Il crimine di solidarietà di Egidio Tiraborrelli, eroe del nostro tempo

Annamaria Rivera

Sembra un denso racconto dal finale tragico la vicenda di cui scrivo: riportata a suo tempo dalla Rete Diritti in Casa – un collettivo di Parma che si batte per il diritto all’alloggio – nonché da alcune testate online di sinistra, poi rilanciata dall’agenzia AGI e dal quotidiano "Avvenire"; non già da altri media di rilievo nazionale.

Il suo protagonista, Egidio Tiraborrelli, era nato nel 1937 a Casalbordino, in provincia di Chieti. Da bambino rimase gravemente ferito al capo a causa dell’esplosione di una mina ch’era destinata a distruggere un carro armato tedesco. Più tardi, a 16 anni, dové emigrare in Argentina via nave, con la madre, un fratello e una sorella, per raggiungere il padre e il fratello maggiore, che si erano stabiliti lì da alcuni anni.

Dopo decenni in giro per il mondo come operaio saldatore per la SNAM, la SAIPEM e altre compagnie, infine rientrò in Italia. Trascorse alcuni anni a Pavullo nel Frignano, un comune della provincia di Modena, ove cercò di creare una piccola impresa, infine approdò a Parma per farsi curare da un cancro polmonare, essendo peraltro reduce da un intervento al cuore. Poiché aveva una pensione tanto modesta da meritare un assegno integrativo, inizialmente fu ospitato da una famiglia marocchina, in una casa minuscola, poi finì in un alloggio della Caritas. Insofferente com’era rispetto a regole e orari fissi, allorché, nel 2015, entrò in contatto con la Rete, non essendoci altro posto altrove, chiese e ottenne di "abitare" nella sua roulotte, parcheggiata nel cortile di uno degli stabili occupati, quello di via La Spezia.

In quell’ambiente egli s’integrò a tal punto da coltivare un piccolo orto, creato da lui stesso, i cui prodotti soleva offrire alle altre persone occupanti, con le quali intratteneva relazioni di amicizia, solidarietà, sostegno reciproco. Il che lo aiutava a sopportare con coraggio, perfino con serenità, i numerosi malanni che lo affliggevano, esito di una vita tanto intensa e movimentata quanto dura e difficile: dall’ernia alle vene varicose, da problemi circolatori fino al cancro. Pochi mesi prima del finale tragico della sua vicenda, aveva subito un’operazione all’aorta, anch’essa affrontata con coraggio, forza d’animo, perfino senso dell’ironia: erano le doti che lo contraddistinguevano, insieme con un certo spirito da viveur, col gusto dell’avventura e della seduzione, come sottolinea chi lo ha conosciuto e frequentato.

Nonostante fosse tanto malridotto, il 18 dicembre del 2018 Egidio viene prelevato dal piccolo alloggio popolare ove s’era trasferito da tre mesi per essere condotto nel carcere di Parma. Di quale crimine era colpevole, giudicato tanto grave da trascinare in prigione una persona anziana e gravemente malata? Solo al momento dell’arresto egli apprende che nel 2017 il tribunale di Ancona lo aveva condannato – in contumacia e con sentenza definitiva – a ben tre anni e sei mesi di prigione per un delitto di solidarietà compiuto nel 2012: viaggiando in traghetto dalla Grecia all’Italia, avrebbe consentito – o almeno non impedito – a una persona "extracomunitaria" di nascondersi nel suo furgone, permettendole così di violare i sacri confini della patria, da cui sarà prontamente espulsa.

È quel reato che il diritto penale del nemico e dei suoi presunti complici – si potrebbe dire – definisce "favoreggiamento dell’immigrazione clandestina": di fatto utile a criminalizzare ogni forma di aiuto verso chi tenti di raggiungere o raggiunga effettivamente il nostro Paese, oppure vi risieda "irregolarmente": anche se si tratta di azioni guidate unicamente da spirito di solidarietà e altruismo. È un reato considerato particolarmente deprecabile, tanto da essere annoverato tra quelli ostativi: chi è condannato/a non può beneficiare né della sospensione dell’ordine di carcerazione, né di misure alternative alla detenzione.

