Come si muore all’estero

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Solo pochi paesi al mondo hanno scelto di legiferare direttamente sull’eutanasia e sul suicidio assistito, dando un quadro legislativo definito a una pratica che molte ricerche suggeriscono sia ampiamente diffusa negli ospedali di tutto il mondo. Si tratta dello Stato americano dell’Oregon, del Belgio e del­l’Olanda (la regione autonoma australiana del Northern Territory era stata la prima a introdurre una legge sull’eutanasia ma è stato successivamente costretto ad abrogare la legge, mentre la Svizzera ha scelto un approccio interamente diverso).
Negli altri paesi europei, si vanno man mano introducendo leggi che danno valore legale alle direttive anticipate (o testamento biologico) in cui ciascuno può lasciare indicazioni precise sui trattamenti che intende ricevere quando si troverà alla fine della propria vita e magari nell’incapacità di esprimere la propria volontà.
Il movimento verso un progressivo riconoscimento del valore del testamento biologico si appoggia anche sul testo della Convenzione di Oviedo, firmata dai paesi del Consiglio d’Europa e della Comunità Europea il 4 aprile 1997, che all’articolo 9 stabilisce: «I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione».
Ecco una rassegna del quadro legislativo in diverse parti del mondo (per quello italiano si veda l’articolo di Amedeo Santosuosso in questo stesso numero).

Oregon. Il piccolo (per popolazione, tre milioni e mezzo di abitanti a fronte di una superficie di poco inferiore a quella dell’Italia) Stato sulla costa atlantica degli Stati Uniti ha la più antica legislazione attualmente in vigore che permette esplicitamente il suicidio assistito con assistenza medica. L’Oregon Death with Dignity Act, una legge di iniziativa popolare, è entrato in vigore nel 1997 dopo aver superato per ben due volte l’esame di un referendum: la prima volta, nel novembre 1994, con una risicata maggioranza di 51 per cento; la seconda, nel 1997, con un ben più netto 60 dopo che un’ingiunzione ne aveva sospeso l’entrata in vigore. Nel 2006 è anche definitivamente fallito un tentativo da parte del governo Bush di bloccarne di fatto l’applicazione: il 17 gennaio la Corte Suprema ha respinto (con una maggioranza di sei voti contro tre) il tentativo del procuratore generale John Ashcroft di rendere perseguibili penalmente i medici che prescrivono dosi letali di medicinali in base alla legge.
Il Death with Dignity Act prevede che ogni adulto sano di mente e residente nello Stato, affetto – secondo il parere indipendente di due medici – da una malattia terminale, possa ricevere una dose letale di medicinali «per mettere fine alla sua vita umanamente e dignitosamente» (articolo 2.01). Una volta ricevuta la «ricetta» – generalmente i medici prescrivono una forte dose di barbiturici – sta poi al paziente decidere quando e come assumere la dose letale. Quel che conta è che deve essere il paziente stesso a commettere il suicidio perché la legge dell’Oregon vieta esplicitamente l’eutanasia attiva da parte del medico o di parenti e amici del paziente (articolo 3.14).
Come salvaguardia contro possibili decisioni avventate, la legge richiede il passaggio di 15 giorni (articolo 3.06) tra la prima richiesta, a voce, da parte del paziente e quella definitiva, da sottoscrivere alla presenza di due testimoni, uno dei quali non può essere un parente stretto né il medico di fiducia (articolo 2.02). Bloccando di fatto l’accesso alla legge a chi è paralizzato, il paziente deve essere in grado almeno di datare e firmare la richiesta di proprio pugno (articolo 2.02). Successivamente, il medico deve aspettare almeno 48 ore dalla richiesta scritta prima di prescrivere i medicinali letali, e al momento di farlo deve nuovamente accertare che si tratti di una «scelta informata» (articoli 1.01[7] e 3.04) da parte del paziente.
Dall’entrata in vigore della legge, nel 1997, il Department of Human Services dell’Oregon pubblica ogni anno un rapporto sulla sua applicazione. Dall’ultima edizione (2005), risulta che nel corso di 8 anni sono 246 le persone morte facendo ricorso al Death with Dignity Act. Contrariamente a chi aveva temuto una «corsa al suicidio», i dati mostrano un numero stabile di pazienti (poco meno di una quarantina) che ogni anno scelgono la via del «suicidio assistito»: si tratta di meno dello 0,5 per cento di coloro che, alla luce della loro cartella clinica, avrebbero potuto farne ricorso. Molti di coloro che avviano la procedura per ottenere la prescrizione letale, infatti, decidono poi di non servirsene. Per loro, però, la certezza di poter far ricorso alla «dolce morte» contribuisce in maniera significativa ad alleviare le sofferenze psicologiche legate alla propria condizione.

