qualche anno a questa parte, è stato notato che vari alberi di ulivo nel Salento sono affetti da una malattia che ne causa il disseccamento. Questa malattia è stata chiamata «Complesso del Disseccamento rapido dell’olivo» (CoDiRo) e la sua origine sembrerebbe dovuta, secondo alcuni, a un batterio, la Xylella fastidiosa (Xf). La «cura» per bloccare l’«epidemia», di conseguenza, corrisponderebbe al taglio degli ulivi infetti o di quelli situati vicino a quelli infetti. Non è mia intenzione ripercorrere le diverse tappe di questa intricata vicenda, che ha visto anche l’intervento della magistratura che ha messo sotto inchiesta alcuni ricercatori per diverse ipotesi di reato, e che ovviamente ha richiesto a più riprese scelte da parte dei decisori politici, sia a livello regionale pugliese, sia a livello nazionale che anche a livello europeo sollevando polemiche di vario tipo ( pubblicata su per maggiori dettagli). Vorrei invece concentrarmi su alcuni aspetti delle evidenze scientifiche date per solide e acquisite e che invece mi hanno lasciato piuttosto perplesso.

La faccenda, apparentemente, potrebbe sembrare molto chiara: gli ulivi malati sono infettati dal batterio Xf, trasmesso tramite un insetto vettore (chiamato, in gergo, «sputacchina»), che porterebbe l’agente patogeno, e con esso la malattia, da un ulivo all’altro. Per fermare l’epidemia, non essendo possibile «vaccinare» gli ulivi, è necessario tagliare sia quelli infetti sia quelli prossimi agli infetti. Tutto chiaro? Non tanto. Nonostante le varie pubblicazioni scientifiche e i rapporti commissionati dalla Regione Puglia, dal ministero delle Politiche agricole, dalla Commissione europea e finanche dall’Accademia dei Lincei, rapporti che sembrano mettere in chiaro in maniera definitiva la parte scientifica di questa vicenda, a mio parere permangono dei dubbi basilari cui non sono stato in grado di trovare una risposta soddisfacente. Poiché mi sono convinto che questi dubbi non siano soltanto miei personali e che non sia evidente trovare una risposta semplice, ho pensato d’illustrarli qui di seguito sperando che sia possibile fare chiarezza sui dati scientifici della questione Xf – su cui, appunto, poggia tutta la politica d’intervento per contenere la malattia degli ulivi.

In particolare vorrei soffermarmi sul punto centrale della pericolosità del batterio Xf: la prova che questo sia la causa della malattia degli ulivi. Se le conseguenze della sua pericolosità per gli ulivi sono, infatti, straordinarie, ci si aspetta che le prove scientifiche che mostrano la pericolosità della Xf siano altrettanto straordinarie. Secondo il recente documento dell’Accademia dei Lincei (Rapporto Xylella, pubblicato il 23 giugno 2016, goo.gl/0Mp21m), che presenta una rassegna della letteratura disponibile a oggi, «l’agente causale della malattia è Xylella fastidiosa, una conclusione che abbiamo accettato come non più discutibile».

Per stabilire il nesso causale tra Xf e malattia bisogna dimostrare i quattro postulati di Koch (dal nome dello scienziato che li ha formulati) che sono quattro ragionevoli criteri necessari per stabilire l’esistenza di una relazione causale tra un agente patogeno e una malattia. Il primo postulato asserisce che il microrganismo (cioè, in questo caso, il batterio Xf) debba essere trovato in abbondanza in tutti gli organismi colpiti dalla malattia, ma non debba essere trovato in organismi (ovvero ulivi nel nostro caso) sani. Il secondo postulato asserisce che il microrganismo debba essere isolato da un organismo malato e poi debba essere cresciuto in coltura pura in laboratorio. Il terzo postulato asserisce che il microrganismo coltivato debba causare la malattia quando è introdotto in un organismo sano. Infine, il quarto postulato asserisce che il microrganismo debba essere re-isolato dalla pianta infettata sperimentalmente in cui è stato inoculato di proposito e identificato come identico a quello specifico agente causale originale.

