Aborto, aboliamo l’obiezione per i medici

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Di diktat in diktat, prosegue la crociata con cui papa Ratzinger sta tentando di smantellare le regole laiche della convivenza democratica, per sostituirle con la volontà confessionale della Chiesa cattolica gerarchica. Ora è la volta dell’obiezione di coscienza, che andrebbe garantita ai farmacisti, liberi dunque di scegliere quali medicine fornire ai pazienti e quali no, in ottemperanza alle prescrizioni del catechismo anziché alla prescrizione del medico. Quanto al cittadino non credente, che si arrangi.
In effetti, la disciplina dell’obiezione di coscienza nell’ambito della sanità va cambiata, e radicalmente. Ma in direzione esattamente opposta alla deriva clericale caldeggiata dal supremo Pastore tedesco. Non solo non è ammissibile che un farmacista possa discriminare i diritti dei pazienti, frustrando quelli di chi non vuole vivere secondo la morale (sessuofobica, oltretutto) di Santa Romana Chiesa. Ma va ormai modificata la legge che tale discriminazione consente ai medici, nei confronti di donne che vogliano valersi del diritto ad abortire (nei limiti previsti, ovviamente).
La clausola dell’obiezione era giustificata quando la legge entrò in vigore. Chi fino ad allora aveva intrapreso la missione medica (nella specializzazione di ginecologia) lo aveva fatto sapendo che tra i diritti della paziente (e dunque i doveri del medico) non vi era quello all’aborto, in nessun caso. Ma dal momento che un tale diritto viene legalmente in essere, il dovere del medico a non frustralo diventa l’altra faccia, ineludibile, di quel diritto, che altrimenti può finire in flatus vocis. Dal quel momento, insomma, il diritto all’obiezione di coscienza avrebbe dovuto valere solo come norma transitoria, per quanti fossero già medici nei reparti di ginecologia o per i laureati già specializzandi in tale ambito.
Chi avesse scelto successivamente la specializzazione in ginecologia non doveva più avere diritto all’obiezione, poiché la pratica di quel diritto può vanificare od ostacolare (come spesso avvenuto) il diritto della paziente. In altri termini: chi trova ripugnante per la propria coscienza l’aborto, scelga una diversa professione (nell’ambito della missione medica, del resto, vi sono infinite altre specializzazioni).
Sarebbe accettabile un magistrato che, ripugnando ciò alla sua coscienza, obiettasse rispetto a reati che prevedono l’ergastolo? Considerare l’ergastolo una punizione da abrogare può essere una convinzione più che nobile, ma fino a che tale pena è prevista nel nostro ordinamento, chi la vive come perentoria ha una sola strada: rinunciare a fare il magistrato.
Sarebbe accettabile che un giornalaio decida quali pubblicazioni vendere e quali invece negare a chi le chiede, sulla base dei suoi criteri di moralità (o moralismo)? Se non se la sente di guadagnare vendendo giornali che la sua coscienza ritiene indecenti, faccia un altro mestiere, perché la libera circolazione di tutte le pubblicazioni garantite dalla legge è un diritto primario dei cittadini.
Sarebbe accettabile che un tabaccaio rifiutasse di fornire a chi la richiede la schedina del lotto o di qualsiasi altra scommessa legale, perché «in coscienza» considera il gioco d’azzardo un peccato mortale (o sociale)? Potremmo magari simpatizzare con il suo rigore, e trovare indecente che lo Stato si faccia biscazziere, ma chiederemmo che ne dia prova cambiando mestiere. Perché il cliente ha diritto a giocare la sua schedina.
Ho utilizzato esempi diversi, che hanno un diversissimo impatto etico e sociale, dunque una importanza non assimilabile. Ma la logica è sempre la stessa. Chi trova da obiettare in coscienza contro i doveri legati a una professione (che sono l’altra faccia dei diritti garantiti dalla legge ai pazienti, clienti, consumatori, insomma ai cittadini) non intraprenda quella professione. Punto e basta.
La tradizione dell’obiezione di coscienza ha infatti una lunga e nobile storia di lotte, che riuscì alla fine ad affermare un principio civilissimo. Ma quel principio e quelle lotte nascono, come è noto, contro una misura che era costrittiva: la leva militare obbligatoria.
In quel caso non si trattava della scelta di una professione, ma di un obbligo. Il renitente alla leva, perché la sua coscienza non gli consentiva di portare armi, finiva in carcere. Il diritto all’obiezione di coscienza, diritto civilissimo, ripeto, e conquistato a costo di enormi sacrifici, voleva garantire la possibilità di dire no a un obbligo (quello del servizio militare e conseguente uso delle armi). Ma l’obiezione di coscienza di chi scelga la carriera militare come professione, o decida di fare il poliziotto o la guardia giurata, sarebbe una contraddizione in termini. A portare le armi non lo obbliga nessuno. Se la coscienza glielo vieta, non scelga quelle professioni.
Avrebbe senso fare il prete cattolico, e poi pretendere obiezione alla celebrazione del matrimonio, perché «in coscienza» non si crede più all’indissolubilità dello stesso? E un testimone di Geova, infermiere o medico, ha diritto a obiettare alle trasfusioni di sangue, per lui peccato mortale esattamente come per Ratzinger sono peccato mortale l’aborto o l’eutanasia? E un medico di fede musulmana potrà obiettare, e non visitare o curare un paziente, perché di sesso opposto? In Inghilterra a questa aberrazione siamo già arrivati. E un ebreo fondamentalista, che abbia intrapreso la professione del medico anatomo-patologo, potrà rifiutarsi di avvicinare cadaveri perché lo rendono «impuro»?
Potremmo continuare a moltiplicare gli esempi. Spesso drammatici, in generale seri, talvolta frivoli o perfino comici. Ma la risposta non può che essere sempre la stessa: di fronte a un diritto garantito al cittadino, chi in coscienza non può soddisfarlo scelga una professione diversa, che non lo metta in conflitto con la propria coscienza.
Altrimenti, avremo tante leggi quante le opinioni morali, cioè l’arbitrio di ciascuno di calpestare i diritti altrui, con l’alibi della «coscienza».
Infine: colpisce, in questo ennesimo conato di sopraffazione clericale, la postura difensiva dei «laici». Bene che vada si reagisce, con toni più o meno «misurati», quando un Ratzinger, un Ruini, un Bertone, un Bagnasco, architettano l’ennesima incursione contro la laicità democratica. Mai che si prenda l’iniziativa, che si provi a determinare l’«agenda», sul diritto all’eutanasia, sulla RU486, sulle staminali e la ricerca, sull’abrogazione del Concordato. Mai che si dica: o così, o non vi votiamo.

(Questo articolo è già pubblicato su Liberazione il 31-10-2007)



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