Zagrebelsky, il Referendum e il paradigma della comunicazione

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Forse anche McLuhan sarebbe oggi d’accordo nel prendere atto che la verità del noto paradigma “il medium è il messaggio” (cioè il mezzo con cui si comunica non è neutrale) si intreccia sempre più con la verità del suo apparente capovolgimento “il messaggio è il medium”, dove, in epoca social, è anche il contenuto veicolato dal messaggio a risultare determinante nella formazione delle coscienze.
In un articolo del 23 agosto scorso su Repubblica “Il Referendum e l’asino di Buridano” e in una intervista rilasciata al Fatto Quotidiano il 18 settembre Zagrebelsky, affrontando le ragioni del Si e del NO, pare del tutto dimentico di questi semplici assunti. Quasi impossibile, guardando al contenuto del messaggio non rendersi conto di quali fossero origine e obiettivi della riforma proposta dal M5S: il Parlamento dipinto – in parole e immagini – come luogo improduttivo di fannulloni, corrotti che occupano poltrone e si autoassegnano privilegi. La sede di una “casta” ritenuta inutile (visione caratterizzata dalla più totale inconsapevolezza che le “caste” reali, concentrazioni di potere e ricchezza irraggiungibili, sono altrove indisturbate). Come diceva Grillo nel 2013 “Il Parlamento è un monumento ai caduti, una tomba maleodorante” “un corpo in agonia, non autonomo” reso marginale dal potere degli esecutivi. E, quindi, da superare in vista di una ipotizzata democrazia “diretta”, bene rappresentata dall’ulteriore obiettivo del M5S di cancellare l’art. 67 della cost. eliminando il divieto di mandato imperativo.
È da qui che emerge, con solare e inequivocabile chiarezza, l’humus di fondo della riforma sulla riduzione del numero dei parlamentari: frutto di pulsioni antiparlamentari, antipartitiche e antisindacali, apparse ciclicamente in Italia e in Europa tra ‘800 e ‘900, si ripresentano oggi nelle vesti tanto della Lega che del M5S, il più determinato e inconsapevole interprete della profondissima crisi di rappresentatività del Parlamento.
È sconcertante che tanti/e democratici non abbiano colto questo aspetto di fondo e che la riflessione dell’illustre costituzionalista si segnali più per le ragioni taciute – che riguardano i caratteri della lunga storia che ci ha condotto sin qui – che per quelle indagate, tutte piegate sulla contingenza. Il prof. Z. non si interroga infatti né sulle cause che hanno prodotto l’esaurirsi del ciclo della rappresentanza parlamentare fondata sui grandi partiti né sulle inequivoche finalità reali (“il messaggio è il medium”) sulla base delle quali il M5S ha realizzato questa riforma. Il Prof. Z ha in questo caso guardato al dito indicatore senza vedere la luna indicata da un linguaggio (quello del M5S) che non ammetteva equivoci di sorta. Molti, non tutti, i sostenitori del SI si ispirano a questa idea. Molti non tutti tra i sostenitori del NO hanno compreso la portata della vicenda e il lavoro politico enorme che attende chiunque intenda ricostruire il legame tra paese e Parlamento.
In una tale contesto – caratterizzato dall’assenza di qualsiasi pur inadeguato contrappeso tra quelli promessi dai riformatori – la vittoria del SI rappresenta un ulteriore indebolimento della funzione parlamentare. Ed, a seguire, un rafforzamento delle tendenze separatiste del regionalismo differenziato. Kelsen nei “Due saggi sulla democrazia in difficoltà” a commento della vicenda di Weimar, sottolineava come la crisi del parlamentarismo si accompagnava sempre a quella sociale economica: avendo l’una e l’altra a che fare con le diseguaglianze. È da questa prospettiva, in tempi di rivoluzionamento dei rapporti sociali che la pandemia ha accelerato ancora, che si possono apprezzare le lungimiranti ragioni del NO e del 30% di elettori soprattutto giovani che le hanno sostenute. Abbiamo subito una sconfitta ma, a partire dalla forza di quei giovani e di quelle ragazze, l’esito del conflitto è ancora aperto. Non è questione di numeri ma soprattutto dei contesti storici in cui ogni scelta viene collocata.
Mauro Sentimenti
(5 ottobre 2020)



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