Aboliamo le Regioni!

Alessandro Somma



Occorre un forte impegno ad abolire alcuni strati amministrativi intermedi come le Province: si chiudeva così la celebre lettera formata da Mario Draghi e Jean-Claude Trichet nella loro funzione di presidenti entrante e uscente della Banca centrale europea, che a fine 2011 aprì la strada al governo tecnico lacrime e sangue di Mario Monti. L’esecutore materiali di questo diktat fu il Governo Renzi, che però non riuscì a completare l’opera: si limitò, più che ad abolire le Province, a eliminare l’elezione diretta dei presidenti e dei consiglieri provinciali.

Probabilmente quell’opera non sarebbe neppure iniziata, se la furia austeritaria dei banchieri europei si fosse scatenata appena una decina di mesi dopo, quando scoppiò lo scandalo delle spese pazze alla Regione Lazio. La vicenda coinvolse inizialmente il consigliere berlusconiano Er Batman, al secolo Franco Fiorito, ma ben presto si allargò ad altre personalità e ad altre Regioni. Tanto che all’epoca si propose di abolire queste, in luogo delle province: se proprio si doveva risparmiare sulla democrazia, assecondando il clima da antipolitica all’epoca già imperante, allora era meglio farlo a spese degli enti territoriali che più avevano dato prova di essere un terreno fertile per il malcostume politico.

Come si sa, le cose non andarono così. Anzi: nel corso degli anni si sono moltiplicate le spinte verso una estensione delle prerogative regionali, peraltro prevista dalla riforma costituzionale del 2001, voluta da un Centrosinistra succube dell’autonomismo leghista.

Quella riforma prevedeva anche l’introduzione del federalismo fiscale, poi disciplinato da una legge del 2009 che porta il nome di Roberto Calderoli, all’epoca Ministro per la semplificazione normativa del governo Berlusconi II. La legge ha delegato il governo a emanare una serie di provvedimenti, tra i quali spicca un decreto legislativo del 2011 sull’autonomia di entrata delle Regioni, i cui effetti si sono però voluti rinviare: da ultimo con una disposizione contenuta nel disegno di legge di bilancio per il 2021. Quest’ultimo rinvio è però saltato, curiosamente negli stessi giorni in cui il Ministro per gli affari regionali Francesco Boccia, sentito dalla Commissione bicamerale competente in materia, ha affermato di voler finalmente realizzare l’autonomia differenziata. Ha infatti in cantiere due provvedimenti destinati ad attuare quanto è stata efficacemente definita la secessione dei ricchi, perché fortemente voluta da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto.

È possibile che non se ne faccia nulla: che il rinvio del federalismo fiscale venga ripristinato, e la realizzazione dell’autonomia differenziata rinviata. E tuttavia l’atteggiamento del governo esprime la miseria di una politica cieca di fronte al fallimento delle Regioni, reso più che mai evidente dalla drammatica inadeguatezza del sistema sanitario a fronteggiare la pandemia da coronavirus.

Le competenze regionali in materia sanitaria sono talmente estese da costituire la parte assolutamente preponderante della loro azione, esattamente come i relativi costi rappresentano la principale componente dei loro bilanci: incidono per oltre l’80% della spesa corrente. Certo, la miseria della sanità italiana ha origine nei tagli decisi a livello statale su diktat europeo, e tuttavia le Regioni ci hanno messo del loro. Ad esempio perché si occupano dell’organizzazione della sanità, e dunque dipende da loro se si è scelto di privilegiare le strutture ospedaliere a scapito della diffusione dell’assistenza sul territorio: esattamente ciò di cui avremmo bisogno per affrontare la pandemia senza il triste record di morti per covid.


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Si deve poi alle Regioni la mortificazione della sanità pubblica e il sostegno di quella privata, come si ricava in particolare dalle prassi di quelle interessate alla secessione dei ricchi. Il modello sanitario lombardo è fondato sull’equiparazione tra strutture pubbliche e private e anzi sulla competizione tra queste, alla base di una spietata aziendalizzazione delle prime. La sanità emiliano-romagnola non ha raggiunto questi livelli, ma promuove anch’essa il ruolo dei privati, come del resto si ricava da un gesto inquietante e simbolico: ha incentrato il sistema di welfare aziendale dei suoi dipendenti sulle prestazioni sanitarie, il che è francamente scandaloso per un ente chiamato a difendere il carattere universale del sistema della sicurezza sociale.

Insomma, le Regioni hanno dato prova di non saper esercitare le loro competenze, o peggio di farlo per mortificare il pubblico e alimentare forme di privatizzazione selvaggia. La loro azione ha sovente incentivato fenomeni di malcostume politico, smentendo così un assunto di chi, nel corso degli anni Settanta, aveva promosso l’attuazione del regionalismo: che avvicinare la politica ai cittadini significava contrastare la corruzione.

Da ultimo proprio le Regioni hanno poi alimentato quella forma di antipolitica che si esprime attraverso il caudillismo dei loro presidenti, interessati ad assicurarsi un futuro politico nazionale e impegnati a cercare visibilità ingaggiando scontri surreali con il livello nazionale: da ultimo quelli sulle misure anticovid. A queste condizioni promuovere ulteriormente l’autonomia regionale suona come una provocazione, alla quale non resta che rispondere con un’altra provocazione: aboliamo le Regioni!

(30 novembre 2020)




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