Il primo postulato implica dunque la presenza di correlazione: tutte le piante malate devono presentare il batterio e tutte quelle sane non lo devono avere. Questo è il primo punto critico. Nella figura 1, che riproduce una tabella estratta da uno dei due più recenti Audit effettuati dalla Commissione europea in Puglia, troviamo che su un campione studiato di 20.381 piante d’ulivo (che corrisponde al campione più numeroso per il quale si conoscono i dati) ci sono 987 alberi con sintomi della sindrome CoDiRo e 19.819 senza sintomi. Dei primi sono positivi al batterio Xf solo la metà circa, cioè 562. Dunque ci sono 425 ulivi che soffrono di sintomi della malattia, ma che apparentemente non sono affetti da Xf. Ci possono essere tre ragioni per questo fatto: la prima è che i test diagnostici non sono abbastanza sensibili per rilevare con alta frequenza la presenza della Xf (il che significa che i test diagnostici andrebbero rifatti molte altre volte per rivelare il segnale del batterio, oppure, la seconda ipotesi, è che Xf non sia la causa della malattia degli ulivi. Infine ci potrebbe essere la possibilità che la presenza di Xf aumenti all’aumentare della gravità dei sintomi, ma non avendo un’indicazione sulla gravità dei sintomi ma solo sulla presenza di sintomi non è possibile ora concludere qualcosa in proposito. In ogni caso il fatto che la metà degli ulivi con sintomi sia senza Xf è molto peculiare e va contro il primo postulato di Koch: senza una chiara correlazione tra presenza di Xf e malattia non si può concludere che vi sia anche un rapporto di causalità.

Inoltre il rapporto Linceo assume, sulla base dei dati del rapporto dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare Efsa (perché a questo fa riferimento quando menziona i postulati Koch e non fa riferimento altri dati non pubblicati), che addirittura il quarto postulato di Koch sul nesso di causalità sia stato dimostrato essere soddisfatto. Leggiamo, infatti, che «il batterio isolato da piante infette, e coltivato in forma pura in laboratorio, una volta re-iniettato in piante sane di ulivo e poligala, è in grado di riprodurre i sintomi della malattia, soddisfacendo quindi il postulato di Koch (Efsa Report, 2016)». Tuttavia nel recente rapporto Efsa, pubblicato il 20 giugno del 2016 (si veda «Workshop on Xylella fastidiosa: knowledge gaps and research priorities for the EU», goo.gl/miUJBF), non c’è nessuna dimostrazione dei postulati di Koch; è scritto chiaramente (p. 21 sezione 3.4.1): «È stato anche menzion
ato che i metodi di inoculazione possono non riuscire a riprodurre i sintomi o a consentire il successivo re-isolamento del batterio dai sintomi e, quindi, l’insuccesso nella dimostrazione dei postulati di Koch». Per questo insuccesso nella dimostrazione dei postulati di Koch nel rapporto si legge anche: «In particolare con batteri che hanno una crescita lenta e che sono difficili da isolare e mantenere in una coltura pura, i postulati di Koch sono troppo dispendiosi, in termini di tempo, per fornire una soluzione pratica» (p. 54, sezione 5.3).

Consideriamo ora i risultati di un esperimento controllato per verificare la relazione di causalità tra batterio Xf e malattia che dunque dovrebbe mostrare che i postulati di Koch sono soddisfatti. Nella tabella del rapporto Efsa, qui riprodotta (figura 2), sono riportati i risultati (poco chiari) circa il test del terzo postulato di Koch. Nella prima colonna è riportato il tipo di pianta di ulivo su cui è stato inoculato il batterio della Xf: questo numero è dieci per ogni varietà di ulivo considerata, per un numero totale di cinque varietà e cinquanta alberi e piantine. Nella seconda colonna si riporta il risultato al test qPCR che è necessario per rivelare il batterio Xf; il test è effettuato nel punto in cui il batterio è stato inoculato, un mese dopo l’inoculazione. Si nota che alcune piante sono negative al test: questo significa che o il batterio è scomparso dalle piante o il test non ha funzionato. In effetti, nella terza colonna lo stesso test è ripetuto dopo due mesi dall’inoculazione e si nota che per la varietà Cellina di Nardò ora ci sono dieci piante su dieci che si mostrano positive al test invece che sette su dieci come in precedenza osservato, per la varietà Frantoio c’è stato un incremento di una pianta, mentre per le altre varietà non si nota alcun cambiamento. Nella quarta colonna si riporta il numero di piante infettate fino un po’ sopra il punto d’inoculazione (circa 20 cm) nove mesi dopo l’inoculazione stessa: questo significa che il batterio Xf si sta diffondendo nelle piante. La quinta colonna riporta il numero di piante infette, cioè quelle in cui il batterio Xf si è diffuso, un anno dopo l’inoculazione. Ad esempio 9 (si presume sul totale di 10) piante di Cellina di Nardò e tutte e dieci le piantine di ulivo sono trovate essere positive al batterio Xf.

