La libertà come bene collettivo

Maurizio Pugno



1. C’è libertà e libertà

“Libertà!” s’è urlato nelle piazze della Bielorussia. “Libertà” si vede scritto sui muri di Hong Kong. “Libertà” si chiedeva nelle proteste della ‘Primavera Araba’. Ma “libertà” si è sentito urlare forte anche nelle nostre piazze, qualcuno additando persino la ‘dittatura sanitaria’. Anche nei democraticissimi Stati Uniti si sono moltiplicati minacciosi raduni pretendendo “libertà”.

Ma si tratta della stessa libertà?

Se stiamo alla classica definizione di libertà, cioè di condizione in cui le persone possono pensare, esprimersi, scegliere strumenti e perseguire fini senza costrizioni, sembra che si tratti della stessa libertà. Né sembra aiutarci molto la distinzione tra ‘libertà negativa’ (o libertà dalle costrizioni) e ‘libertà positiva’ (o libertà di realizzare i propri propositi). Infatti, tanto in Bielorussia quanto nel Michigan si protestava contro costrizioni per poter realizzare fini liberamente scelti. Eppure le due rivendicazioni sono diverse.

2. Interdipendenza economica e interdipendenza sociale

Due concetti ci possono aiutare a capire: l’interdipendenza economica e l’interdipendenza sociale. La prima si svolge nel mercato, ci consente di comprare e vendere ciò di cui si ha bisogno, ci consente di specializzarci nel lavoro e nella conoscenza. In particolare, ci consente di fare tutto ciò senza doverci preoccupare dei problemi personali degli altri con cui condividiamo questa interdipendenza. “Non ci rivolgiamo all’umanità del macellaio quando andiamo a comprare la carne…” ricordava Adam Smith. Pertanto, potendo lasciare anonimi questi rapporti, gli scambi e la produzione possono diventare molto efficienti. E’ così che la divisione del lavoro e la specializzazione sono diventate il motore dello straordinario sviluppo economico che, una volta partito con la rivoluzione industriale, è stato in grado di ‘liberare’ milioni di persone dalla fame.

Da più lontano ancora proviene l’interdipendenza sociale, poiché risale alle origini della specie umana. Infatti, come ci dicono gli studiosi della materia[i], una caratteristica che ci distingue dagli altri animali è la grande capacità di ideare e condividere con i nostri simili nuovi intenti comuni, di collaborare per perseguirli, e di trasmettere ai discendenti ciò che s’è imparato. E’ con questa interazione che il genere umano ha saputo costruire un patrimonio di cultura nel corso dei millenni. L’interazione sociale è stato il motore dello sviluppo umano.

Non c’è dubbio che interdipendenza economica e interdipendenza sociale hanno lavorato in sinergia. L’una provvedendo risorse materiali per aiutare lo sviluppo umano di strati sempre più ampi della popolazione. L’altra fornendo i propositi che hanno stimolato e indirizzato lo sviluppo economico. Quindi, libertà negativa e libertà positiva hanno potuto crescere insieme.

Non dappertutto però sono cresciute, e non dappertutto sono cresciute insieme. Non erano cresciute nei paesi arabi che qualche anno fa rivendicavano maggiore libertà negativa avendo maturato la necessità di una maggiore libertà positiva. Recenti casi simili sono quelli della Bielorussia e di altri paesi, come la Thailandia e il Cile.

Le due libertà non sono invece cresciute insieme in alcuni paesi ad economia avanzata. E’ qui che il significato di libertà prende una nuova e pericolosa strada.

3. La via americana alla libertà

Gli Stati Uniti sono il paese dove più marcatamente, per estensione e profondità, il mercato pervade la vita delle persone. Si prenda ad esempio l’indice di libertà economica elaborato dall’Istituto Fraser[ii], che intende misurare in modo sintetico la scelta personale, lo scambio volontario, la libertà di entrare nei mercati e di competere, nonché la sicurezza della persona e della proprietà privata. Ebbene, secondo tale indice gli Stati Uniti si collocano nel gruppo di testa della classifica mondiale da diversi decenni.

Viene spesso detto che questo ha contributo alla crescita economica degli Stati Uniti, che infatti continua ad essere ragguardevole rispetto all’Europa, tanto che se ne sta distanziando sempre di più per ricchezza prodotta.