Olanda. Con quella che l’ex ministro per i Rapporti col parlamento Carlo Giovanardi ha definito una «legislazione nazista», l’Olanda ha scelto un approccio alla «dolce morte» diverso da quello dell’Oregon. Oltre al suicidio assistito è permessa infatti anche l’eutanasia attiva, purché praticata da un medico, e, caso unico al mondo, la possibilità di ricorrere all’«interruzione della vita su richiesta» – come recita il titolo della legge – è aperta anche ai minorenni con più di 16 anni, purché i genitori «siano stati coinvolti nella decisione» (articolo 2.3).
La legge è stata approvata il 14 aprile 2001 ed è entrata in vigore nel 2002. Prevede «di includere nel codice di diritto penale un criterio di esclusione della pena per il medico che in osservanza dei criteri di accuratezza pratichi l’interruzione della vita su richiesta o assista al suicidio». In effetti, già dalla fine degli anni Ottanta in Olanda era gradualmente iniziata una depenalizzazione di fatto dell’eutanasia, sancita da una legge del 1994, che la legge del 2002 ha definitivamente compiuto.
I «criteri di accuratezza» che il medico deve rispettare per non incorrere nell’accusa di omicidio (articolo 293 codice penale), elencati all’articolo 2, comprendono, tra l’altro, «la convinzione che si tratti di una richiesta spontanea e ben ponderata» da parte del paziente (articolo 2.1a), una situazione di «sofferenze insopportabili e senza prospettive di miglioramento» (articolo 2.1.b), l’aver debitamente informato il paziente della sua situazione e delle sue prospettive (articolo 2.1c) e l’aver chiesto il parere indipendente di un altro medico (articolo 2.1e). Non è quindi richiesto che il paziente sia in condizioni «terminali» – come accade, ad esempio, in Oregon – anche se è questo il caso del 95 per cento delle persone che vi fanno ricorso.
Nel caso in cui il paziente «non sia più in grado di manifestare la sua volontà», il medico può basarsi anche su una «dichiarazione scritta contenente una richiesta di interruzione di vita» (articolo 2.2).
Una delle norme più contestate della legge olandese è quella che apre anche ai giovani tra i 12 e i 16 anni la possibilità dell’eutanasia o del suicidio assistito, a condizione che siano ritenuti «capaci di ragionevole valutazione dei propri interessi» e che i genitori siano d’accordo (articolo 2.4).
L’applicazione della legge è supervisionata da una commissione di controllo su base regionale, composta da esperti di di
ritto, di problemi etici e medici, cui spetta giudicare, ex post, se il medico abbia agito secondo i «criteri di accuratezza» previsti dalla legge e, in caso negativo, informa l’autorità giudiziaria (articolo 9.2).
Anche in Olanda ogni anno viene stilato un rapporto complessivo sull’applicazione della legge, da cui risulta un ricorso molto più diffuso all’eutanasia (o al suicidio assistito) di quanto accada in Oregon. Nel periodo dal 2002 al 2004, ci sono stati 7.637 casi di applicazione della legge: le morti per eutanasia sono state, in quel periodo, il 2,5 per cento delle morti complessive mentre quelle per suicidio medicalmente assistito lo 0,2 per cento.
Il processo di accettazione dell’eutanasia da parte della società è stato graduale ed è passato anche attraverso un doloroso riconoscimento di quanto il fenomeno fosse, prima di ogni intervento di carattere normativo, diffuso nella pratica medica e nella vita degli individui e delle famiglie. Nel 1991 una commissione parlamentare portò alla luce che i casi di eutanasia «di fatto» andavano stimati fra 2 mila e 8 mila l’anno, e quelli di suicidio assistito in circa 400. Venivano segnalati anche circa 1.000 casi in cui i medici dichiaravano di aver praticato l’eutanasia senza esplicita richiesta del paziente. La constatazione della diffusione reale del fenomeno, insieme al parere favorevole dell’Associazione nazionale dei medici, hanno spianato la strada alla depenalizzazione prima e alla legalizzazione poi dell’eutanasia.
Si sta seguendo lo stesso percorso per quel che riguarda l’eutanasia neonatale. Un’indagine tra i neonatologi del paese ha stabilito che circa 600 bambini all’anno muoiono nel primo anno di vita a causa di una decisione medica (su un totale di 1.000 morti nel primo anno di vita; i nati ogni anno in Olanda sono circa 200 mila). Gli studiosi hanno anche esaminato i motivi per cui i medici scelgono – insieme alle famiglie – di praticare l’eutanasia ed elaborato una serie di linee guida, note come protocollo di Gröningen, per l’«eutanasia per i neonati» (1). Esse prevedono la «presenza di sofferenza insopportabile e disperata», che queste diagnosi e prognosi siano «confermate da almeno un medico indipendente» e che «entrambi i genitori» debbano «fornire il loro consenso informato».

