Nora: un progetto culturale contro la violenza sulle donne

Ingrid Colanicchia

Il 25 novembre è la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Una questione che purtroppo riguarda da vicino il nostro paese, dove ogni tre giorni una donna viene uccisa dal fidanzato o dal marito rendendo evidente che, nel quadro del contrasto alla violenza di genere, la battaglia prioritaria è quella culturale. Assunto da cui parte il Progetto Nora, che attraverso un libro e uno spettacolo teatrale ha scelto la via del coinvolgimento emotivo per parlare ai ragazzi delle scuole.

intervista a Amalia Bonagura

«Scrivo perché se dovesse succedermi qualcosa non voglio il silenzio».
Con queste parole la protagonista del romanzo breve di Amalia Bonagura Nora. Il silenzio deve tacere (Iuppiter Edizioni, 2017) chiude il proprio diario poco prima di essere uccisa dal suo compagno di vita. Una storia come tante nel nostro paese, dove ogni tre giorni una donna muore per mano del fidanzato o del marito. Una storia che l’autrice ha deciso di raccontare perché «non è cosa da archiviare con la frase “non sta succedendo a me”: sta succedendo a tante donne, ai loro figli, alle loro famiglie, sta succedendo a tutti noi».

«Nora è un altro paio di scarpe rosse abbandonate sulla strada, un’altra panchina da dipingere con la vernice rossa, un’altra figura da aggiungere alla catena di donne, tutte troppo uguali nella morte», scrive l’autrice in una nota in calce al volume. «“Non ci sono parole”. E invece sì. Devono esserci le parole, è il silenzio che deve tacere». E le parole Bonagura le trova, strappando Nora all’oblio e dando voce direttamente a lei. Perché è Nora stessa a raccontarci la sua vita, attraverso il suo diario ma anche in prima persona, come un fantasma venuto ad abitare i pensieri di Guido, l’avvocato difensore di suo marito, intento a preparare la sua arringa finale, nelle 48 ore che precedono l’udienza finale del processo.

Ma il romanzo Nora. Il silenzio deve tacere è solo uno dei tasselli di un progetto più ampio che mira al contrasto della violenza di genere – il «Progetto Nora per le Scuole e le Università» patrocinato tra l’altro dall’Associazione Differenza Donna – che Bonagura ha ideato insieme a Stefania Cioccolani. Dal suo romanzo l’autrice ha tratto infatti una pièce teatrale – «Nora Oltre il silenzio» – che ha debuttato nel dicembre dello scorso anno con la regia di Bruno Cariello, che  è stato già portato in scena per gli studenti di due scuole romane e che sarà nuovamente in programmazione per le scuole e per il pubblico nella settimana tra il 14 e il 19 novembre al Teatro Cometa Off di Roma.

Ne abbiamo parlato con l’ideatrice del progetto, Amalia Bonagura, che da trent’anni lavora come traduttrice e interprete al Ministero dell’Interno, presso la Direzione Centrale Anticrimine, dove dirige l’Unità Linguistica e che collabora quotidianamente con la Divisione Analisi del Servizio Centrale Operativo che si occupa anche dei Fenomeni di Tratta di Esseri Umani, Sfruttamento dei Minori e Violenza di Genere.

Il romanzo Nora. Il silenzio deve tacere – e con esso tutto il progetto cui ha dato vita insieme a Stefania Cioccolani – dà voce a chi voce non ne ha più: a una vittima di femminicidio. E quella del silenzio e del bisogno di infrangerlo è questione che torna più volte nel suo libro, a partire dal titolo. Da cosa è nata questa urgenza?

Nell’estate del 2015 ho cominciato a scrivere il soggetto per uno spettacolo teatrale incentrato sulla violenza sulle donne. Mano a mano che mi documentavo sull’argomento e che ascoltavo e leggevo le notizie delle donne uccise nelle loro case, con una frequenza inaudita, mi rendevo conto che di queste donne, della loro identità e della loro vita, si sapeva poco e niente. C’erano le narrazioni degli eventi, tutte molto simili, incentrate su termini assurdi – “raptus, gelosia, passione, troppo amore” –, e tutte focalizzate sulla descrizione del punto di vista dell’omicida – perché, certo, la voce della vittima non taceva –  o su quell’opinione comune viziata da una cultura atavica e tossica: “Un violento, sì, ma strano, nessuno se n’era accorto, prima”;  “ha agito per reazione ad un comportamento che lo aveva in qualche modo ferito”; “lei voleva lasciarlo, lo tradiva, non lo rispettava, non voleva tornare con lui”. Narrazioni che si fanno complici dell’omicida. Sulla vittima, sulla donna che era stata, sulla sua sofferenza, sulle violenze psicologiche e fisiche subite, magari da anni, sulla sua solitudine, quasi sempre regnava il silenzio. Lo stesso silenzio, probabilmente, che aveva circondato l’esistenza dolorosa di quella donna, imposto, autoimposto, o subìto. Il soggetto dello spettacolo teatrale mi è scoppiato in mano, si è espanso ed è diventato un romanzo: nella storia di Nora ho raccolto mille storie di donne ammazzate perché donne, morti annunciate da anni di violenza, subordinazione, annientamento dell’identità, assoggettamento fisico e psicologico fino alla schiavitù, nel silenzio protetto dalle  mura domestiche e da una consuetudine all’omertà. Storie di cui si veniva a conoscenza, molto spesso in termini sbagliati, solo quando le vittime non potevano più parlare.

