Maradona, la morte dell’Ultimo Brigante

Martin Gak

Quindi Maradona è morto. Per un argentino è una cosa più o meno inimmaginabile e se dovessi spiegare a uno straniero la forza e la profondità del dolore pubblico direi che, con Maradona, è morto quello che nella mente di molti argentini era un immortale. Non è del tutto distante da qualcosa che forse una volta abbiamo già provato. Pensavamo anche che la chitarra di Bowie lo avrebbe tenuto per sempre al di fuori della portata della morte e siamo rimasti sbalorditi nello scoprire che anche lui era soggetto al destino di cellule e organi. Questa è la morte dell’eroe epico, quello narrato nella storia che i genitori raccontavano ai bambini seduti in gradinata o davanti a uno schermo per farsi incantare da un uomo in danza che adempie alle promesse di gloria e redimere una nazione o due.

Quello che per molti andrà perduto è, infatti, l’uomo dietro l’unico vero successo globale negli ultimi cinquant’anni di storia argentina. Sì, ci sono stati altri trionfi sportivi, culturali e politici, ma quello che Maradona ha vinto per l’Argentina è stato quello che per molti argentini è la guerra, una guerra mondiale.

Questa è l’anima nobile che ha guidato il piccolo gruppo di uomini che ha sconfitto tutti. Nel 1986 Maradona aveva reclutato anche Dio per regolare i conti con Margaret Thatcher, quattro anni dopo la guerra nelle Malvinas.
Questa sensazione, che un uomo dei ranghi più bassi della società potesse ricostituire il magico e il miracoloso per assumere la forza brutale e la solidità della materialità della storia, non poteva che essere un’espressione del divino.
La redenzione che Maradona ottenne per l’Argentina in Messico nel 1986, la dispensa una seconda volta un anno dopo. Nel 1987, stavolta in Italia, Maradona riscriverà per un breve periodo la storia del risorgimento italiano agli occhi del mezzogiorno.

È difficile esagerare le arie preternaturale del maggio Napoletano. Il giorno esatto, ma 234 anni dopo, (10 maggio) in cui la corona borbonica stabilì Napoli come capitale di quello che sarebbe diventato un secolo dopo il Regno delle Due Sicilie, Maradona portò il Napoli al pareggio con un club toscano e con uno stratagemma tecnico mise il Napoli davanti al plotone piemontese della Juventus e alle forze lombarde del Milan. Maradona non solo ha ristabilito il dominio dell’ex capitale, ma ha fatto pagare ai suoi vecchi nemici e aguzzini quello che nella storia dell’Italia è stato e, come ci si aspettava, rimarrà, il grande debito del nord verso il sud.

Maradona è un fedele riflesso della extravaganza delle aspirazioni e delle ambizioni dell’ultimo quarto del XX secolo. Le conquiste di Maradona sono state, in modo del tutto assoluto, la realizzazione dei sogni del povero ragazzo la cui idea di gloria è irrimediabilmente confinata dalla povertà in cui è forgiata: sovrabbondanza, vittoria adornata di medaglie e sottomissione di vecchi nemici. Una visione salvifica che non può calcolare l’eccesso nato dalla sovrabbondanza, la volgarità della medaglia e l’irrilevanza dei vecchi nemici.

Ma questo non deve essere interpretato come una condanna di quell’idea. In un mondo in cui la storia e i suoi attori hanno incontrato la sofferenza e l’abiezione individuale con astrazioni generiche nei discorsi politici, la gioia, l’ubriachezza, la danza trionfale per le strade di Santa Fe o di Messina, il senso di abbondanza e di rivendicazione consegnato direttamente nel proprio salotto è stato il più concreto adempimento delle promesse che quelle generazioni avevano visto nelle mani di un personaggio pubblico.

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Maradona ripeté alla classe politica una lezione che i più cinici potevano fomentare come "panem et circenses" ma che per gli osservatori più astuti sarebbe servita a capire l’impatto del pubblico nella vita del privato e avrebbe potuto segnare una strada di transito nelle future pratiche politiche.
Maradona era un uomo di molte colpe, ma proprio questo è ciò che lo ha reso l’eroe perfetto, e gran parte dei suoi epici viaggi sono consistiti nel rimanere fedele a quelle colpe. La sua politica, che ha arruffato la piuma dei suoi ammiratori tra i meglio nutriti e meglio vestiti, è rimasta solidamente attaccata alle sue origini. Fidel e Chavez, così come le sue guerre con Havelange e Blatter, erano espressioni candide della rabbia inestinguibile di fronte all’ingiustizia. Non c’era bisogno di condividere la sua diagnosi sulle fonti dell’ingiustizia per capire la necessità del ragazzo di Villa Fiorito di usare la sua statura per continuare la sua opera di emancipazione e di liberazione.

Quanto a me, avendo odiato intensamente il calcio e ricordandolo come la prima sostanza identificabile dello zelo su cui si costruivano le folle nella Buenos Aires della mia giovinezza, sento nella morte di Maradona un’eco lontano della felicità di mio padre e di miei fratelli (e probabilmente della mia) davanti a un televisore nell’autunno dell’86 e sento il pianto nei confronti della morte definitiva delle stanche ma fino a oggi inesauribili speranze di un ritorno trionfale a un passato glorioso guidato dall’uomo con il numero 10 sulla maglia.

(27 novembre 2020)




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