Invece, l’interdipendenza sociale negli Stati Uniti mostra diversi segni di deterioramento nel corso di questi stessi decenni. Il segnale più chiaro è dato dal lento ma incessante declino della fiducia negli altri. Questo declino, insieme ad una sempre meno soddisfacente vita famigliare, e persino ad una corrosiva invidia per la ricchezza degli altri, sembra spiegare la riduzione della felicità degli americani a partire dalla metà degli anni ’70, nonostante il reddito medio sia aumentato di un multiplo[iii]. Un altro evidente segnale del deterioramento della interdipendenza sociale, permanendo invece il primato dell’economia, è emerso recentemente in occasione delle elezioni presidenziali. Intervistati nell’estate del 2020 sui motivi che spingevano gli americani a votare il loro candidato preferito, il motivo economico raccoglieva quasi l’80% dei consensi, mentre la preoccupazione per il sistema sanitario e la pandemia raccoglieva solo il 68 e 62% dei consensi rispettivamente. Non solo, ma il motivo economico tra gli intervistati favorevoli a Donald Trump, quindi quasi la metà, raccoglieva l’88% dei consensi, contro il 48 e il 39 degli altri due motivi.[iv]

Negli Stati Uniti, quindi, ben si può dire che l’interdipendenza economica è andata avanti, mentre l’interdipendenza sociale è andata indietro. Ma quale libertà può essere rivendicata quando si sta difendendo la interdipendenza economica contro l’interdipendenza sociale?

Prima di rispondere consideriamo brevemente un altro caso interessante. Quello italiano.

4. La via italiana alla libertà

L’Italia è il paese dei mille campanili, dove l’importanza della socialità e dell’orgoglio dell’appartenenza sociale si esprime con l’attaccamento alla propria terra, alla propria famiglia, alla propria comunità. Ma nel corso degli ultimi decenni sta diventando preponderante il lato oscuro della socialità, quello del clientelismo e del familismo.

Al contrario degli Stati Uniti, l’economia italiana ha pressoché cessato di crescere, se si guarda alla dinamica complessiva degli ultimi 20/30 anni. La socialità, che prima si esprimeva più nei suoi aspetti propulsivi che deleteri, ha ribaltato il suo ruolo, e sembra adesso contribuire alla stagnazione dell’economia. Per esempio, un recente studio avanza l’ipotesi che il tipico manager italiano è ‘bravo’ quando riesce a by-passare la burocrazia grazie alle sue connessioni politiche. Il risultato è che in Italia quasi la metà delle imprese con più di 100 addetti è diretta da imprenditori con connessioni politiche, e in tal modo riesce a rischiare meno di fallire nonostante abbia una minore produttività delle imprese concorrenti.[v] I mille campanili sono così diventati mille corporazioni, che per lucrare rendite utilizzano connessioni sociali, asfissiando in tal modo l’economia.

E’ la strana libertà di operare al riparo della concorrenza o infrangendo le regole. E’ la via italiana alla libertà, ovviamente molto diseguale, come diseguali sono le connessioni sociali a seconda della collocazione economica e sociale delle famiglie da cui si proviene.

Nel caso dell’Italia si può dunque dire che la particolare interdipendenza interna ai gruppi sociali ha avuto il sopravvento sulla interdipendenza economica classica, che è invece aperta ai mercati nazionale e internazionale. Ma quale libertà può essere rivendicata quando si circoscrive l’interdipendenza sociale in questo modo?

5. Per una libertà orientata allo sviluppo umano

Il caso degli Stati Uniti ci dice che perseguire la libertà in nome dell’economia e contro l’interdipendenza sociale diventa un boomerang perché danneggia lo sviluppo umano, e, attraverso questo, danneggia l’interdipendenza economica stessa. Infatti, perdere la coesione costruttiva dello sviluppo umano implica lasciare che la competizione si estenda dal mercato ai rapporti sociali, rendendoli così sempre più conflittuali, e implica inasprire le diseguaglianze economiche con diseguaglianze sociali, con l’effetto di destabilizzare il governo dell’economia, e quindi i mercati stessi. La performance dell’economia americana, infatti, è andata deteriorandosi nel corso dei decenni. Basta confrontare tra loro le fasi espansive del ciclo economico per vedere che l’economia americana è sempre meno in grado di riassorbire la disoccupazione e di riportarsi nel precedente sentiero di crescita.

