Il caso Fontana e il neorazzismo all’italiana

Annamaria Rivera

Il dibattito seguito alla castroneria razzista sul rischio dell’estinzione della “razza bianca”, pronunciata da Attilio Fontana, candidato del centro-destra in Lombardia, evidenzia la tendenza a rimuovere gli antecedenti e la ciclicità del ritorno del razzismo più rozzamente biologista nel nostro Paese. Il decisivo contributo leghista e l’opportunismo degli altri.

Solo ora conviene proporre qualche riflessione critica, ora che finalmente si è spento il chiacchiericcio mediatico intorno alla castroneria razzista sul rischio dell’estinzione della “razza bianca”, pronunciata da Attilio Fontana, candidato del centro-destra in Lombardia.

Uno degli aspetti più fastidiosi del “dibattito” che è impazzato su svariati media è la retorica, illusoria o menzognera, della prima volta, come la definisco da alcuni anni[1]. Prevale, infatti, nella coscienza collettiva come fra tanti locutori mediatici (anche quelli che si reputano antirazzisti), la tendenza a rimuovere gli antecedenti, lo sviluppo, la ciclicità e comunque la lunga durata del neorazzismo all’italiana, cui il leghismo, ma non da solo, ha dato un contributo rilevante.

Non è certo la prima volta che nel nostro Paese il razzismo verbale più rozzamente biologista si esprime in maniera esplicita e cruda. Per non andare troppo indietro nel tempo, si può citare l’anno 2013 che ha visto – come ho già scritto altrove[2] – uno sconcertante ritorno della “razza”, evocata da topoi simili a quelli che potevano trovarsi nelle pubblicazioni popolari al servizio della propaganda fascista: anzitutto il motivo ricorrente che assimila i “negri” a scimmie, col tipico corollario di banane.

Nel corso di quell’anno, dileggi e insulti di tal genere s’intensificarono sempre più, prendendo a bersaglio calciatori d’origine subsahariana o d’altra provenienza straniera, oppure “solo” meridionali; ma soprattutto l’allora ministra per l’Integrazione, Cécile Kyenge, fatta oggetto d’incessanti attacchi razzisti. Uno dei più gravi, anche per la carica istituzionale ricoperta dal locutore, fu quello pronunciato da Roberto Calderoli che, da vicepresidente del Senato qual era, osò assimilare la ministra a un orango.

Dunque, non è la prima volta che una bocca leghista pronuncia espressioni classicamente razziste. Di quelle a opera di Calderoli la lista è troppo lunga per poter essere citata qui. Ugualmente estesa è quella riguardante Matteo Salvini, attuale segretario federale della Lega. Basta allora ricordarne una delle tante: “I topi sono più facili da debellare degli zingari, perché sono più piccoli”, sentenziò senza alcuna vergogna nel 2008.

Quest’ultimo è un indizio, fra i numerosi, di quanto l’ideologia, la struttura del discorso e il lessico leghisti debbano al repertorio del nazionalsocialismo: dalle metafore zoologiche usate per de-umanizzare gli altri al mito di “sangue e suolo”, dalla compresenza d’integralismo cattolico e mitologia celtica fino al recupero di elementi del simbolismo e della letteratura nazisti. Perché non vi sembri un’esagerazione: i Giovani Padani, in particolare, hanno eletto a propri ideologi Silvano Lorenzoni e Federico Prati, due che del loro orientamento nazionalsocialista non fanno mistero. Basta dire che l’uno è coautore de I Fondamenti dell’Etnonazionalismo Völkisch (2006), l’altro è autore di Filosofia, Dottrina e Mistica dell’Etnonazionalismo Völkisch (2008)[3].

En passant: oggi può risultare quasi paradossale che in Liberi e Uguali, ove a ragion veduta si è gridato allo scandalo per la sortita di Fontana (“è un razzista. Deve ritirare la candidatura in Lombardia”), militino Massimo D’Alema, il teorizzatore della Lega Nord quale “costola della sinistra” e Pier Luigi Bersani: colui che a metà febbraio del 2011, da segretario del Pd, sulla prima pagina de La Padania proponeva ai leghisti un patto tra “le due vere forze autonomiste del Paese”, denegando fermamente il carattere razzista della Lega[4].