Belgio. Segue abbastanza da vicino il modello olandese la legge belga sull’eutanasia, approvata il 28 maggio del 2002 e entrata in vigore il 22 settembre di quello stesso anno contestualmente ad una legge parallela sulle cure palliative, varata con lo scopo di evitare che i meno abbienti ricorressero all’eutanasia perché non in grado di permettersi una efficace terapia del dolore. In Belgio il dibattito era comunque vivace da anni e il primo esame parlamentare della legge sull’eutanasia risale al 1999.
L’impostazione della legge belga ricalca sostanzialmente quella dei vicini Paesi Bassi nell’aprire le porte all’eutanasia volontaria da parte del medico (senza citare però il suicidio assistito), con un occhio però a rendere più stringenti le norme di salvaguardia contro possibili abusi o semplificazioni del ricorso alla dolce morte. La legge prevede infatti, come quella olandese, che il paziente debba essere maggiorenne o «minore emancipato» (ovvero di almeno 16 anni), che la domanda sia formulata in maniera «volontaria, ponderata e ripetuta», senza l’influsso di pressioni esterne e che nasca da una «sofferenza fisica o psichica costante e insopportabile», senza possibilità di alleviamento e conseguenza di una «affezione accidentale o patologica grave e incurabili» (articolo 3 § 1). È richiesto anche qui il parere di un secondo medico indipendente oltre a quello del medico curante e, nel caso che il decesso del paziente non venga ritenuto imminente, anche di un terzo medico (articolo 3 § 3). In questo caso, è richiesto un intervallo «almeno di un mese» tra la richiesta scritta del paziente e l’eutanasia. Diversamente da quanto avviene in Oregon, se il paziente è impossibilitato a redigere di suo pugno la richiesta di eutanasia, può chiedere a una persona di sua fiducia di farlo, alla presenza di un medico (articolo 3 § 5).
Anche in Belgio esiste la possibilità di lasciare una «dichiarazione anticipata» (articolo 4).
La commissione di controllo, istituita seguendo anche qui l’esempio olandese, è però formata su base nazionale ed è composta da 16 membri (articolo 6 § 2) per una metà medici, per l’altra giudici o avvocati ed esperti della condizione dei malati incurabili.
Quasi in contemporanea con le leggi su eutanasia e cure palliative, il Belgio ha approvato anche, nell’agosto del 2002, una legge sui «diritti del paziente» che sancisce il diritto del malato ad un’informazione esaustiva, al rispetto della sua dignità umana e della sua autonomia. La legge permette anche anche di stilare una dettagliata «dichiarazione di volontà sul trattamento» (quello che noi chiamiamo testamento biologico), che può prevedere la richiesta di non trattamento o di sospensione delle cure in determinate condizioni. Il paziente può anche designare una persona di fiducia che ha il potere legale di far valere le sue volontà contenute nelle dichiarazioni qualora i medici non le rispettassero.
I dati sull’applicazione della legge nel biennio 2004-2005 indicano 742 casi di eutanasia, circa 31 al mese contro i 17 del biennio precedente. L’aumento, secondo Jean-Louis Vincent, è da ascrivere alla maggiore conoscenza, da parte di medici e pazienti, della normativa (2). Significativamente, oltre l’80 per cento delle richieste di eutanasia arrivano dai belgi di lingua fiamminga e solo il 14 per cento da quelli di lingua francese.
La legge sull’eutanasia belga non legalizza (né depenalizza) esplicitamente il suicidio assistito. Deve essere sempre il medico a somministrare la dose letale, per iniezione o per via orale. Tuttavia l’assistenza al suicidio non è un crimine in sé nel sistema penale belga ed è perseguibile solo come «omissione di soccorso».