Nora, la protagonista del romanzo, è una donna affermata, un medico. Non proviene da una categoria sociale disagiata, non ha problemi economici, ha studiato. È quella che si definirebbe una donna emancipata. Eppure si ritrova quasi senza accorgersene dentro una relazione perversa. La violenza sulle donne è in effetti questione trasversale a tutte le classi sociali ma come si spiega il fatto che anche chi avrebbe tutti gli strumenti per uscirne spesso non riesca a farlo?

Questo aspetto della storia, in fase di scrittura e soprattutto in fase di costruzione dello spettacolo teatrale, è stato affrontato con molta attenzione, insieme alle psicologhe del Centro Psicotecnico della Polizia di Stato, anche in virtù degli studi da loro effettuati sulla costante penuria di denunce formali, sia per le classi sociali più disagiate sia per quelle più agiate. Certo, un ambiente degradato rende più difficile una autonomia futura della vittima, lì dove la violenza economica caratterizza gli esordi di una storia di violenza più ampia, e non è di sicuro terreno fertile per la condivisione e la comunicazione all’esterno del dolore e dell’orrore che si sta vivendo. In realtà tutto ciò accade anche lì dove sembrano esserci gli strumenti e le risorse, almeno socio economici e culturali, utili per uscire dalla violenza. L’assunto di base è che la violenza di genere si nutre sempre delle stesse dinamiche e dei medesimi meccanismi psicologici. Il ciclo della violenza ripropone un copione sempre uguale a se stesso. I sentimenti che si rincorrono diventano indistruttibili: colpa, vergogna, rabbia, paura. Gli effetti che determinano l’inevitabilità degli eventi si riproducono in continuazione e tra questi  il silenzio, l’isolamento che non permette ancore di salvezza e, non ultima, la lenta trasformazione nel tempo di una vittima che si convince di non potere e di non valere, suggellando così la sua incapacità di reagire, la sua dipendenza affettiva che agisce come un boomerang. La frase di Nora “Senza di lui non so che fare: non so né
parlare né pensare, senza di lui io sono un niente” è sintomatica dell’annullamento della sua identità. Tutto sparisce: studi, lavoro, contesto sociale, risorse. Restano solo la vittima e il suo persecutore.

«Devi imparare a fare silenzio»; «Non saresti dovuta tornare al lavoro»; «Non avresti dovuto mandare il bimbo all’asilo»; «Non contrariare tuo marito». È una lunga catena di divieti quella che la suocera cerca di imporre a Nora – e con essi tentando di imporle anche quello che capiamo essere stato il suo destino. Quanto incide questa colpevolizzazione nell’impedire alla donna vittima di violenza di iniziare un percorso di liberazione?

Ada, la suocera di Nora, è certamente uno stereotipo: rappresenta la cultura maschilista in cui le nostre madri e nonne sono vissute e da cui sono state permeate. Proprio quella cultura che stiamo cercando di combattere e di cambiare. Per Ada la donna deve essere moglie e madre anche a costo di annullare se stessa. Lei ha vissuto così, tra le mura domestiche, sempre sottomessa perché quello era il suo ruolo, “perché è normale che sia così”. Le frasi che ripete a Nora, come se fossero espressioni di saggezza e buon senso, suonano come indicazioni sul fare e non fare e hanno struttura simile a un libretto di istruzioni. In realtà hanno una valenza enorme, perché gradualmente inficiano l’autostima di Nora e si insinuano pericolosamente nella sua identità psichica già indebolita dalla violenza del marito. Sempre più gli interventi di Ada diventano vere trappole comunicative che imprigionano Nora nel ruolo di vittima facilitando i meccanismi di isolamento, favorendo il senso di onnipotenza del figlio e i processi tipici della violenza di genere.

Il progetto teatrale che portate nelle scuole ha scelto la strada del coinvolgimento emozionale. Qual è stata finora la reazione degli studenti?

