Crisi economica, fratture sociali, ascesa del razzismo: il caso della Francia

Annamaria Rivera

La crisi dell’Unione europea non è solo economica e finanziaria; è anche, forse anzitutto, una crisi politico-ideologica, come ha ribadito Slavoj Žižek. Una delle espressioni più manifeste e allarmanti di tale crisi è la presenza in Europa di settori crescenti di opinione pubblica che esprimono orientamenti intolleranti verso gli altri, di partiti di stampo populista accomunati da programmi e retoriche anti-immigrati e anti-rom, nonché di frange apertamente razziste, neonaziste, spesso anche omofobiche.

Quasi ovunque la crescita dell’area dell’intolleranza è favorita dagli effetti sociali della crisi economica e dalla frattura, sempre più profonda, che divide le classi super-agiate dalla moltitudine che comprende i poveri, i salariati, i disoccupati, i socialmente declassati e coloro che vivono nella paura, fondata, del declassamento. Hanno il loro peso anche la crisi della rappresentanza e, in buona misura, ciò che abbiamo definito razzismo democratico, praticato da partiti di centro e finanche di sinistra, che cercano di riconquistare popolarità e consenso elettorale attraverso la competizione con la destra.

Esemplare è il caso della Francia attuale, che vede una società sempre più segmentata, segnata da difficoltà crescenti di convivenza tra diversi, afflitta da una grave crisi anche identitaria. Qui la spettacolare avanzata elettorale del Front National, guidato da Marine Le Pen, ha innescato un processo di rincorsa a destra dei partiti di centro e perfino di sinistra sui temi dell’”identità nazionale”, dell’immigrazione, della presenza dei rom, del ruolo dell’islam. Le Pen ha avuto la furbizia d’imbellettare il suo discorso con retoriche quali la difesa della laicità e dei valori repubblicani, rendendo così più digeribile il suo programma, che resta comunque sostanzialmente razzista.

E’ nel tentativo vano di contrastare l’ascesa del Front National, sottraendo ai lepenisti lo scettro sicuritario, che Nicolas Sarkozy, fin dall’esordio come presidente della Repubblica, indurisce la politica dell’immigrazione e promuove un dibattito sull’“identità nazionale”, la cui idea di fondo, implicita, è depurare la nazione dalle scorie degli estranei.

La mediocre presidenza di Sarkozy all’insegna di legge-e-ordine, ma solo per gli altri (lui è al centro di numerosi scandali politico-economici), ha lasciato un segno profondo nell’opinione pubblica e nella classe politica. Si pensi alla torsione dell’UMP, il suo partito, in senso intollerante, in qualche caso apertamente razzista, e alla politica che poi esprimerà il Partito socialista su questioni riguardanti l’immigrazione e soprattutto la “questione rom”.

Se si considera che la popolazione rom presente oggi in Francia non supera le ventimila persone, di cui la metà bambini, si può cogliere quanto tale “questione” sia gonfiata ad arte, rinverdendo la diffusa ostilità antizigana, tratto costitutivo della storia francese, così come la tendenza a fare dei rom il capro espiatorio. Basta ricordare la legge del 16 luglio 1912, che istituì l’obbligo del libretto antropometrico riservato ai soli “nomadi”, con foto, impronte digitali e dati quali il colore degli occhi e la lunghezza dell’orecchio destro, del piede sinistro, del dito medio, del gomito sinistro…

Abrogata questa legge infame solo nel 1969, sostituito il libretto con un “titolo di circolazione” obbligatorio, nel 2010 il quotidiano Le Monde rivela che l’OCLDI (Ufficio centrale per la lotta contro la delinquenza itinerante), organo della Gendarmeria francese, ha realizzato e conservato, almeno fino al 2007, una schedatura dei rom, del tutto illegale, con dati genealogici per la mappatura delle “famiglie zigane” e dei “gruppi a rischio”: quasi a riaffermare il vecchio teorema del razzismo biologico che classificava i rom come delinquenti per natura.

In particolare, dalla presidenza di Sarkozy fino quella attuale di Hollande, contro i rom sono aumentati in modo esponenziale gli enunciati e gli atti razzisti o comunque irrispettosi di diritti umani basilari: espulsioni in massa di persone inespellibili in quanto cittadini dell’Unione europea e perfino attacchi con acido corrosivo”, nel cuore di Parigi, contro adulti e bambini rom da parte di “persone esasperate”. Per non dire degli sgomberi violenti d’insediamenti irregolari, talvolta sollecitati anche da sindaci di sinistra o di estrema sinistra: è il caso, accaduto lo scorso novembre, del sindaco di Saint-Ouen, Jacqueline Rouillon, del Front de Gauche.

Mentre parteggiava per la cancellazione della parola “razza” dalla Costituzione, il ministro dell’Interno, il “socialista” Manuel Valls, riabilitava il buon vecchio razzismo legittimando, il 24 settembre 2013, la tesi dell’inassimilabilità dei rom. In continuità, in fondo, con ciò che un paio di mesi prima aveva osato dichiarare pubblicamente Gilles Bourdouleix, deputato-sindaco dell’UDI, un altro partito detto di centro, costituito di recente: “Hitler non ne ha uccisi abbastanza”.

“Si cancella il nome per far riapparire l’innominabile”, ha osservato il filosofo Michel Feher in un’intervista del 26 settembre 2013 per Les Inrocks. Il razzismo pudico, da benpensanti, differenzialista, come lo avevamo definito, ormai lascia spesso il posto a quello che si esprime, anche sguaiatamente, con attacchi e insulti razzisti “classici”: per esempio, quelli contro la ministra Christiane Taubira, ritratta più volte in sembianze scimmiesche, schernita perfino da un gruppo di bambini agitanti banane, aizzati da genitori ostili al “matrimonio per tutti”.

Intanto, come denuncia il rapporto più recente elaborato dalla CNCDH (Commissione Nazionale Consultiva dei Diritti dell’Uomo), l’anno 2012 ha visto, accanto alla progressione dell’islamofobia di sempre, “un ritorno inquietante” dell’antisemitismo e, per il terzo anno consecutivo, l’aumento di atti razzisti contro persone presunte di religione musulmana, identificate esclusivamente nei maghrebini e considerate “un gruppo sociale a parte”: è il vecchio fantasma coloniale, tuttora insediato nell’immaginario della classe politica francese e di una parte dei cittadini.

I dati del rapporto mettono in luce “un rifiuto crescente degli stranieri, percepiti sempre più come dei parassiti se non come una minaccia”, sul fondo di una diffusione allarmante della xenofobia e dell’intolleranza, e della “liberazione pubblica del discorso razzista”: favorita, a sua volta, dall’uso strumentale di temi quali l’identità francese, l’immigrazione, la laicità da parte della classe politica. A ulteriore dimostrazione che il razzismo detto popolare è sempre alimentato e/o sfruttato dalle élite dominanti.

In tempi di crisi economica e di disperazione sociale crescente, com’è quello attuale, solo nel breve periodo questa strategia può servire a distogliere l’attenzione pubblica dai problemi reali e dall’inadeguatezza delle élite a risolverli. Nel lungo e nel medio periodo è un gioco assai pericoloso, come la storia c’insegna.

Versione ampliata dell’articolo pubblicato in: Sbilanciamo l’Europa, suppl. al manifesto del 21 marzo 2014

(21 marzo 201
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