Svizzera. L’approccio svizzero, unico nel mondo, è completamente differente. L’articolo 115 del codice penale recita: «Chiunque per motivi egoistici istiga alcuno al suicidio o gli presta aiuto è punito, se il suicidio è stato consumato o tentato, con la reclusione sino a cinque anni o con la detenzione».
Grazie alla norma sui «motivi egoistici» già a partire dagli anni Quaranta il suicidio assistito è di fatto tollerato dallo Stato e medici svizzeri sono disposti a prescrivere ai pazienti che ne fanno richiesta una dose letale, generalmente di barbiturici. Per meglio regolamentare la pratica del suicidio assistito, a luglio di quest’anno la Commissione consultiva sull’etica biomedica ha elaborato alcune raccomandazioni. Senza minare l’impianto attuale della legge, ogni decisione sul suicidio assistito «dovrebbe essere basata sui singoli casi» e l’attività delle associazioni per il «diritto a morire» dovrebbe essere regolamentata dallo Stato. È necessario anche prendere provvedimenti perché il suicidio assistito non venga offerto a pazienti con disordini mentali e ai minori e, ad ogni modo, «il suicidio assistito non può essere considerato parte dei doveri di un medico» e l’obiezione di coscienza garantita a chi ne fa richiesta.
La cornice legale dell’articolo 115 permette ad associazioni come Dign
itas ed Exit di offrire assistenza al suicidio a chi ne fa richiesta, restando non perseguibili grazie alla dimostrazione dell’assenza di un «fine egoistico». Dignitas, per esempio, ha aiutato dalla sua fondazione nel 1998 oltre 600 persone a morire, anche stranieri (3). Altra singolarità della legge svizzera è infatti quella che non circoscrive la sua applicabilità ai soli residenti o cittadini, dando la possibilità anche agli stranieri di recarsi in Svizzera per ricorrere al suicidio assistito. Di contro, la legge dell’Oregon richiede esplicitamente la residenza nello Stato del paziente mentre quelle olandese e belga, presupponendo un rapporto di fiducia lungo e continuato tra medico e paziente, chiudono di fatto le porte ai non residenti.
L’eutanasia attiva diretta è punita dagli articoli 111, 113 e 114 del codice penale ma quella indiretta (ad esempio, la sedazione per alleviare il dolore che ha l’effetto di accorciare la vita del paziente) è, in mancanza di una legislazione specifica, generalmente tollerata, così come quella passiva (sospensione delle cure). La legge del 28 marzo 1996 dà valore legale alle direttive anticipate del paziente.

