Dalla tragedia alla farsa. Razzismo stragista e vaniloquio mediatico

Annamaria Rivera

Si sa, in Italia anche le tragedie alla fine volgono in farsa. M’illudevo che il pogrom delle Vallette e la strage di Firenze avrebbero scosso le coscienze e sollecitato ripensamenti e analisi. Sicché non sarebbero stati banalizzati, come quasi sempre accade, né dimenticati dopo i pochi giorni utili a qualche strombazzamento mediatico. Me l’avevano fatto sperare la grande manifestazione di Firenze e qualche reazione indignata anche da parte di esponenti del governo. E invece…

Nella notte fra il 13 e il 14 dicembre scrivo un articolo, nel quale, fra l’altro, denuncio i legami tra Gianfranco de Turris e il killer Gianluca Casseri. Il pezzo è pubblicato il 15 dicembre da Liberazione e postato nel blog e nella homepage di questa testata, col titolo “Pogrom e stragi razziste: un presente cupo, un avvenire minaccioso”. Non sono una giornalista di professione, né una specialista dell’estrema destra, ‘solo’ un’antropologa che da più di vent’anni studia il sistema-razzismo, pubblicando saggi e articoli. Ma mi basta una breve ricerca in rete per verificare che de Turris è stato il prefatore delle due ‘opere’ del killer di Firenze, col quale ha condiviso anche la partecipazione a incontri e convegni sulla fantasy. Del resto, apprenderò dopo, il 14 dicembre lo stesso de Turris, intervistato da Francesco Specchia, giornalista del quotidiano Libero, aveva pubblicamente ammesso il suo rapporto di collaborazione e amicizia con l’assassino.

Nei giorni successivi mi accorgo con sorpresa che l’informazione democratica tace su questa relazione pericolosa. La sera del 17 dicembre denuncio lo strano silenzio in un incontro pubblico al quale partecipa un giornalista importante. Così il giorno dopo, finalmente, il silenzio viene rotto da Articolo21 che correttamente cita la fonte, cioè il mio articolo. Segue a ruota il blog di Gad Lerner, che non cita né me né Articolo21 e annuncia una trasmissione dell’”Infedele” dedicata alla questione. Come sempre accade in questo Paese, ove non si leggono giornali e meno che mai libri (figuriamoci saggi sul razzismo!) e ove la realtà coincide con “quel che ha detto la televisione”, d’un tratto, come per miracolo, i legami fra de Turris e l’omicida razzista diventano un affaire. E l’affaire suscita accese polemiche. Alcune testate di destra reagiscono con “sdegno”; dal canto suo Lettera22, che di destra non è, manifesta “sconcerto” per il vile attacco al “mite” e “stimato” giornalista, “conoscitore profondo del complesso pensiero di Julius Evola” (si noti l’aggettivo “complesso”).

Così per qualche giorno permane una certa attenzione mediatica verso la strage di Firenze, che si concentra soprattutto su de Turris, Casa Pound, Stormfront e così via, insomma sul contesto, culturale e ideologico almeno, in cui sono maturate le idee di Gianluca Casseri. Le quali, si suppone, non sono estranee agli omicidi razzisti che egli ha compiuto. Tuttavia, pochi si sforzano d’indagare e denunciare un altro contesto: quello della pletora di leggi, norme, discorsi, anche istituzionali, che, diffamando e inferiorizzando migranti e rom, spesso usandoli come capri espiatori, crea il clima propizio agli atti razzisti. Pochi puntano il dito contro una legislazione discriminatoria che, fra l’altro, subordina il permesso di soggiorno al possesso di un contratto di lavoro regolare e così non fa che clandestinizzare i migranti, per poi stigmatizzarli, discriminarli, rinchiuderli nei lager di Stato in quanto ‘clandestini’.

