È la donna che deve decidere

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Sembra incredibile che nel terzo millennio si debba ritornare a rimettere in discussione la legge sull’aborto, sembra impossibile che si debba ritornare nelle piazze a rivendicare un diritto che sembrava ormai inalienabile, ed invece eccoci qui a rispondere ad attacchi che avrebbero dovuto ormai far parte di un passato che credevamo lontano.

Le altissime personalità, ecclesiastiche, clericali o neoclericali, vogliono rimettere in discussione la legge sull’aborto; ora, è vero che tutte le leggi sono modificabili, nessuno esclude la possibilità di migliorarle, ma mi sembra che la tendenza sia quella restrittiva piuttosto che migliorativa. E nessuno per esempio ha affrontato fino ad ora il problema dell’obiezione di coscienza.

L’obiezione di coscienza aveva un senso quando la legge è entrata in vigore. Chi allora faceva il ginecologo, aveva scelto una professione che non contemplava il diritto della donna a decidere, ed eventualmente ad abortire. Oggi, invece, che il diritto della donna all’interruzione di gravidanza esiste da tempo, l’obiezione del ginecologo o dell’infermiere lede quel diritto. In molti casi, anzi, lo vanifica [vedi scheda informativa seguente]. Ogni professione, infatti, è vincolata ad alcuni doveri, e tali doveri sono definiti a partire dai diritti che hanno i cittadini in quanto utenti di quel servizio professionale. Questo vale per notai, avvocati, magistrati, giornalai (e non solo giornalisti), poliziotti… Le professioni hanno una dimensione pubblica, sulla quale non può incidere l’obiezione di coscienza. Se non si condivide la legge sull’interruzione di gravidanza, e il diritto della donna a decidere, basta scegliere di non fare il ginecologo. In medicina c’è anche pediatria, oncologia, chirurgia… E non si invochi l’esempio, civilissimo, dell’obiezione di coscienza quando la leva era obbligatoria. Perché, appunto, era obbligatoria. E discriminava chi volesse comunque «servire la patria» ma rifiutasse di portare armi. È stata dunque una conquista di libertà, il servizio civile alternativo. Ma per un mestiere scelto volontariamente, tale ragionamento non vale. Chi decida, fuori leva, di fare il poliziotto o il carabiniere, non può poi pretendere di non portare un’arma quando previsto. E del resto, cosa si direbbe di un infermiere testimone di Geova che si rifiutasse di praticare trasfusioni di sangue? Lo considereremmo solo come un paradosso inammissibile. Il farmacista è tenuto per legge a vendere ogni genere di preservativo, anche se ritiene che il suo uso costituisca un peccato mortale. E il giornalaio a tenere nella sua edicola tutte le pubblicazioni legalmente stampate, anche quelle che ritiene lontane dal suo pensiero civile o religioso che sia. Dunque: chi non intende rispondere al diritto della donna di abortire secondo la legge, dovrebbe semplicemente scegliere di fare un’altra specializzazione in ambito medico. Perché il diritto della donna a decidere è stabilito in modo inequivocabile dall’art. 6 della legge: «L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata […] quando siano accertati processi patologici […] che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna».

E invece, l’obiezione di coscienza dei ginecologi sta rischiando di rendere impossibile di fatto questo diritto della donna – che le istituzioni sono tenute, in ogni caso, a garantire e a rispettare – svuotando la legge e abrogandola di fatto. Ho dichiarato più volte il mio pensiero sull’ingerenza che la Chiesa cattolica esercita sulle decisioni di questo paese, e non solo sul tema dell’aborto: penso alla fecondazione assistita, allo studio delle cellule staminali, all’uso del preservativo come prevenzione dell’Hiv, al riconoscimento delle coppie di fatto, all’omosessualità e via dicendo. Ma rimaniamo sul tema dell’interruzione di gravidanza: trovo intollerabile l’eventualità della proposta avanzata di inserire gruppi di sostegno di orientamento cattolico nei consultori per le donne che decidono di abortire.