Australia. Una legge sui «diritti dei malati terminali» fu approvata il 25 maggio 1995 dal parlamento della regione autonoma australiana del Northern Territory, con la risicata maggioranza di un solo voto. Un anno più tardi, il 1 luglio 1996, la legge entrò in vigore e il Northern Territory divenne il primo paese del mondo a legalizzare l’eutanasia volontaria.
Frutto della determinazione del primo ministro Marshall Perron, la legge «confermava il diritto di un malato terminale di chiedere assistenza a personale medico qualificato per mettere fine alla sua vita in modo umano» (Preambolo). Chi, «nell’ambito di una malattia incurabile soffre dolore o stress in una misura inaccettabile» (articolo 4) poteva chiedere assistenza a un medico nel mettere fine alla propria vita a condizione che le cure palliative non siano efficaci (articolo 8), ci sia il parere di un altro medico (articolo 7.1c) e che siano passati almeno 7 giorni da una prima richiesta (articolo 7.1i).
Il primo ad usufruirne dopo la sua entrata in vigore fu Bob Dent, che morì per una iniezione letale il 22 settembre 1996 (vedi l’articolo di Cinzia Sciuto in questo numero). La legge sui diritti dei malati terminali incontrava, tuttavia, la ferma opposizione dell’Associazione dei medici australiani e venne revocata il 24 marzo 1997, quando il parlamento federale approvò un emendamento alla legge fondamentale dello Stato del Northern Territory che stabiliva che il parlamento locale non aveva il potere di legiferare in materia di eutanasia.
Il 6 gennaio di quest’anno l’Australia ha adottato una legislazione ancora più rigida in materia di eutanasia e suicidio assistito, con una multa fino a 72 mila euro per chi fornisce per telefono, Internet o fax informazioni che incoraggino, direttamente o indirettamente, al suicidio, o forniscano informazioni su come procurarsi la «dolce morte». In seguito a queste nuove norme, lo storico attivista pro eutanasia Philip Nitschke, che era stato tra i sostenitori della legge del 1995, ha deciso di trasferire in Nuova Zelanda la maggior parte delle operazioni di Exit International, l’organizzazione da lui fondata.

Israele. È entrata in vigore lo scorso 15 dicembre, oltre un anno dopo la sua approvazione, la legge israeliana sulle direttive anticipate e l’eutanasia passiva. Ai pazienti sarà possibile depositare presso il ministero della Salute un modulo con le proprie preferenze sul trattamento nel caso in cui si ritrovassero in stato terminale.
L’eutanasia attiva rimane illegale ma viene introdotta quella che è stata definita «eutanasia meccanica»: per chi si ritrovi a sopravvivere grazie ad un respiratore, è prevista infatti l’installazione di un congegno a tempo in grado di spegnere automaticamente la macchina. Ogni 12 ore, una luce o un allarme ricorderà al paziente e ai suoi familiari di premere un pulsante che manterrà il respiratore in funzione per un altro giorno. Altrimenti, la macchina si spegnerà automaticamente nel giro di 12 ore.
La legge è stata elaborata nel corso di sei anni da un comitato di medici, giuristi, infermieri e autorità religiosa. A guidarla, il rabbino ortodosso Avraham Steinberg, neurologo pediatrico ed esperto di etica medica.

Germania. In Germania non esiste una legge che regoli direttamente l’eutanasia, che è da considerarsi comunque illegale secondo l’articolo 216 del codice penale. Più complesso invece il quadro per quel che riguarda l’assistenza al suicidio: il tentativo di togliersi la vita da parte di un adulto in pieno possesso delle proprie facoltà mentali non è punibile e quindi, secondo l’interpretazione corrente, anche l’aiuto al suicidio da parte di medici o familiari. Tuttavia, a norma di legge, l’assistenza al suicidio rimane perseguibile come «omissione di soccorso» (articolo 323c codice penale).

Francia. Il 22 aprile del 2005 il parlamento francese ha approvato una legge sui «diritti dei malati e la fine della vita» che regola, essenzialmente, l’eutanasia passiva e le direttive anticipate (i decreti attuativi sono stati pubblicati il 7 febbraio di quest’anno). Essa sancisce che è il paziente a prendere «le decisioni riguardanti la sua salute», che nessun trattamento può venir praticato «senza il suo consenso libero e informato», che questo consenso può essere ritirato in ogni momento e che il medico è tenuto a «rispettare la volontà della persona dopo averla informata della conseguenze della sua scelta» (articolo legge 1111-4). Per evitare l’accanimento terapeutico, la legge stabilisce che «i trattamenti medici «non devono essere condotti con un’ostinazione irragionevole» (articolo legge 1110-5) e che è nel diritto del paziente rifiutare un trattamento anche se questo può mettere a repentaglio la propria vita: in questo caso, il medico deve fare «tutto il possibile per convincerlo ad accettare le cure indispensabili» ma, se il paziente conferma la sua decisione dopo un lasso di tempo ragionevole, deve rispettare la sua volontà (articolo legge 1111-4). La legge sancisce anche la validità delle direttive anticipate, da rinnovare ogni tre anni (articolo legge 1111-11).