Uno dei temi sui quali, a partire dallo “scandalo” Fontana, si sono soffermati alcuni media di orientamento quanto meno “progressista” è quello della fondatezza o meno delle categorizzazioni razziali, quindi della legittimità o non dell’uso del termine e del concetto di “razza”. Si potrebbe commentare che ci voleva un leghista perché la “razza” tornasse a essere oggetto di dibattito, sebbene alquanto tardivo e arretrato. Infatti, ha quasi un ottantennio il percorso compiuto dalle scienze biologiche e sociali nella direzione della delegittimazione, decostruzione, infine abbandono della "razza" a causa della sua assoluta infondatezza.

Ricordo che a partire dal 2014 un gruppo di antropologi biologi, cui si sono aggiunti degli antropologi sociali, compresa chi scrive, si batte per la cancellazione/sostituzione della parola “razza” dall’art. 3 della Costituzione[5]. In un’intervista rilasciata al manifesto, Gianfranco Biondi

– firmatario, con Olga Rickards, del primo appello in tal senso – puntualizza giustamente che ciò non servirebbe, certo, a liberarci dal razzismo, ma almeno Fontana non avrebbe potuto giustificare il suo sproposito “con la citazione letterale della Costituzione”. Che nella Carta fondamentale sia nominata la “razza” – aggiunge Biondi – oggi suona “come se ci fosse scritto che il sole gira intorno alla terra” [6].

Ciò nonostante, non pochi sono, anche a sinistra, coloro che si oppongono decisamente a una tale proposta. Nella medesima pagina del manifesto, un articolo di Massimo Villone, insigne costituzionalista, la rigetta con argomenti, a mio parere, alquanto deboli o speciosi, quale "una Carta fondamentale non è un manuale universitario". Comparare poi, com’egli fa, il tema della "razza" a quello di "salute, cure, trattamento sanitario"[7] – oggi, certo, declinato in termini assai diversi che nella Costituzione – mi sembra essere la spia di una certa sottovalutazione dell’enorme portata politica, storica, morale della questione della "razza".

Infine, non è superfluo sottolineare come lo "scandalo" intorno alla sortita di Fontana, indubitabilmente razzista, sia in buona misura ispirato dal clima pre-elettorale. Esso è utile, fra le altre cose, a coprire o minimizzare la gravità di misure governative di carattere razzista e neo-coloniale, come quella dell’invio in Niger di un contingente militare italiano che potrebbe arrivare fino a 470 unità: addestrato e finalizzato, in sostanza, a condurre la guerra contro i profughi. Quest’avventura militare è stata approvata dal Parlamento anche grazie ai voti della destra – da Forza Italia a Fratelli d’Italia – e all’astensione compiacente della Lega Nord[8].

NOTE

[1] A tal proposito si veda, per es., il mio Regole e roghi. Metamorfosi del razzismo, Dedalo, Bari 2009.

[2] A. Rivera, Una crisi anche politica e morale. L’Italia tra preferenza nazionale e ritorno de
lla "razza",
in Lunaria (a cura di), Cronache di ordinario razzismo. Terzo Libro bianco sul razzismo in Italia, 2014, p. 18: https://www.lunaria.org/wp-content/uploads/2014/10/impaginato-low.pdf.

A. Rivera, Il ruolo della "razza" nel razzismo, "La rivista del Centro studi della Città della Scienza", 29 febbraio 2016: http://www.cittadellascienza.it/centrostudi/2016/02/il-ruolo-della-razza-nel-razzismo/

[3] Uno sviluppo più ampio di questo tema è nel mio Le matrici neonaziste del leghismo, postfazione al volume, più che mai attuale, di Walter Peruzzi e Gianluca Paciucci, Svastica verde. Il lato oscuro del va’ pensiero leghista, Editori Riuniti, Roma 2011. [4] G. Palieri, Federalismo, ‘feeling’ tra Lega e Pd. Bersani ospite su La Padania, ANSA, 14 febbraio 2014: http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/politica/2011/02/14/visualizza_new.html_1587746387.html [5] Si veda il numero monografico 27-28 della rivista "scienza & società" su: Addio alla razza. Una parola pericolosa che per la scienza non ha senso.

[6] A. Fabozzi, “Quella parola è un errore, il testo del ’48 va corretto”, intervista a Gianfranco Biondi, "il manifesto", 17 gennaio 2018, p. 5.

[7] M. Villone, Ma in quella norma c’è l’identità del Paese, "il manifesto", 17 gennaio 2018, p. 5.

[8] In proposito si veda l’ottimo editoriale di Tommaso Di Francesco, Niger, la missione nell’urna, "il manifesto", 18 gennaio 2018.

(19 gennaio 2018)



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