Le donne che decidono di interrompere una gravidanza hanno senz’altro bisogno di un sostegno psicologico, nonostante la superficialità del giudizio di chi crede che abortire sia una scelta priva di sofferenza. Ma che cosa c’entra la religione, con il sostegno psicologico? Perché una realtà privata come la religione deve entrare nella vita pubblica, sedersi accanto alla scienza psicologica in un consultorio, come se fosse effettivamente chiamata in causa, come se avesse un diritto da esercitare? Nessuno ha riconosciuto alla Chiesa questo diritto e questo primato. In uno Stato laico è intollerabile che il sostegno psicologico per l’interruzione di gravidanza possa essere affidato ai cattolici. Esso deve essere affidato agli psicologi. Psicologi al servizio della donna e della sua libertà di scelta. Mi indigna però anche la colpevole latitanza di chi dovrebbe difendere la laicità dello Stato. La manifestazione di Milano dimostra che, come me, molte altre donne, molte altre persone si indignano. Questo dimostra che, quando si affrontano tematiche che toccano i diritti dei cittadini sui problemi reali, la gente risponde, c’è, partecipa. (La stessa cosa sta infatti avvenendo per la legge di iniziativa popolare sull’allontanamento dei partiti dalla Rai, lanciata da Sabina Guzzanti) (1).

La politica non dovrebbe mai dimenticare di svolgere la sua funzione raccogliendo ciò che è vitale nella società; è questo il suo compito, occuparsi del bene comune, al servizio dei cittadini. Non è vero che la gente non ha voglia di partecipare. È che spesso sente i politici distanti dalla vita reale, e prevale un sentimento di solitudine e di abbandono e, soprattutto nelle nuove generazioni, di qualunquismo che porta a dire: «Sono tutti uguali». Bisogna scardinare questa ormai diffusa mentalità e lo si potrà fare solo ritornando ad affrontare i problemi reali delle persone, e difendere la laicità dello Stato è il primo passo per difendere i diritti dei cittadini, tutti i cittadini, credenti e non. Uno Stato laico ha il dovere di formare una coscienza civile, quella religiosa deve seguire un altro percorso. Individualmente ognuno è, naturalmente, libero di fare quello che vuole nella propria vita. Può seguire quello che la Chiesa gli consiglia. Può non usufruire delle cure che si possono ottenere con la sperimentazione sulle cellule staminali, si può decidere di non usare il preservativo, di non divorziare, di astenersi dal sesso. Ma, da laica, esigo che questo Stato laico legiferi anche per me, che invece voglio poter decidere altrimenti.

Sempre di più, invece, il principio del rispetto di tutte le posizioni da un punto di vista laico è continuamente esposto a rovesci, a omissioni. Nessuno ha difeso, ad esempio, gli omosessuali quando la Chiesa li ha equiparati ai pedofili, (quando per arginare il problema della pedofilia negli istituti religiosi ha deciso di negare il sacerdozio agli omosessuali). Un’affermazione gravissima, eppure nessuno ha protestato nel modo energico che la gravità del caso richiedeva. Lo ha fatto solo l’Arcigay: ma, in realtà, un simile sproposito avrebbe dovuto essere sentito da tutti i cittadini democratici, anche credenti, come un’offesa. Voglio avanzare una proposta. Proprio perché sono stanca della rozza percezione dei problemi delle donne (ma anche della vita, dell’amore, delle scelte individuali, sessuali e dell’etica) che il dibattito pubblico ci restituisce, vorrei che a decidere della legge
194 fossero solo le donne. Vorrei che sul tema dell’aborto gli uomini si astenessero. Per una donna la decisione di abortire è dolorosa, troppo dolorosa, e troppo delicata. Da donna, sono stanca di sentire eresie (queste sì), che giudicano l’interruzione di gravidanza come forma di contraccezione. Chi dice queste cose, è troppo lontano dalla realtà della vita per permettersi un giudizio. Solo una donna può capire che cosa vuol dire rinunciare a una gravidanza. È qualcosa che, anche con le migliori intenzioni, gli uomini non possono capire. La mia proposta provocatoria è questa: lasciamo che in parlamento su questo tema legiferino esclusivamente le donne. Sono certa che, se saranno solo le donne di tutti e due gli schieramenti a impegnarsi su questo tema, non potranno che seguirne degli effetti positivi. E molte distorsioni verrebbero evitate. Mai mi sarei aspettata di dover ritornare a discutere di argomenti di questo tipo. Suona come un ritorno di vetero femminismo? Pazienza. Non mi importa.

(1) Per aderire, cfr. il sito www.perunaltratv.it.



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