Regno Unito. I tentativi di introdurre una legge sul suicidio assistito (Assisted Dying Bill) nel Regno Unito hanno finora incontrato una forte resistenza da parte dei leader religiosi e dell’opinione pubblica: la legge ha ricevuto il suo terzo stop parlamentare lo scorso maggio, quando la Camera dei Lord ha deciso di ritardarne di altri sei mesi la discussione.
In Inghilterra, tuttavia, è stata approvata nel 2005 una legge che dà valore legale alle direttive anticipate (Mental Capacity Act) e rende perseguibili i medici che non le rispettassero (articolo 5).

Spagna. L’eutanasia resta illegale in Spagna, così come l’assistenza al suicidio, che, a norma dell’articolo 143 del codice penale, è punibile con pene severe che arrivano fino a dieci anni. Tuttavia, nel caso si tratti di una persona gravemente malata che abbia fatto più volte richiesta esplicita di voler esser aiutata a morire, la legge prevede una significativa riduzione della pena.
L’opinione pubblica è però sempre più attenta al tema dell’eutanasia e dell’«accompagnamento alla morte e sono s
empre di più coloro che chiedono al governo Zapatero di portare a termine il suo programma elettorale e di promulgare una legge sul modello di quelle olandese e belga. A ravvivare il dibattito hanno contribuito soprattutto – dopo il caso di Ramon Sampedro, reso noto in tutto il mondo dal film Mare dentro, vincitore di un Oscar – la vicenda di Inmaculada Echevarría e le proposte di Victoria Camps. La prima, affetta da distrofia muscolare e costretta a letto da vent’anni, ha fatto molto clamore in ottobre con la sua pubblica richiesta di morire con un’iniezione letale. La seconda, presidente del Comitato consultivo di bioetica della Catalogna, spera di suscitare un ampio dibattito con il lungo documento, presentato in novembre, in cui propone di depenalizzare tanto l’eutanasia come il suicidio assistito, per «sottrarre con chiarezza all’ambito penale gli atti degli operatori sanitari che abbiano come obiettivo l’aiutare a morire i pazienti che si trovino in una condizione medica irreversibile».
Una legge del 2002, approvata dal governo Aznar, dà valore legale alle direttive anticipate (articolo 1), purché queste non siano in contrasto con l’ordinamento giuridico o con le regole della pratica medica (articolo 3).

FONTI

Convenzione europea sui diritti dell’uomo.
Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazioni della biologia e della medicina: Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina (Convenzione di Oviedo).
The Oregon Death with Dignity Act.
Legge controllo interruzione vita su richiesta e assistenza al suicidio, Olanda.
Legge del 28 maggio 2002 relativa all’eutanasia, Belgio.
Legge del 28 maggio 2002 relativa alle cure palliative, Belgio.
Legge del 22 agosto 2002 relativa ai diritti del paziente, Belgio.
Rights of the Terminally Ill Act, Nothern Territory, Australia.
Code de la Santé Publique, modifié par la loi du 22 avril 2005, intitulée «Loi relative aux droits des maladies et à la fin de vie», Francia.
Assisted Dying for the Terminally Ill Bill, Regno Unito.
Mental Capacity Act 2005, Regno Unito.
Ley 41/2002, de 14 de noviembre, básica reguladora de la autonomía del paciente y de derechos y obligaciones en materia de información y documentación clínica (Spagna).

(1) E. Verhagen, P.J.J. Sauer, «Il protocollo di Gröningen. Eutanasia per i neonati gravemente malati», New England Journal of Medicine, 2005. Eduard Verhagen ha esposto le ragioni e le linee guida del protocollo di Gröningen su MicroMega – La Primavera n. 5 del 30 marzo 2006.

(2) Journal of Intensive Care Medicine, n. 32/2006, pp. 1908-1911.

(3) Seicentodiciannove al 20 settembre 2006, di cui 54 britannici, secondo quanto riportato da Ludwig A. Minelli di Dignitas nella sua relazione al Congresso del Partito liberale, Brighton, 20-9-2006. Per il racconto di alcune di queste storie, si veda l’articolo di Cinzia Sciuto in questo stesso numero.

(da MicroMega 1/2007)



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