Il Progetto Nora è indirizzato principalmente alle scuole superiori e alle università e utilizza il teatro e la narrativa come strumenti artistici, educativi e didattici per fare prevenzione sensibilizzando e formando una coscienza critica nei soggetti da cui deve partire quella che io chiamo la nuova rivoluzione verso la cultura del rispetto. Centinaia di ragazzi hanno assistito allo spettacolo “Nora – Oltre il Silenzio” insieme ai loro professori, su semplice iniziativa di alcuni presidi che si sono dimostrati sensibili oppure nell’ambito di progetti scolastici contro la violenza di genere, vincitori di bandi di concorso indetti dal Dipartimento Pari Opportunità del MIUR o della Regione Lazio.
I dibattiti organizzati dopo le repliche, che hanno visto interloquire con gli studenti alcuni professionisti, collaboratori del Progetto Nora, sono sempre stati decisamente vivaci. Non è vero che i ragazzi se ne fregano, non è vero che sono indifferenti a certe tematiche e non è vero che sono superficiali e non vogliono sapere. Le domande che pongono durante i dibattiti, le osservazioni che condividono, il racconto di episodi specifici e delle loro esperienze adolescenziali sono la prova che hanno bisogno degli stimoli giusti per affrontare temi importanti su cui, sicuramente, hanno qualcosa da dire, da svelare, da denunciare. Parlare con loro di amore, gelosia, passione, violenza, ascoltare il racconto delle emozioni scatenate in loro dalla storia di Nora e contemporaneamente tentare, insieme ai professori, di porre le basi per lo sviluppo di un’educazione affettiva sana che coinvolga emozioni positive: tutto questo rappresenta l’obiettivo primario del Progetto Nora.

Il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il movimento Non una di meno tornerà in piazza e presenterà il piano femminista contro la violenza elaborato in un anno di incontri e di dibattiti. A suo avviso, su quali elementi è prioritario concentrarsi nel contrasto alla violenza?

È ormai lampante che combattere la violenza di genere significa mettere in discussione la cultura e i rapporti sociali che la sostengono. Gli aspetti su cui concentrare le azioni di contrasto riguardano diversi ambiti: il lavoro, la salute, l’amministrazione della giustizia, la comunicazione e il linguaggio, i finanziamenti ai centri antiviolenza, insostituibili nella loro instancabile attività quotidiana con le donne. Ma come ho già avuto modo di dire, l’elemento prioritario su cui concentrarsi è la prevenzione nella scuola: da qui deve partire il cambiamento. Sono rimasta molto colpita quando ho letto che, secondo un dossier prodotto da We World Onlus con Ipsos Italia, il 32% dei ragazzi tra i 18 e i 29 anni afferma che gli episodi di violenza domestica vanno affrontati all’interno delle mura tra le quali si verificano, come a dire che “i panni sporchi si lavano in famiglia”. Per il 25%, vale a dire un giovane su 4, la violenza sulle donne è giustificata dal “troppo amore” oppure dal livello di “esasperazione” al quale gli uomini sarebbero condotti da determinati atteggiamenti delle donne. È chiaro che è fondamentale concentrarsi sui giovani. Ma non solo. A mio avviso è fondamentale anche “formare i formatori”. Da diversi anni si lavora in questo senso con il personale che interagisce con le vittime di violenza di genere in sede di primo soccorso – e questo lo raccontano bene nel corso dei dibattiti con i ragazzi le psicologhe del Centro Psicotecnico della Polizia di Stato. E, come spiegano le operatrici di Differenza Donna e degli altri centri e sportelli antiviolenza con cui ho avuto contatti e collaborazioni in questi ultimi mesi, la formazione è fondamentale per insegnare ad ascoltare e aiutare le donne che si rivolgono a loro, per chi tiene le relazioni con le Forze dell’Ordine e le Strutture Socio-Sanitarie, per chi fa informazione e sensibilizzazione sul territorio, per chi si occupa della comunicazione esterna, per chi raccoglie fondi per mandare avanti i Centri che purtroppo continuano a chiudere a causa di una politica scellerata di tagli di bilancio programmati dai governi. Altrettanto cruciale, secondo me, è formare  gli insegnanti e coinvolgere le famiglie nei programmi di prevenzione. E quello che sta cercando di fare il microsistema del Progetto Nora va proprio in questa direzione con l’organizzazione, per il prossimo anno, di rappresentazioni e dibattiti nelle scuole anche con un pubblico misto di professori e genitori.

[Il libro Nora. Il silenzio deve tacere verrà presentato martedì 14 novembre alle ore 19,00 presso il Teatro Cometa Off di Roma (ingresso libero con prenotazione obbligatoria). Lo spettacolo sarà in scena dal 15 al 19 novembre, con repliche sia per le scuole sia per il pubblico. Per ulteriori informazioni: http://www.cometaoff.it/scheda.php?idoff=151]

(6 novembre 2017)



MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.