Salvini e la Lega 2.0: fenomenologia del fascioleghismo

Giacomo Russo Spena

Da partito etnoregionalista e federalista a forza classicamente di destra e nazionale. Matteo Salvini è l’artefice della svolta leghista. Un libro ricostruisce tale metamorfosi associandola all’idea di un nuovo centrodestra in perfetta sintonia con il vento populista e xenofobo che soffia in Europa.



Il 25 aprile sarà in piazza. Non per festeggiare la Liberazione. Anzi. La sua rabbia si rivolge contro il governo, la tecnocrazia europea e la puzza di socialismo reale (sic!) nel Paese: “La Lega è estremamente preoccupata per il clima in cui versa l’Italia. Renzi sta instaurando un regime staliniano: il Parlamento è comprato, la magistratura schierata e la tv pubblica militarmente occupata. A me l’aria che puzza di Unione Sovietica non piace”. Matteo Salvini ama stare sempre al centro del dibattito politico e quale occasione migliore per chiamare a raccolta il 25 Aprile “gli italiani che non vogliono vivere da schiavi”?

E’ il nuovo ciclo del Carroccio: un partito classicamente di destra e nazionale. Dal verde etnoregionalista al nero dei gruppi neofascisti. Un lontano ricordo la Lega federalista, il celodurismo di Umberto Bossi, le lauree in Albania di suo figlio, i fondi illeciti in Africa, la guerra al Meridione e a “Roma Ladrona”.

Salvini, l’uomo della svolta, ha avuto la capacità di risvegliare il cadavere e ricollocarlo sullo scenario politico costruendo una Lega 2.0 mutata geneticamente: un partito di lotta anti-crisi che cavalca il malcontento sociale con toni populisti, beceri e xenofobi. Parla alla pancia del Paese. Salvini twitta e utilizza i social come un uomo qualunque. Aizza il gentismo. Fomenta paure – spesso inventando notizie e numeri – su immigrazione e sicurezza, rafforzando la discrasia tra percezione e realtà.

Ed ecco le campagne sempre più feroci contro l’immigrazione, banche, fisco, euro, burocrazie finanziarie e in difesa dei “diritti sociali degli italiani”, della “famiglia tradizionale” e della “identità cristiana”.

“La politica della ruspa” di Valerio Renzi (Alegre edizioni, 156pp) ricostruisce attentamente tale processo, la metamorfosi leghista e le ideologie del cosiddetto fascioleghismo. Una lettura importante per capire lo sviluppo delle destre xenofobe in Europa. “La ruspa – si legge nell’introduzione – è la metafora della politica di Salvini: radicale e semplice da comprendere, una macchina fieramente populista e popolana. Una retorica irragionevole e spesso irrazionale, politicamente scorretta: prima spianare poi discutere”.

La ruspa, in prima battuta, è stata utilizzata contro gli ex vertici del Carroccio sostituiti da un nuovo “cerchio magico”. Spesso il cambiamento è solo di facciata come dimostra il recente scandalo sulla Sanità in Lombardia dove è coinvolto il braccio destro di Bobo Maroni. Nel Carroccio sono rimasti in ruoli chiave figure compromesse col potere mentre, tra le new entry, si palesano vecchi trombati, riciclati e camicie nere.

L’asse con Casa Pound è ormai consolidato: prima la manifestazione congiunta a Milano del 18 ottobre 2014 per la sospensione di Schengen, il ripristino delle frontiere e contro “l’eurocrazia”, poi il sostegno alle scorse Europee del candidato Mario Borghezio – il quale una volta eletto ha scelto come assistenti due noti “fascisti del Terzo Millennio” – infine il ticket elettorale con la nascita del marchio Sovranità. Camerati che fungono da serbatoio militante, soprattutto al Centro e al Sud, funzionale a far divenire la Lega un partito nazionale e radicato sui territori.

Simone Di Stefano, leader di Casa Pound, così commentava su facebook la recente scomparsa di Umberto Eco: “È morto uno che firmava appelli alla lotta armata per il comunismo, uno che affermava tranquillamente l’inferiorità culturale degli elettori di destra proponendo una loro rieducazione stile gulag sovietici per intenderci. Ciao Umberto, prova a fare lo spocchioso con Caronte stanotte”.

Presentabili o impresentabili, alla Lega salviniana poco importa. In comune hanno le battaglie contro l’“invasione” dei migranti e il motto “prima gli italiani”, ciò è sufficiente.

