DIARIO DELLE PRIMARIE / 4 – Il New Hampshire può dare il colpo di grazia a Joe Biden e al vecchio establishment che rappresenta

Elisabetta Grande

I risultati dei caucuses dell’Iowa sono forse finalmente definitivi quando stanno per cominciare le primarie del New Hampshire che, così come in Iowa, rappresentano un banco di prova importante non certo per il numero (ancora più esiguo) di delegati che il voto popolare accorda ai candidati, ma perché funzionano come trampolino di lancio o, al contrario, come battuta di arresto più o meno pesante per i concorrenti.

Cosa ci dicono i (“non”) risultati dell’Iowa sotto questo profilo? Al di là del problemi di conteggio e possibile riconteggio (sia pure soft: il così detto recanvass) dei voti su cui si è concentrata tutta la pubblica attenzione, il dato importante da rilevare è la drammatica sconfitta di Joe Biden. Dato come frontrunner nei sondaggi pre-elettorali, Biden ha infatti soltanto superato di non molto la soglia del fatidico 15% per ottenere dei delegati ed è finito al quarto posto dietro a Elizabeth Warren, da cui si distanzia per più di 2 punti percentuali, mentre Bernie Sanders e Pete Buttigieg –in sostanziale pareggio fra di loro- lo surclassano in maniera schiacciante, con più di 10 punti distacco. Una vera e propria Waterloo, insomma, per il candidato sostenuto da Hillary Clinton e da John Kerry, che la dice lunga su quel che gli elettori democratici dell’Iowa, pur in stragrande maggioranza bianca, non vogliono più.

Ciò che gli Iowiani sembrano aver condannato è il tipo di politica che Biden rappresenta. Si tratta della politica democratica vecchio stampo, e finora fatta propria dall’establishment democratico: quella che si dice a favore dei più deboli e poi non fa nulla per cambiare le regole di un gioco in cui vince sempre l’1% della popolazione più ricca, che negli Stati Uniti possiede ogni giorno di più e oggi è arrivata ad avere addirittura il doppio del 90% meno ricco. Una politica che, anzi, da quell’1% si fa sostenere economicamente, come dimostrano i finanziamenti per le campagne elettorali che da Obama in poi hanno visto il coinvolgimento sempre più pesante di milionari, miliardari e financo di alcuni gruppi di appoggio che fanno uso di soldi così detti “opachi” (le “dark money”), chiamati in tal modo perché se ne può tenere nascosta la provenienza.

Rompiamo con le pratiche di governo del partito democratico così come le abbiamo conosciute finora! E’ questo il messaggio che gli elettori dell’Iowa sembrano aver voluto inviare, accordando in massa la loro preferenza a Sanders, Buttigieg e Warren, ai quali è andato quasi il 72% del voto popolare. Perché se è vero che Pete Buttigieg, il giovane e colto ex sindaco gay di South Band Indiana, ha una visione più moderata rispetto agli altri due (meno socialista, direbbe con disprezzo Trump), è altrettanto vero che egli mira a incarnare il cambiamento, e ciò non soltanto per il suo orientamento sessuale, ma anche per il tipo di politiche in qualche modo keynesiane -di grandi lavori pubblici per le infrastrutture- che intende mettere in campo.

Joe Biden, dato ora in New Hampshire –a differenza di prima- in terza o quarta posizione in tutti i sondaggi, sembra dunque essersi scavato ulteriormente la fossa quando, venerdì scorso 7 febbraio, durante l’ottavo dibattito per le primarie, si è orgogliosamente messo i galloni di navigato esponente delle trascorse politiche di governo democratico. “Occorre lasciare la politica del passato al passato” è stato invece lo slogan di Buttigieg, che ha fatto tesoro del segnale di apprezzamento per la sua estraneità a quell’establishment e a quelle politiche. D’altra parte l’accusa di farsi finanziare da 40 miliardari (che peraltro per il momento hanno contribuito con importi circoscritti), mossagli da Sanders durante il debate è sapientemente andata proprio nella direzione di indebolirne l’immagine di politico della discontinuità.

L’altro dato che i risultati dell’Iowa ci consegnano è la conferma dell’importanza strategica che, per quanto finiti sotto attacco per il caos ingenerato dalle difficoltà incontrate nell’utilizzo di nuove e vecchie tecnologie (si tratta dell’ormai famosa app che in molti precincts non si è riuscita a scaricare, in combinato con l’intasamento delle linee telefoniche di assistenza), i suoi caucuses hanno. Buttigieg, da questo punto di vista, potrà non essere il nuovo Carter, ma certamente era quasi un perfetto sconosciuto prima del suo exploit in Iowa, quando nel migliore dei casi i sondaggi gli accreditavano solo poco più della percentuale minima per l’ottenimento di delegati. Il suo successo ha ora rovesciato tutti i rilevamenti per il voto nel New Hampshire. Così Emerson, per esempio, la stessa società che il giorno della votazione in Iowa gli attribuiva il 13% dei voti, a due giorni dalle primarie gli assegna il 24 %, mentre c’è chi, come Suffolk, lo mette addirittura in testa rispetto a Sanders.

La spinta ricevuta dai risultati dell’Iowa riguarda poi un altro aspetto cruciale per la buona riuscita della campagna elettorale: quello (già citato) finanziario. In una gara che si prospetta costosissima, la raccolta di fondi è vitale per i candidati. Si pensi che in base ai dati resi noti dalla Federal Election Commission, dall’inizio della campagna per le primarie alla fine del 2019, i candidati democratici avevano già raccolto quasi un miliardo di dollari, spendendone il 90%. Che dunque l’entusiasmo, generato dai buoni risultati ottenuti in Iowa, abbia permesso a Pete Buttigieg -secondo quanto da lui stesso riportato- di raccogliere nei soli tre giorni successivi alla votazione ben 2.73 milioni da 22,636 donatori di piccole somme, ha un valore non solo simbolico per il decollo della sua candidatura.

Joe Biden, al contrario, nonostante si avvalga per la raccolta dei fondi necessari alla sua campagna dell’aiuto di superPacs (super political action committees), come “Unite the Country”, in cui milionari e miliardari possono far confluire somme illimitate, versa oggi in una condizione economica precaria e dopo i risultati dell’Iowa difficilmente si riprenderà. Sarà arduo affermare, infatti, quel che prima di allora aveva affermato uno dei fundraiser di Biden, l’ex presidente del partito democratico della South Carolina Dick Harpootlian: “Tutti noi capiamo ciò che capisce Donald Trump, che Biden è il candidato più forte per battere Donald Trump”.

Le primarie democratiche del New Hampshire sapranno confermare o meno le indicazioni provenienti dall’Iowa, con una variante in più: sapranno cioè dire come si pongono rispetto ai candidati democratici coloro che non sono affiliati a nessun partito. A differenza dei caucuses dell’Iowa, che sono chiusi e non prevedono quindi la possibilità per chi non è registrato come elettore democratico di votare, le primarie del New Hampshire sono semi aperte: consentono, cioè, di partecipare anche a chi è indipendente. Un buon risultato in New Hampshire, in cui circa il 40% dell’elettorato si dichiara indipendente, è dunque un’ottima cartina di tornasole per capire cosa può succedere nei così detti swing states (gli Stati, cioè, in cui il risultato elettorale è incerto) durante l’elezione generale a Presidente della Repubblica.

In questa cruciale fase iniziale delle primarie, que
lle del New Hampshire sono dunque da osservare con grande attenzione.

(10 febbraio 2020)





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