Le passioni di Newton

Carlo Rovelli

, da Repubblica, 6 maggio 2014

Isaac Newton è stato il più grande degli scienziati. Più grande di Einstein, di Archimede, di Galileo. Galileo ha inventato la scienza matematico-sperimentale, ma è stato Newton, nato quattro giorni prima della morte di Galileo, a fare della scienza galileana quella cattedrale di pensiero la cui efficacia è la base su cui si appoggia oggi la nostra tecnologia e la nostra comprensione del mondo. L’influenza del pensiero di Newton non ha eguali. Qualunque ingegnere faccia i calcoli per costruire una casa usa tecniche basate sulle equazioni di Newton.

La filosofia, da Voltaire a Kant, da Locke a Quine, è stata influenzata profondamente dai risultati di Newton, e perfino chi fra i filosofi ha cercato di opporvisi ha dovuto fare i conti a fondo con il successo del suo pensiero. La matematica e la fisica studiate oggi in ogni liceo del mondo sono in larga misura invenzioni di Newton. Quella che consideriamo la nostra “naturale” intuizione di cosa siano spazio, tempo e materia, sono in realtà le idee di Isaac Newton, a cui ci siamo oramai abituati. E dopo millenni in cui Cielo e Terra sono stati considerati reami separati, profondamente diversi, oggi noi sappiamo che le leggi della Natura sono le stesse qui sulla Terra e nel Cielo, perché Newton l’ha capito e mostrato per primo.

Ma Newton è stato personaggio strano, estremo e sconcertante. Non aveva la bonarietà accattivante di Einstein, né la simpatica irruenza di Galileo. Era riservato, segreto, difficile nei rapporti umani. Chiuso in una ricerca personale lunga e tesa. Quello che appare più strano ai nostri occhi è che ha scritto i libri che hanno fondato il mondo moderno in un periodo breve della sua vita; lunghi anni, invece, li ha trascorsi a studiare argomenti che ci lasciano sconcertati: la ricostruzione della cronologia del mondo a partire dalla Bibbia, l’alchimia, il dogma della trinità, le profezie sulla fine del mondo… Lo stesso Newton che mostra con un prisma che la luce bianca è luce che mescola tutti i colori, che a quindici anni valuta la forza del vento di un uragano misurando quanto riesce a saltare controvento, è anche l’ossessionato alchimista che sperimenta per anni esoterici metodi alchemici, fino ad avvelenarsi con il mercurio. Nella sua biblioteca stavano centosettantacinque libri di alchimia. Strani soggetti per l’eroe della scienza moderna.

A gettare uno sguardo aperto e intelligente sugli aspetti così diversi di questo gigante del pensiero, e rendercelo, se non meno sconcertante, almeno più accessibile, è l’ultimo libro di Piergiorgio Odifreddi, Sulle spalle di un gigante ( Longanesi, pagg. 350, euro 16.40), in libreria dall’8 maggio. Ignorando volutamente la sterminata letteratura su Newton, che in generale si concentra su questo o quell’aspetto della sua opera, Odifreddi si è tuffato direttamente nei testi e nelle lettere del grande inglese, per restituire a tratti vivaci un personaggio reale, e alcuni fili conduttori e passaggi chiave del pensiero di uno dei più grandi pensatori dell’umanità. Con il suo stile scanzonato e leggibile, ma senza risparmiarsi, qui e là, di entrare nelle dimostrazioni tecniche, Odifreddi racconta il carattere di Newton e le sue idee, quelle che hanno segnato a fondo la civiltà europea, come quelle più balzane e strane. Sono molte, tanto le une quanto le altre. Con gusto e ricchezza di dettagli, Odifreddi ricostruisce, tanto il percorso di scoperta della gravitazione universale a partire dalle scoperte di Keplero, quanto gli argomenti di Newton, basati sulla Bibbia, contro il dogma della trinità.

Cosa unisce la strampalata congerie di pensieri di Isaac Newton? Credo che dalle colte osservazioni di Odifreddi, qualcosa della risposta emerga. Newton era appassionato cercatore di verità, ma era soprattutto guidato da una assoluta sincerità e da due convinzioni. Primo, che la verità possa essere trovata valutando e decifrando i dati reali che troviamo nel mondo, siano queste le leggi di Keplero, le informazioni registrate nella Bibbia o i risultati degli esperimenti nel suo studio. Secondo, che sia necessario controllare con rigore le nostre stesse idee, accettare che molte cose non le sappiamo, e avere il coraggio di dichiarare sconfitta quando non abbiamo trovata una risposta convincente.

Scopre la legge della gravitazione universale, ma non si gloria di averne capito l’origine: sulla natura della gravità «non azzardo ipotesi», scrive. Non perché pensa sia impossibile, ma perché sa che non ha abbastanza strumenti, e deve lasciare il compito a chi verrà dopo di lui. Dopo anni di studi alchemici non pubblica nulla, e in una lettera spiega perché: «La verità è che le mie conoscenze relative a questo genere di cose sono così mal digerite che, da parte mia, non ne sono per nulla soddisfatto. E ciò di cui non sono soddisfatto ritengo poco utile comunicarlo agli altri». Non sarà lui a riuscire a distillare la chimica dall’alchimia, e lo sa. Newton si è sì occupato per anni delle questioni più svariate; ma ha pubblicato solo ciò che dei suoi studi si è poi rivelato di valore reale.

Newton ha esteso la sua curiosità in ogni direzione, saggiando le idee del suo tempo e azzardando, per quanto dicesse, molte ipotesi. Ma ha imparato a distinguere quello che ha trovato di affidabile e a diffidare del resto. In una lettera scritta alla fine della sua vita dice: «Cosa il mondo penserà di me, non lo so. A me sembra di essere stato il fanciullo che gioca sulla riva del mare e trova ogni tanto un sassolino o una conchiglia un po’ più graziosa del solito, mentre il grande oceano della verità è davanti a lui, ancora da scoprire».

La conchiglia, anzi il diamante che è riuscito a trovare è la meccanica: l’equazione F= ma con cui oggi calcoliamo tutto. Ma la sua eredità più profonda consiste in qualcosa di valore ancora maggiore: la capacità nuova di non farsi stregare dalle proprie intuizioni e credenze. La consapevolezza dell’oceano di ciò che non sappiamo è la chiave che ha permesso a Newton di scoprire, e ha aperto la via alla modernità. Vorace curiosità, ma unita a profonda umiltà, acuto senso critico e soprattutto sincerità, sono la sorgente profonda del suo successo. E la forza della scienza moderna.

(6 maggio 2014)



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