Perciò, pur essendo in età tanto avanzata e in uno stato di salute sempre più grave, Egidio resterà in prigione per quasi nove mesi, in condizioni assai difficili: per dirne una, il carcere di Parma era dotato di un unico respiratore a ossigeno, che i detenuti infermi erano costretti a usare a turno. Oltre tutto, tra le conseguenze della condanna v’erano il blocco della pensione e l’obbligo della restituzione di quel che aveva percepito.

Cinque mesi dopo la carcerazione, la sua avvocata, una volontaria, aveva presentato l’istanza per misure alternative, ottenendo solo la possibilità di ricoveri temporanei, quando necessari, in un reparto sorvegliato dell’Ospedale Maggiore. Nel corso di uno di questi, Egidio si aggrava, forse a causa di quella che è detta infezione nosocomiale, come ipotizza qualcuno: muore il 6 settembre 2019.

La sua vicenda illustra in modo tragicamente esemplare almeno tre questioni importanti e assai attuali. Anzitutto il fatto che – come dicevamo un tempo – la giustizia sia tuttora giustizia di classe, che tende a mostrare il suo volto più severo, se non feroce, verso i più poveri e/o vulnerabili.

In secondo luogo, sembra predominare una visione della pena carceraria quale crudele punizione, tale da poter essere inflitta anche a persone anziane, perfino gravemente malate; e ciò in palese inosservanza della Convenzione europea dei diritti umani, della nostra Costituzione, della stessa legislazione italiana. L’art. 47 ter della legge sull’ordinamento penitenziario prevede, infatti, la detenzione domiciliare per chi, condannato a una pena carceraria, abbia compiuto settant’anni o sia in condizioni di salute particolarmente gravi. Nondimeno, secondo Stefano Anastasia, dell’associazione "Antigone", nel decennio fra il 2007 e il 2017 i detenuti ultrasettantenni erano più che raddoppiati.

Infine, al centro di questa storia angosciosa è il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, che, come si è detto, essendo considerato ostativo, non contempla misure alternative alla detenzione, salvo che il condannato soffra di gravi problemi di salute. Un tale reato – lo sappiamo bene – consente ad autorità, governanti, politici di compiere le peggiori nefandezze, a cominciare dalla criminalizzazione delle Ong impegnate in operazioni di ricerca e soccorso in mare; contribuendo così, e notevolmente, a ciò che più volte, sulla scia di Michel Foucault, abbiamo definito la tanatopolitica dell’Unione europea.

Grazie all’esistenza di un tale reato, perfino gli atti di solidarietà più ovvi e spontanei – come quelli ispirati dal dovere morale primario di "dar da mangiare agli affamati" e "dar da bere agli assetati" – possono cadere sotto la scure della repressione, com’è avvenuto più volte, anche in Italia, in aree di confine. Per citare un solo esempio fra i tanti, basta ricordare l’ordinanza, emessa – per meglio dire, rinnovata – ad agosto del 2016 dal sindaco di Ventimiglia, del Pd, Enrico Ioculano: essa vietava la distribuzione di cibo, perfino di acqua, ai profughi che, in condizioni assai precarie, attendevano il momento opportuno per poter varcare il confine verso la Francia. È in base a questa ordinanza che il 20 marzo 2017 furono fermati e denunciati tre volontari dell’associazione Roya Citoyenne, “sorpresi” a distribuire loro cibo e acqua, per l’appunto.

Non si creda, dunque, che le infamie compiute nell’ambito dell’immigrazione e dell’asilo siano dovute esclusivamente all’opera salviniana. Già la legge 40, del 6 marzo 1998, più nota come "Turco-Napolitano", nell’art. 10 ("Disposizioni contro le immigrazioni clandestine") stabiliva che chiunque favorisca "l’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni della presente legge è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire trenta milioni".

Egidio – un eroe del nostro tempo, in fondo – è una delle vittime di un’ignominia che s’inscrive nella lunga durata.

***
Di questo e d’altro, si discuterà a Parma, il 25 gennaio 2020, dalle ore 16, presso la Casa Cantoniera Autogestita (via Mantova, 24), in un incontro in memoria di Egidio Tiraborrelli.


Devo le informazioni sulla biografia di Egidio a suo fratello Amedeo e a Filippo Adorni, detto Ado, attivista della Rete Diritti in Casa.

Versione modificata e ampliata dell’articolo comparso sul "manifesto" del 21 gennaio 2020, col titolo Il "delitto" di Egidio.

(22 gennaio 2020)







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