Il caso dell’Italia ci dice che perseguire la libertà piegando o infrangendo le regole grazie a connessioni sociali privilegiate diventa un boomerang perché danneggia lo sviluppo umano del singolo nelle sue capacità umane, e quindi lo sviluppo umano di tutti coloro con cui ha interdipendenza. Infatti, perdere la coesione costruttiva dello sviluppo umano implica avvelenare i rapporti sociali. Gli indizi che l’Italia si sia avviata su questa strada sono diversi. Ne basta qui ricordare uno: l’indice di fiducia negli altri in diminuzione a partire dagli anni ’90, dopo che era aumentato nei due decenni precedenti[vi].

E’ sorprendente che tanto la via americana alla libertà quanto quella italiana, pur apparentemente opposte, portino ad esiti simili. Il motivo è che entrambe sono libertà con propositi circoscritti e poco lungimiranti che finiscono per danneggiare lo sviluppo umano. Dunque, i ‘propositi’, che nella definizione di libertà vengono solitamente lasciati alla libera discrezione degli individui, non sono tutti uguali. Possono favorire entrambe le interdipendenze, quella economica e quella sociale, oppure no.

Né è scontato che “la mia libertà finisce dove inizia la tua”, come viene spesso ripetuto. Perché la libertà di uno è sempre in interazione con la libertà degli altri. E non basta considerare solo l’interazione intenzionale, per condizionare la libertà degli altri. Oggi più che mai, essendo tutti coinvolti nella rete globale, interagiamo in-intenzionalmente con una grande quantità di persone e con catene lunghissime quanto sottili di connessioni. Questo avviene ogni volta che apprendiamo qualcosa, prendiamo delle scelte e intraprendiamo un’azione.

Se vogliamo che la libertà sia davvero un bene prezioso, deve essere un bene collettivo, vale a dire incardinato nello sviluppo umano. Pertanto, la responsabilità individuale delle proprie azioni non può essere limitata all’interazione intenzionale, altrimenti la libertà rischia di non essere un bene collettivo. Occorre allargare l’orizzonte della responsabilità del proprio fare, e anche quella del non fare.


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Per finire, è illusorio pensare che essere liberi di perseguire qualsiasi proposito, pur rispettando intenzionalmente la libertà degli altri, rafforzi la nostra libertà. Se i propositi non mirano a sviluppare le capacità che hanno reso gli esseri umani dei creatori del loro destino, grazie all’interdipendenza sociale ed economica, la nostra libertà non si sviluppa, non si auto-sostiene. Anzi, diventa illusoria, perché una volta persa la capacità di creare alternative, si seguiranno quelle esistenti, quelle più seguite dagli altri. Sarà quindi ‘il sistema’, ‘i mercati’ che ci circoscriveranno l’ambito in cui esercitare la libertà.

Perché si auto-sostenga, invece, la libertà, deve avere propositi ambiziosi, rivolti alla creazione di nuove alternative, per quanto inizialmente indefinite e incerte. Perché, come dice Giordano Bruno, “L’uomo non ha limiti e quando un giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo”.
***

Akcigit U, Baslandze S, Lotti F (2018) Connecting to power: political connections, innovations, and firms dynamics. NBER Working Paper. No. 25136.

Bartolini S, Bilancini E, Pugno M (2013) Did the decline in social connections depress Americans’ happiness. Social Indicators Research 110(3): 1033-59.

Gwartney, J., Lawson, R., Hall, J., Murphy, R. (2020) Economic Freedom of the World 2020. Fraser Institute.

PEW Research Center (2020) Election 2020. www.pewresearch.org

Pugno M, Sarracino F (2019) Structural changes in economic growth and well-being. The case of Italy’s parabola. MPRA wp 94150.

Tomasello, M. (2014). A Natural History of Human Thinking. Cambridge, MA:Harvard University Press.

[i] Tomasello (2014).

[ii] Gwartney et al. (2020).

[iii] Bartolini et al. (2013).

[iv] PEW Research Center (2020).

[v] Akcigit et al. (2018).

[vi] Pugno e Sarracino (2019).
(17 novembre 2020)





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