Il coraggio della radicalità

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Il racconto di Dietrich Bonhoeffer, teologo luterano tedesco, protagonista della resistenza al Nazismo giustiziato nel campo di concentramento di Flossenbürg all’alba del 9 aprile 1945, pochi giorni prima della fine della guerra, attraverso il libro di Roberto Fiorini “Dietrich Bonhoeffer. Testimone contro il nazismo” (Gabrielli Editori).

di Giuseppina Vitale

Cinque anni fa con la pubblicazione della biografia sull’esperienza conciliare, Roberto Fiorni[i], ex prete operaio mantovano e responsabile della rivista Pretioperai[ii], poneva un focus sugli “anni ruggenti” del cattolicesimo italiano. Oggi, nel suo ultimo lavoro, edito da Gabrielli, fa parlare invece Dietrich Bonhoeffer, che diventa non solo oggetto della sua opera, ma pienamente soggetto, così come sottolineato nella prefazione curata dal teologo Paolo Ricca.

L’uomo salito sul patibolo nazista 75 anni fa (il 9 aprile 1945), aveva già affascinato Fiorini negli anni Settanta, mentre maturava la scelta di entrare a tempo pieno nel mondo del lavoro “per dare un volto gratuito al ministero di prete” (p. 9), ma solo negli anni Novanta l’affinità intellettiva con il teologo di Breslavia si concretizzò nella stesura della tesi di licenza, titolata Theologia crucis in Dietrich Bonhoeffer. Lo sforzo di avvicinare pensiero e vita, teologia e azione, obbedienza e responsabilità traccia un filo rosso tra la vita di Bonhoeffer e le scelte di Fiorini. La chiarezza della fede, riscontrata senza remore nella intensa e a tratti brutale vita di Bonhoeffer, sarà la stessa che contrassegnerà le esperienze di dissenso del cattolicesimo postconciliare.

La vita di un uomo nato nei primi del Novecento in una famiglia alto borghese tedesca di antica tradizione luterana anima non soltanto una energica apertura culturale e sensibilità spirituale, ma pure una radicale resistenza politica al nazismo, vissuta come nesso indissolubile con la fede cristiana. Il 30 gennaio 1933 Hitler divenne cancelliere del Reich, il primo febbraio Bonhoeffer tenne una conferenza radiofonica su Il Führer e il singolo nella giovane generazione, egli colse con estrema lucidità quella che sarebbe stata poi definita la “religione della politica”[iii], la sacralizzazione della politica nutrita da un acceso nazionalismo capace solo di mietere vittime e spaccature. Egli intuì quanto la divinazione della funzione di führer equivalesse a una forma di idolatria che si faceva beffa dell’unico Dio. Criticò con spirito e radicalità la chiesa dell’idolo contrapponendola costantemente alla chiesa della parola.

Fiorini lascia spazio al pensiero di Bonhoeffer rendendolo sempre attuale, sempre in grado di smuovere le coscienze e interrogare il cattolicesimo tutto, in grado di adottare la prospettiva degli esclusi per consegnare una lettura sempre nuova dei tempi. Con simpatia umana e cristiana Bonhoeffer si avvicinò alle chiese nere degli Stati Uniti, ai ragazzi proletari e ribelli del quartiere di Berlino – che dovevano essere preparati per la loro confermazione in chiesa – e agli ebrei; attraverso questi incontri egli maturò una teologia nuova, fatta da uomini veri, lontani dalla “maschera del mondo cristiano” (p. 24).

Bonhoeffer aveva ventiquattro anni quando, con una borsa di studio, si recò negli Stati Uniti e grazie al suo compagno di camera nero, Frank Fisher, cresciuto in Alabama, entrò a contatto con persone che provenivano da famiglie di schiavi, ma soprattutto con le “chiese negre”; scoprì il culto dell’Abyssinian Baptist Church e restò colpito dalla predicazione del “black Christ” vissuta con passionalità entusiasmante e forza intuitiva (p. 47).


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Le pagine più intense restano, senza dubbio, quelle che rivelano la netta opposizione al nazismo: “La stupidità è il nemico più pericoloso della malvagità” (p. 57), dove per stupidità intendeva la perdita della indipendenza interiore, della capacità di assumere un atteggiamento personale davanti alle situazioni esistenziali. È l’ostentazione esteriore di potenza, che sia religiosa o politica, a provocare la stupidità umana, quello svuotamento di senso e significato che condurrà alla perpetrazione di crimini efferati. Dinanzi alla presa di potere di Hitler, Bonhoeffer avvertì la natura invasiva del totalitarismo in tutti gli ambiti della vita, alimentando sospetto generalizzato e perciò frantumazione dei rapporti sociali. Egli identificò il führer piuttosto con la figura del verführer (seduttore), ossia colui che svia, corrompe e agisce in modo delittuoso nei confronti del seguace come di se stesso. Fiorini riporta delle bellissime pagine nelle quali il pensiero del teologo di Breslavia irrompe nel nostro tempo, consegnando al lettore finissimi ragionamenti in grado di ispirare le coscienze. Il dissenso scuote anche la chiesa tedesca degli anni Trenta, animata da una ceca accondiscendenza nei confronti del totalitarismo.

È nel maggio del ’43, il mese dopo l’arresto con la reclusione, che Bonhoeffer scrive a un amico della “polifonia della vita” (p. 126), come sistema armonico composto da più voci, da un’aggregazione verticale di suoni correlata al cantus firmus. Sono gli ultimi anni della vita di Bonhoeffer nella quale quella che egli definì come “la situazione limite”, ovvero la partecipazione alla congiura per assassinare Hitler, condusse il giovane all’impiccagione nel campo di concentramento di Flossenbürg, all’alba del 9 aprile 1945. Fiorini lascia spazio al dialogo interiore che investì Bonhoeffer in quei giorni tumultuosi, dalla confessione di fede alla resistenza attiva, ma è nell’epilogo che l’autore consegna al lettore il profilo più vero del teologo Bonhoeffer ma anche dell’uomo che visse profondamente la sua fede disobbedendo alle atrocità del totalitarismo nazista.

(13 agosto 2020)


[i] R. Fiorini, Figlio del Concilio. Una vita con i preti operai, Milano, Paoline 2015.
[ii] Cfr. http://www.pretioperai.it/
[iii] Cfr. E. Gentile, Le religioni della politica. Fra democrazie e totalitarismi, Milano-Bari, Laterza 2001.



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