LE PAROLE DELLA LAICITÀ – Credere

Edoardo LombarVallauri

Usiamo le parole in modo truffaldino. Talvolta ingannando gli altri, talvolta noi stessi. Le parole ci ingannano perché senza saperlo ne accettiamo usi fuorvianti, che costruiscono il mondo come non è. Un uso veramente laico delle parole sarebbe quello in cui non operasse nessuna assunzione nascosta e non verificata.

Il verbo credere è solo apparentemente innocuo. Nel suo primo significato, significa “ritenere qualcosa probabile, verosimile, ma non certo, di solito perché non se ne hanno informazioni sufficienti”. Per esempio: credo che Giorgio sarà eletto, oppure credo che Carlotta sia innamorata di te, non per caso con il congiuntivo dell’incertezza. In questo significato, il verbo introduce frasi dichiarative (appunto, credo che…), oppure la fonte a cui si dà credito, con la preposizione a: credo a quello che dice il premier, credo più a te che a tuo fratello.

Ma esiste un altro uso del verbo, sottilmente diverso sia nella semantica che nella sintassi, in cui la cosa creduta è introdotta dalla preposizione in, e che serve quando si tratta di una credenza epistemologicamente meno sobria. È una credenza che assolutizza il credere, e talvolta la cosa creduta: credo nella Transustanziazione, nella Rivoluzione, credo in Dio. Di solito chi dice “credo in Dio” sostiene di avere certezza che esiste “Dio” (della parola Dio ci occuperemo prossimamente). Chi invece si sente solo di sostenere che “forse esiste un dio” non è da nessuno classificato come credente. Insomma, sono considerati credenti coloro che sottoscrivono che “Dio” esiste certamente. Eppure usano il verbo credere: Perché?

Perché questo permette di ingannare e ingannarsi. Se i credenti dicessero so che la Madonna ha concepito verginalmente, sarebbero riconosciuti come dei bugiardi. Infatti il verbo sapere significa, apertamente, “essere certi di uno stato di cose, perché si hanno elementi di conoscenza sufficienti a non dubitarne”; ed è sotto gli occhi di tutti che per il concepimento verginale di Maria di Nazareth questi elementi mancano. Invece dicendo credo si ha l’aria di chi non sostiene di avere elementi che non ha. Ma è un po’ come chi esca rinculando dalla caserma per far finta di entrare: è rivolto verso l’entrata, ma sta pur sempre uscendo; così, chi dice credo nella Transustanziazione usa un irreprensibile verbo che significa ‘dubitare’, ma al tempo stesso in realtà sta dando per certo che consacrandola l’ostia diventi il corpo di Gesù di Nazareth.

Un credente che più onestamente dicesse “ipotizzo, scommetto, spero, magari preferisco che esista Dio”, cioè uno che dicesse proprio la verità, si troverebbe fuori dal consorzio dei credenti. Per essere parte del gruppo, del rassicurante gruppo compatto, bisogna dire ‘non dubito’, ‘sono certo’. Ma, al tempo stesso, bisogna dirlo nel modo che permette il meno possibile di essere riconosciuti come bugiardi; e anche di riconoscersi come bugiardi. Quindi non: “so che nell’ostia c’è il corpo di Gesù”, e neanche: “sono certo che nell’ostia c’è Gesù”, perché nel dire così qualcosa suonerebbe esagerato e falso, si avvertirebbe un molesto campanello d’allarme, un contrasto troppo visibile fra la realtà e ciò che si sta dicendo. La storia ha elaborato lo strumento linguistico per barcamenarsi. È il verbo “debole” credere, nella sua versione forte.

(11 luglio 2017)



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