Mes, una riforma che persevera negli errori. Un appello di economisti e giuristi

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L’Italia non deve avallare un meccanismo che riproduce le logiche del passato, che si sono rivelate clamorosamente sbagliate. Inoltre accettare questa riforma significherebbe ridurre gli interventi innovativi decisi per fronteggiare la pandemia a un’eccezione, in attesa di tornare appena possibile a politiche che minacciano la stessa sopravvivenza dell’Unione.

Il governo italiano si appresta ad approvare la riforma del Meccanismo europeo di stabilità. Una riforma preparata prima dell’insorgere della pandemia e che risponde alla logica delle “vecchia” Europa, quella che ha drammaticamente fallito nella gestione della crisi greca e che ha sbagliato anche nell’affrontare le conseguenze della crisi del 2008, relegando una delle aree economiche più ricche del mondo ad una sostanziale stagnazione decennale.

La crisi pandemica sembrava aver provocato un salutare anche se tardivo ripensamento, con la messa in campo di strumenti che fino ad allora erano stati rifiutati. Ma questa riforma, per le sue caratteristiche, fa pensare che si voglia relegare questo cambiamento all’eccezionalità della situazione, per riprendere, una volta dichiarata finita l’emergenza, quegli stessi schemi che si sono dimostrati clamorosamente fallimentari. Anche le ipotesi su un’altra importante riforma, quella del Patto di stabilità, rafforzano questa lettura.

Il Mes, derivante da un accordo intergovernativo, è estraneo all’ordinamento dell’Unione, e questa riforma rafforza il suo ruolo rispetto agli organismi comunitari, aumentando ulteriormente il carattere tecnocratico della gestione dell’Unione. Il dramma è che l’accrescimento di questo ruolo avviene a favore di una tecnocrazia che si è già dimostrata ampiamente inadeguata nelle scelte di politica economica.
Anche personalità di indiscutibile fede europeista, come il presidente dell’Europarlamento David Sassoli e l’ex presidente del Consiglio italiano Enrico Letta, si sono dichiarate a favore di un radicale ripensamento di questo meccanismo, che dovrebbe essere ricondotto all’interno dell’ordinamento comunitario. Altri, invece, come il membro lussemburghese del board della Bce Yves Mersch, che il Mes non serve a “salvare gli Stati” – cosa che sarebbe impossibile senza l’intervento della Banca centrale europea – ma a sottoporli a una sorta di “amministrazione controllata” attraverso le famigerate “condizionalità”. Mersch è giunto a minacciare una battaglia per frenare l’azione della Bce, di fondamentale importanza specie in questa fase, se i paesi europei non ricorreranno al Mes. Non si poteva spiegare più chiaramente che il Mes non è uno strumento di aiuto, ma di controllo, un controllo affidato a funzionari senza nessuna legittimazione democratica e il cui compito statutario è agire “nell’interesse del creditore”, indipendentemente dalle conseguenze che ciò può provocare al paese sottoposto alla sua potestà.

Nel Movimento 5 Stelle, che finora è stato il solo partito della maggioranza di governo ad opporsi all’approvazione, sembra farsi strada l’orientamento di dare il via libera alla riforma a patto che poi l’Italia non faccia ricorso al Mes. È un errore. Il Mes va rifiutato senza se e senza ma, così come va respinta l’affermazione secondo cui il prestito sanitario avrebbe condizionalità leggere o persino inesistenti, , che non sono state in nulla modificate. Il problema più importante è proprio il via libera a una riforma che riconferma una linea europea fallimentare, che in prospettiva mette in pericolo la stessa sopravvivenza dell’Unione. Qualsiasi seria riforma dell’ordinamento europeo deve prevedere l’abolizione del Mes. L’Italia non deve perdere l’occasione di affermare con forza questo punto.

