Le stragi nel Mediterraneo e il cinismo di Alfano

Annamaria Rivera

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Giorno dopo giorno si sgrana, a ritmo sempre più intenso, il tragico rosario delle vittime del disordine mondiale e del proibizionismo europeo. Secondo l’Unhcr, ben 1889 sono le persone scomparse nel Mediterraneo negli ultimi sette mesi, 1600 delle quali negli ultimi tre.

Un periodo tragico, segnato dall’escalation di caos, conflitti sanguinosi, violenze, massacri, persecuzioni contro minoranze – in Siria, Iraq, Libia, Sud Sudan, in paesi del Corno d’Africa come in altre regioni – sicché il 2014 rischia d’essere l’anno record per ecatombe di migranti forzati. Tra i quali crescente è il numero di bambini, donne, gestanti: famiglie intere che perlopiù cercano di sfuggire alla “terza guerra mondiale per episodi” (volendo citare Bergoglio), di cui l’Occidente, e con esso l’Europa, ha buona parte di responsabilità, dirette o indirette.

Imputare ai soli “trafficanti” la colpa delle stragi in mare è una delle strategie diversive con cui autorità ed élite politiche, italiane ed europee, col sostegno di molti media, cercano di occultare i propri misfatti. In realtà, come non ci stanchiamo di ribadire, qualsiasi sistema proibizionista è destinato a produrre e incrementare il traffico clandestino del bene interdetto: vale per le merci come per gli esseri umani. Dunque, l’esistenza di filiere criminali non è causa delle stragi di migranti e rifugiati, bensì epifenomeno del proibizionismo stesso.

E perciò l’unica politica realistica sarebbe garantire a migranti e rifugiati il diritto di fuga e la libera circolazione, nonché un’accoglienza dignitosa e la libertà di scegliere se stabilirsi in paesi europei diversi da quello di “approdo”.

Il sistema costituito da frontiere sempre più blindate, gli “accordi bilaterali”, la chiusura di canali d’ingresso legali, le politiche che producono violazione di diritti fondamentali, maltrattamento e respingimento di profughi e migranti valgono non già a “scoraggiare gli arrivi”, come recita il luogo comune, bensì a rendere sempre più rischiosi gli esodi, quindi a incrementare l’ecatombe mediterranea nonché a rendere un inferno la vita di chi riesce ad approdare. Com’è noto, l’Italia non si è mai dotata di un sistema di accoglienza strutturato e dignitoso, preferendo rincorrere l’“emergenza”, così da poterne fare ogni volta ragione di allarmismo.

Uno scenario ancor più drammatico si profilerà a breve. Sembra, infatti, che Alfano, sostenuto dal “vivo apprezzamento” di Napolitano, abbia vinto la sua ignobile battaglia per l’abbandono della missione Mare Nostrum che, nonostante le sue ambiguità, ha salvato ben centoventimila persone. Incurante, il ministro dell’Interno, non solo dell’obbligo politico e morale di soccorrere i profughi, ma anche della posizione della stessa Marina Militare, che avanzava la proposta, non dissimile da quella dell’Unhcr, di fare di Mare Nostrum una missione multinazionale a guida italiana e sotto l’egida dell’Onu.

Infatti, secondo l’orientamento emerso dal recente vertice tra il ministro dell’Interno italiano e Cecilia Malmström, commissaria agli Affari interni dell’Ue, la missione italiana dovrebbe cedere il passo a Frontex Plus, una missione europea il cui compito precipuo sarebbe il pattugliamento delle frontiere. Alfano esulta: “L’Unione torna protagonista del Mediterraneo, si rimpossessa del controllo della sua frontiera, ponendo le basi per il ritiro di Mare Nostrum”.

Non ci sono parole sufficientemente efficaci a commentare un tal gretto cinismo, per non dire del silenzio complice di Renzi, dell’intero governo, dello stesso Pd.

Eppure noi insistiamo: per arrestare o almeno ridimensionare le stragi del proibizionismo, la misura più urgente, caldeggiata anche da Laura Boldrini, sarebbe l’apertura di corridoi umanitari, mediante presidi internazionali in paesi di transito e di maggiore afflusso di profughi, sotto la tutela di agenzie dell’Ue, nonché dell’Unhcr e di organizzazioni umanitarie. Così che chi è costretto ad abbandonare il paese di nascita e/o di residenza a causa di conflitti, persecuzioni, catastrofi ambientali ed economiche, possa far subito richiesta di protezione internazionale, per poi raggiungere, in modo sicuro e legale, i diversi paesi europei, ove perfezionare la procedura.

Per quanto il caos e la violenza che dominano in alcuni dei paesi di transito abituale, in primis la Libia, rendano più difficile questa prospettiva, essa non è irrealizzabile. Sappiamo bene che qualsiasi proposta per il superamento del paradigma proibizionista esigerebbe l’accordo fra i diversi Stati dell’Ue e una politica comune per l’immigrazione e l’asilo. Ed è dubbio che queste condizioni possano realizzarsi a breve, in un’Europa che è in preda a una crisi non solo economica, ma anche, e forse più, politica, morale e ideologica. Ciò malgrado, abbiamo il dovere d’insistere, se vogliamo disertare dalla guerra condotta contro i nuovi dannati della terra.

* Versione modificata e aggiornata dell’articolo pubblicato sul manifesto del 28 agosto 2014.

(28 agosto 2014)



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