Lo sgombero del Nuovo Cinema Palazzo e il paradosso dell’Urbe

dinamopress.it


Dopo , sottoscritto anche dal direttore di MicroMega, Paolo Flores d’Arcais, pubblichiamo un editoriale di dinamopress che mette in luce le responsabilità della sindaca Virginia Raggi e del prefetto di Roma, Matteo Piantedosi.

Quando dopo le prime luci dell’alba si è diffusa la voce dello sgombero del Nuovo Cinema Palazzo, piazza dei Sanniti appariva occupata da decine di uomini e mezzi blindati in assetto di guerra, come nella scena di un qualsiasi gangster movie. Quell’immagine, cui hanno assistito le decine di persone immediatamente accorse nel quartiere romano di San Lorenzo, aveva però qualcosa di paradossale: la sproporzionata azione militare non serviva a ristabilire l’ordine dello Stato su un territorio finito nelle mani della criminalità organizzata, al contrario metteva la parola fine a un’esperienza che nel 2011 aveva impedito che in quell’ex cinema si installasse illegalmente un casinò. «Ogni spazio di aggregazione, di socialità e di comunità è uno spazio sottratto alle organizzazioni criminali», disse anni fa proprio al Nuovo Cinema Palazzo Francesco Forgione, ex Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia.

Quel cortocircuito sarebbe proseguito nel tardo pomeriggio, quando alla muscolare esibizione della forza in piazza dei Sanniti avrebbero risposto migliaia di persone riempendo letteralmente le strade di San Lorenzo.

Assediando a loro volta chi con i blindati aveva occupato un’area da quasi 10 anni liberata dalla speculazione e riconsegnata finalmente a un uso collettivo, i manifestanti hanno richiesto di poter svolgere lì un’assemblea pubblica: le forze dell’ordine risponderanno con due cariche violentissime, diversi feriti e fermi. Sono bastate poche ore però per rendere evidente a tutti che nonostante lo sgombero fosse stato eseguito “con successo”, l’intera operazione si stava risolvendo in un disastro politico. L’astuta mossa del nuovo Prefetto Matteo Piantedosi di procedere a uno sgombero “bipartisan” – equiparando uno spazio sociale riconosciuto in città assieme a un covo di nazisti – si è rivelata meno “geniale” di quanto lui stesso avesse finemente calcolato. La stessa Sindaca Raggi, dopo un primo tweet mattutino che sotto la coltre di fumo del principio di legalità operava quello stesso accostamento, nel pomeriggio doveva tornare sui suoi passi con un lungo post riparatore sulla sua pagina Facebook.

VUOTA PROPRIETÀ

Ma saranno soprattutto le interviste del giorno successivo rilasciate dai proprietari dello stabile ai giornali a far emergere un quadro se possibile ancora più fosco e confuso: in una rincorsa di dichiarazioni, chiariscono che sul Cinema Palazzo non c’era alcun progetto di utilizzo da parte della proprietà che anzi non nasconde il desiderio di volersene liberare e di andare via dal quartiere: «Quel posto non mi piace, è un quartiere che non mi piace». Svuotato di qualsiasi funzione, quel Palazzo doveva essere per loro solo una merce di scambio. Per questo avevano accettato di partecipare ormai mesi fa a un tavolo di trattativa avviato dalla Regione Lazio con al vaglio le ipotesi della acquisizione pubblica o della permuta. Quel tavolo non aveva però riscosso alcun interesse da parte del Comune.

Del resto, durante tutta la sua consiliatura, la Giunta Raggi non ha avuto la capacità di regolamentare le concessioni ad uso sociale del proprio patrimonio pubblico, figurarsi di quello privato. Ora però, a sgombero fatto, si rincorrono le proposte di interlocuzione e di incontri per risolvere il problema.

Eppure ancora oggi, a distanza di giorni dall’accaduto, nessuno ha ancora spiegato alla cittadinanza per quale motivo nel pieno di un’emergenza sociale e sanitaria devastante che dovrebbe impegnare le istituzioni a risolvere ben altre urgenze, a Roma l’autorità pubblica ponga in cima alle sue priorità un’azione di polizia che oltre a chiudere un luogo riconosciuto di cultura e socialità, priva la città di un punto di snodo per la distribuzione di beni di prima necessità per il quartiere.

È stupefacente che dal rimpallo delle responsabilità dei giorni successivi esca completamente indenne il nuovo Prefetto di Roma Matteo Piantedosi – ex capo di gabinetto dell’allora ministro degli Interni Matteo Salvini – che sembrerebbe aver disposto lo sgombero in un tavolo senza la presenza di rappresentanti della Giunta comunale. Il non detto, è che il nuovo Prefetto possa agitare la lista degli sgomberi di spazi sociali e occupazioni abitative inserendosi nei vuoti del governo della città per distribuire le carte avvelenate della prossima competizione elettorale.

IL PARADOSSO ROMANO

Da questa vicenda, in cui si fa fatica a capire chi abbia fatto cosa, non si riescono a distinguere i confini tra l’interesse “pubblico” e quello “privato”. Nel vuoto politico il pubblico, nella veste della Prefettura, è ridotto a mero garante di interessi privati particolari, anche quando questi vanno contro l’interesse generale. In una replica pubblicata da Il Manifesto, l’assessore Luca Bergamo centra il tema: le sentenze che impegnano lo Stato a risarcimenti milionari di rendite virtuali che sarebbero state generate se solo gli immobili in questione non fossero occupati. Il nodo è insomma il solito: tutelare la proprietà privata e risarcire rendite potenziali quando, al tempo stesso, non è previsto alcun meccanismo, differenziato territorialmente, di tassazione di immobili vuoti e abbandonati, e tantomeno di difesa del valore sociale della proprietà, come definito nell’articolo 42 della Costituzione.

E poi la totale assenza di un corpo intermedio, politico, in questa dinamica: se è vero che occorre trovare nuovi strumenti giuridici e amministrativi affinché la proprietà privata sia subordinata all’interesse generale, il Comune di Roma avrebbe potuto però trovare una soluzione per il Cinema Palazzo tra quelle proposte al tavolo di trattativa. Evidentemente è mancata la volontà di farlo, ed è mancata nel momento di maggiore urgenza: in un contesto di crisi economica senza precedenti, la “rigenerazione” del patrimonio pubblico e privato (dei 7 milioni di immobili vuoti in Italia e del deserto che è diventata Roma) o sarà sociale o non ci sarà.


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Per questo lo sgombero del Nuovo Cinema Palazzo ripropone ancora una volta l’eterno paradosso del governo di Roma: una città che ha sempre assolto alle funzioni del “pubblico” attraverso il ricorso all’autorganizzazione informale della cittadinanza e che vede il governo dell’Urbe ridursi all’esecuzione dei diritti della proprietà privata e agli interessi della rendita.

La città “pubblica” e “democratica” coincide raramente con quella legale, ed è per questo che lo sventolamento del cieco e inviolabile principio di legalità decreta a Roma puntualmente il fallimento della sua amministrazione. Questo paradosso, ben radicato nella storia della città, si ripresenta ora però con la sua faccia più cruda privando i romani delle ultime risorse sociali su cui potevano contare, davanti a una crisi economica che nel futuro prossimo rischia di spezzare il suo già debole modello di sviluppo. Per questo motivo, oltre a riconsegnare immediatamente il Nuovo Cinema Palazzo al suo uso collettivo, il riconoscimento del diritto di esistenza e autonomia per gli spazi sociali urbani deve tornare ad essere l’obiettivo di una lotta politica che investa tutta la città.

(30 novembre 2020)





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