La storia d’Italia degli ultimi trent’anni è caratterizzata da snodi critici in cui riforme apparentemente tecniche e di scarsa portata hanno pesantemente condizionato gli sviluppi futuri e limitato fortemente la discrezionalità politica nazionale, consegnandola al “vincolo esterno”. Tali riforme sono state fatte passare senza che l’elettorato fosse sufficientemente informato e cosciente della posta di gioco, spesso con argomenti speciosi quali la necessità di non perdere “credibilità” dinanzi ai partner europei. Siamo convinti che la riforma del Mes rappresenti uno di questi snodi cruciali e che sia necessario opporle il veto. Non solo perché nessuna delle richieste italiane è stata accettata – in particolare la contestuale attivazione della garanzia europea sui depositi bancari – ma soprattutto per affermare con forza che bisogna farla finita con la “vecchia” politica, e che i provvedimenti presi per fronteggiare la crisi pandemica non devono essere una eccezione destinata ad esaurirsi, ma la base di una politica europea profondamente diversa da quella del passato.

Nicola Acocella, Università di Roma La Sapienza
Giuseppe Amari. Fondazione Giacomo Matteotti
Davide Antonioli, Università di Ferrara
Pier Giorgio Ardeni, Università di Bologna
Amedeo Argentiero, Università di Enna “Kore”
Lucio Baccaro, Max Planck Institute, Colonia
Alberto Baccini, Università di Siena
Simona Balzano, Università di Cassino
Annaflavia Bianchi, economista
Maria Luisa Bianco, Università del Piemonte Orientale
Silvia Borelli, Università di Ferrara
Paolo Borioni, Università di Roma La Sapienza
Emiliano Brancaccio, Università del Sannio
Carmelo Buscema, Università della Calabria
Rorita Canale, Università di Napoli Parthenope
Giuseppe Celi, Università diFoggia
Sergio Cesaratto, Università di Siena
Roberto Ciccone, Università Roma Tre
Carlo Clericetti, giornalista
Omar Chessa, Università di Sassari
Andrea Coveri, Università di Urbino
Marco Dani, Università di Trento
Massimo D’Antoni, Università di Siena

Claudio De Fiores, Università della Campania Luigi Vanvitelli
Pasquale De Muro, Università Roma Tre

Antonio Di Majo, Università Roma Tre
Giovanni Dosi, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa
Caterina Ferrario, Università di Ferrara
Guglielmo Forges Davanzati, Università del Salento
Gianfranco Franz, Università di Ferrara
Andrea Fumagalli, Unniversità di Pavia
Mauro Gallegati, Università Politecnica delle Marche
Giorgio Gattei, Università di Bologna
Stefano Giubboni, Università di Perugia
Claudio Gnesutta, Università di Roma La Sapienza
Marco Goldoni, Università di Glasgow
Dario Guarascio, Università di Roma La Sapienza
Andrea Guazzarotti, Università di Ferrara
Valentino Larcinese, London School of Economics
Riccardo Leoncini, Università di Bologna
Riccardo Leoni, Università di Bergamo
Enrico Sergio Levrero, Università Roma Tre
Federico Losurdo, Università di Urbino “Carlo Bo”
Stefano Lucarelli, Università di Bergamo
Salvatore Madonna, Università di Ferrara
Ugo Marani, Università di Napoli l’Orientale
Massimiliano Mazzanti, Università di Ferrara
Augustin Menéndez, Università Complutense di Madrid
Edmondo Mostacci, Università di Genova
Antonio Musolesi, Università di Ferrara
Guido Ortona, Università del Piemonte orientale
Sergio Parrinello, Università di Roma La Sapienza
Gabriele Pastrello, Università di Trieste
Anna Pettini, Università di Firenze
Paolo Piacentini, Università di Roma La Sapienza
Augusto Pianese, Università di Cassino
Paolo Pini, Università di Ferrara
Paolo Polinori, Università di Perugia
Riccardo Realfonzo, Università del Sannio
Fiammetta Salmoni, Università Guglielmo Marconi
Enrico Saltari, Università di Roma La Sapienza
Daniele Scapigliati, imprenditore
Roberto Schiattarella, Università di Camerino
Alessandro Somma, Università di Roma La Sapienza
Antonella Stirati, Università Roma Tre
Giuseppe Tattara, Università di Venezia
Mario Tiberi, Università di Roma La Sapienza
Leonello Tronti, Università Roma Tre
Andrea Ventura, Università di Firenze
Marco Veronese Passarella, Leeds University Business School
Maurizio Zenezini, Università di Trieste
Gennaro Zezza, Università di Cassino e del Lazio Meridionale

(5 dicembre 2020)
 

 





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