Valerio Renzi, nel libro, descrive il fascioleghismo definendolo non solo un’alleanza elettorale ma un dispositivo politico in cui agiscono attori differenti: “Prima il dibattito pubblico del Paese viene spostato sui temi cari al Carroccio con una martellante campagna su sicurezza, rom e centri d’accoglienza; poi si raccolgono i frutti dei problemi che scoppiano su territori, fomentati ed esacerbati dalle forze dell’estrema destra; infine gli attori istituzionali passano all’incasso legittimando dall’alto quello che apparentemente è scoppiato dal basso”. Si spiegherebbero così i disordini nelle periferie di Roma (Tor Sapienza o Casale San Nicola) dove ad essere e coinvolti, e indagati dalla magistratura, sono sempre militanti dell’estrema destra. In tal senso, illuminante è la lettura di un altro libro Al palo della morte, sempre edito da Alegre, di Giuliano Santoro che partendo dall’omicidio a Tor Pignattara di Shahzad – giovane pakistano ucciso nell’estate 2014 – ricostruisce i pogrom razzisti nelle periferie, nella città di Mafia Capitale, speculazioni e disservizi.

Oltre al fascioleghismo, Salvini sta dando una nuova vita al centrodestra italiano. Una doppia, e congiunta, metamorfosi. Il Carroccio 2.0 scommette sul futuro lanciando un progetto ricompositivo nel panorama della destra italiana, segnata dal declino berlusconiano. Un nuovo volto al centrodestra, con l’asse che si sposta fortemente a destra. In una recente intervista sul Corriere della Sera è lo stesso Salvini ad enunciare i suoi obiettivi, esprimendo dubbi sulla candidatura di Guido Bertolaso a Roma:

“Credo che il centrodestra come lo conosciamo sia destinato a cambiare molto presto. Cambieranno tante cose nei prossimi mesi. Metà degli italiani oggi sta a casa, alla finestra, schifata o delusa. Si aspetta un cambiamento vero nei nomi, nei progetti e nel modo di fare. Io, non starò di certo fermo a guardare”.

Nel lontano 1993 – quando nella Capitale si sfidarono al ballottaggio da sindaco Francesco Rutelli e Gianfranco Fini, allora leader del MSI e non ancora ripulito (siamo prima della svolta di Fiuggi) – il Cavaliere dichiarando “se stessi a Roma voterei Fini” inaugurava una nuova fase della politica italiana, la nascita di un governo che univa ex socialisti, ex democristiani con leghisti e camicie nere. Guido Caldiron, esperto di neofascismo, ha definito tale fenomeno come destra plurale, ovvero “uno spazio di senso comune alle destre fondato su nodi tematici quali l’identità, regionale o nazionale, l’immigrazione e la famiglia e la cosiddetta questione sicurezza. La destra plurale non amalgama forzatamente le differenze esistenti all’interno del fenomeno osservato ma le sottopone a una lettura comune senza barriere interpretative che hanno ormai sempre meno senso”.

Se Berlusconi aveva sdoganato i neofascisti, Salvini li legittima. E in Europa, il nuovo centrodestra si sposta dal Partito Popolare ad un’alleanza col gruppo ENL di Marine Le Pen. Negli ultimi anni, in Europa, si è assistito infatti allo sviluppo di potenti movimenti euroscettici che prendendo completamente le distanze dal repertorio neofascista hanno saputo costruire un vocabo
lario politico dell’intolleranza e del pregiudizio che è stato accettato dalla società. Un nuovo razzismo – che si traveste da difesa della democrazia e dalla minaccia islamica o da protezione del welfare per gli autoctoni contro i costi dell’immigrazione – ha imposto nei fatti una vera e propria normalizzazione di idee che in realtà si basano sull’odio e il disprezzo dell’altro.

A fine gennaio una tappa fondamentale per la costruzione del percorso leghista con la convention “Più liberi, più forti, un’altra Europa è possibile”, un meeting – tenutosi all’auditorium della Fiera di Milano – per ufficializzare le alleanze del Carroccio con le altre forze europee protagoniste della svolta populista in chiave xenofoba: il Front National, il Pvv dell’olandese Geert Wilders, l’FPÖ austriaco e il Vlaams Belang belga. Un blocco degli euroscettici che si pone come l’altra faccia della medaglia della Troika e delle sue politiche di austerity. Il continuo prevalere delle dottrine rigoriste alimenta, di certo, le pulsioni nazionaliste tanto che la Lega vorrebbe manifestare il 23 giugno, giorno del referendum in Gran Bretagna nella speranza vinca la Brexit. Lo scontro non è più, come un tempo, tra federalismo e nazionalismo ma tra mondialismo versus neosovranismo.

Nell’ultimo capitolo, Valerio Renzi ricorda la deriva rosso-bruna della Lega capace di stringere alleanze solo apparentemente diverse: da Marine Le Pen a Vladimir Putin. Le bandiere della Russia sono una presenza fissa sui palchi delle manifestazioni del Carroccio. Alexander Dugin, uno degli ideologi di Putin e tra le voci più gettonate nelle destre europee, ha parole di elogio per il Carroccio: “L’unico politico che può rappresentare gli interessi reali degli italiani è Salvini, la stella emergente che sostiene il nuovo polo di dialogo con la Russia e la compensazione di questa mancanza di democrazia sostanziale incarnata da Renzi”. Matteo vs Matteo. Austerity vs populismo xenofobo. Nella speranza di una terza via, magari a partire dal prossimo 25 aprile.



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