Il punto che ci interessa è capire quante piante positive a Xf sono anche affette da sintomi di disseccamento. Dopo un anno e due mesi, come riporta la sesta e ultima colonna, eccetto una certa varietà di ulivi (la Cellina di Nardò), che mostra sintomi per 7/8 casi (non è spiegato il motivo per cui i casi non sono 7/10, essendo dieci gli alberi con cui è stato iniziato il test – ovvero perché due piante sono state tolte dall’esperimento), per gli altri tipi di ulivo la malattia si dimostra in 0-3 casi su 10 (possiamo notare che, nei risultati finali, in tutti i casi non compaiono tutti gli alberi su cui si è iniziato il test: anche questo è apparentemente senza motivazione). In totale su cinquanta piante considerate nell’esperimento, trentotto sono state infettate dal batterio Xf (il 76 per cento) ma solo 13 (il 26 per cento del totale e il 34 per cento di quelle infettate da Xf) sono affette dai sintomi della malattia.

I dati che abbiamo discusso mostrano che, dalle osservazioni di quasi 20 mila ulivi, solo il 57 per cento degli alberi con sintomi è anche positivo a Xf; inoltre abbiamo notato che in un esperimento controllato con cinquanta ulivi, solo il 34 per cento degli alberi con Xf mostra sintomi, cioè nell’esperimento effettuato il 66 per cento degli alberi positivi a Xf non mostra sintomi di disseccamento un anno e due mesi dopo che il batterio è stato inoculato. Questi risultati sono davvero poco «straordinari» per giustificare delle misure «straordinarie» come l’abbattimento degli ulivi secolari. Non solo non c’è nessuna prova dei postulati di Koch per quanto riguarda il nesso di causalità, ma anche la semplice esistenza di una correlazione tra presenza della malattia e presenza del batterio Xf (che dovrebbe essere il punto di partenza per ogni altra considerazione circa la pericolosità del batterio Xf per gli ulivi) non ha un supporto solido nei dati). Infatti, i test condotti in laboratorio mostrano che il 66 per cento degli alberi positivi a Xf non sono affetti da disseccamento, fatto che va contro il primo postulato di Koch secondo il quale il patogeno non deve essere trovato negli organismi sani.

Questi fatti possono dunque essere interpretati come evidenze che la Xf non abbia un rapporto di causalità diretto con la malattia e anche come indicazione che gli ulivi possano essere dei portatori sani del batterio. Inoltre questi risultati sono difficilmente compatibili con la conclusione che la Xf aumenti, e dunque sia più facilmente rilevabile, all’aumentare della gravità dei sintomi, dato che si osservano ulivi sani portatori di Xf. In ogni caso per poter escludere che non vi sia, o confermare che vi sia, in maniera statisticamente più solida, un rapporto di causalità tra Xf e malattia c’è bisogno di un campione più grande di quello usato nei test descritti sopra (50 alberi).

In questa breve discussione abbiamo considerato solo un aspetto della vicenda Xylella fastidiosa, che riteniamo centrale. Vi sono però altri dati ed evidenze di un certo interesse, come ad esempio la modalità di diffusione del batterio che sembra avvenire in maniera puntiforme, colpendo alcuni alberi ma non quelli nelle vicinanze in maniera uniforme, come invece ci si potrebbe aspettare nel caso della propagazione di un’epidemia, o anche il rifiorire di alcuni ulivi malati trattati opportunamente. Per quanto riguarda i dati che abbiamo discusso qui, la nostra conclusione è che non si possono che avere dubbi, piuttosto che certezze, sulla pericolosità del batterio Xf rispetto al disseccamento degli ulivi. Questa situazione richiede, dunque, che gli studi scientifici siano non solo più approfonditi, prima che venga presa una qualsiasi decisione politica, ma anche che scienziati con competenze diverse siano coinvolti nello studio dei dati di questa confusa vicenda in cui troppo spesso si è dato per certo e assodato quello che è assolutamente tutto da dimostrare.

(12 settembre 2016)



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