Nessuno ricorda le responsabilità anche del centrosinistra, che a suo tempo contribuì con leggi inique, pacchetti-sicurezza, campagne allarmistiche, retoriche sicuritarie ad alimentare quel che definimmo “razzismo democratico” e che altri (per es. Slavoj Žižek) hanno chiamato, altrettanto ironicamente, razzismo “ragionevole” o “rispettabile”. Era l’epoca in cui il governo Prodi convocava un consiglio dei ministri urgente (quasi un consiglio di guerra) per un fatto di sangue, come tanti purtroppo, ma attribuito a un rom. Quando impazzavano le ordinanze dei sindaci (non molto diverse da quelle leghiste) contro immigrati e marginali. Quando un certo Graziano Cioni, assessore alla sicurezza del Comune di Firenze, lanciava un’offensiva “a tutto campo”, come dicono i giornali, contro i lavavetri, pericolosi attentatori della sicurezza pubblica. Quando Gad Lerner, in un articolo a sostegno dell’ordinanza cionesca, denunciava il “racket dei lavavetri”, una “piaga”, una “figura odiosa” e “aggressiva”, simbolo per eccellenza dell’illegalità diffusa. Fu presto smentito dal Procuratore capo di Firenze, il quale, nel chiedere l’archiviazione delle numerose denunce penali a seguito dell’ordinanza, smentì anche la favola del racket. Un anno dopo, Graziano Cioni fu incriminato insieme ad altri, fra i quali Salvatore Ligresti, per un grave fatto di corruzione. Sicché provvide ancora la magistratura a mostrare dove si annidava davvero la “piaga” dell’illegalità.

Con questo non voglio affatto alleggerire le responsabilità della galassia neofascista, che rappresenta l’apoteosi dell’ideologia razzista e la sua messa in atto più aggressiva, fino all’omicidio e alla strage. A sminuirne la pericolosità e il peso ci mancava solo l’’esperto’ di CasaPound. Ed eccolo puntualmente intervistato dall’Espresso il 28 dicembre. E’ il “sociologo di sinistra” (così viene presentato) Emanuele Toscano, ricercatore dell’Università La Sapienza (così si presenta, ma risulta sia solo un assegnista), coautore di un saggio sui “fascisti del terzo millennio”. Il povero ‘esperto’ sembra anch’egli caduto vittima della sindrome di Stoccolma o forse solo della tendenza ad affezionarsi troppo ai propri oggetti di studio. Infatti, dopo aver deplorato l’idea malsana di chiudere CasaPound, incalzato dalle domande di Alessandro Capriccioli, nega che quei gentiluomini possano essere definiti xenofobi, meno che mai omofobi e neppure violenti, se mai esteti della violenza. Razzisti, allora? No, per carità! Essendo “la loro visione del mondo, assai lontana dalle posizioni del razzialismo biologico”, non possono dirsi razzisti. Che sono allora? Sono dei federalisti, risponde il nostro con sprezzo del ridicolo, i quali “riconoscono il diritto di essere liberi, di costruire un mondo solidale e hanno una visione dell’uguaglianza, ma non in termini universali” (forse voleva dire universalisti).

Un consiglio sommesso al “sociologo di sinistra”. Visto che ha la fortuna (in questi tempi grami) di godere di un assegno universitario, ne approfitti anche per studiare: 1. la Costituzione italiana, in specie la XII disposizione transitoria che vieta “la riorganizzazione del disciolto partito fascista”; 2. la storia delle ideologie fasciste; 3. alcuni buoni saggi sul razzismo storico e su quello attuale, dai quali apprenderà che esistono forme e metamorfosi svariate di razzismo (culturalista, differenzialista e così via) sicché quella biologista è solo una fra le tante. Lo sa che Julius Evola, il mito di quei gentiluomini, definiva il proprio come razzismo spiritualista? E che
egli si riteneva ed è, in effetti, un perfetto ideologo razzista?

Come avevo annunciato in esordio, nel nostro Paese alla fine tutto volge in farsa: è farsesco, infatti, che si sia costretti a consigliare all’’esperto’ di tornare a studiare.

(1 gennaio 2012)

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