Statue, memoria e razzismo: una storia americana

Mariasole Garacci

Dopo i tragici fatti di Charlottesville, sempre più politici americani annunciano la rimozione di centinaia di monumenti e targhe della Guerra Civile del 1861-65, presi di mira anche dal movimento Black lives matter. Storia, diffusione e significato delle statue secessioniste.

Gli scontri avvenuti lo scorso 12 agosto a Charlottesville, Virginia, tra estremisti di destra contrari alla rimozione del monumento al generale Robert Edward Lee da un parco della città e i manifestanti di un corteo antirazzista, sfociati nella morte di una donna di trentadue anni investita da un fanatico a bordo di un’auto lanciata tra la folla, hanno dato origine a una nuova ondata di episodi di vandalismo legati al movimento Black lives matter contro le statue degli eroi confederati sparse nelle piazze e nei giardini pubblici d’America, memoria della Guerra Civile e simbolo di un mai sopito suprematismo bianco. Il dibattito sul messaggio di odio razzista veicolato da questi simboli, in realtà, risale almeno all’indomani del massacro di Charleston, Carolina del Sud, del giugno 2015, in cui nove persone furono uccise dal ventunenne Dylann Roof che aveva fatto irruzione in una chiesa metodista frequentata da afroamericani sparando sui fedeli riuniti per una funzione. In seguito, molte autorità governative hanno deciso la rimozione e la musealizzazione a scopo documentale e didattico dei simboli della Confederazione esposti in pubblico. Il fatto che sul suo profilo Facebook il giovane Roof, condannato a morte lo scorso gennaio per “crimine d’odio”, avesse postato foto che lo ritraevano con la bandiera sudista è del resto una prova dell’inequivocabile legame storico, ancora vivo nell’immaginario collettivo, tra i simboli della Confederazione e il razzismo bianco.

In una conferenza stampa dopo i recenti scontri in Virginia e in una serie di tweet, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha biasimato la decisione di rimuovere la statua di Lee dal parco di Charlottesville, domandandosi: “Questa settimana è Robert E. Lee. Toccherà a George Washington la settimana prossima? E a Thomas Jefferson quella dopo?”, e ha deplorato l’attacco alla memoria storica del paese e alle tante “beautiful statues” patrimonio culturale americano. Ma l’improprio paragone tra il generale sudista e i due presidenti americani è stato contestato da molti, tra cui il direttore dell’American Historical Association James Grossman, che ha rilevato nelle parole di Trump una pericolosa incapacità di distinguere tra memoria e storia, sottolineando che prendere in considerazione la rimozione e il trasferimento di questi monumenti non è un tentativo di cambiare la storia a posteriori, ma di rileggerla criticamente.

Da un punto di vista europeo, questo scontro di opinioni può ricordare le discussioni in Italia e in Spagna sui monumenti e le memorie fasciste. Il parallelo è in realtà infondato per una serie di ragioni legate all’origine e alla diffusione delle statue agli eroi della Confederazione, che vale la pena di conoscere per poter dare un giudizio sul dibattito in corso negli Stati Uniti, e sui pericoli dell’atteggiamento approssimativo e populista mostrato una volta di più dallo stesso presidente che, proprio in questi giorni, ha difeso a spada tratta l’operato dello sceriffo anti-immigrati Joe Arpaio, noto tra gli ammiratori come “il più tosto d’America”.

Va innanzitutto sottolineato che, a differenza della generalità dei monumenti fascisti eretti in Italia durante gli anni del regime (si pensi, ad esempio, all’obelisco del Foro Italico recante l’iscrizione “Mussolini Dux”, del 1932), i monumenti alla Confederazione si diffusero negli stati del Sud in una fase di rielaborazione postuma successiva ai fatti e alle personalità celebrati, e successiva anche al periodo della “Reconstruction”, durante la quale il paese aveva cercato di sanare le discrepanze culturali e le ferite di una guerra fratricida. Anzi, questi monumenti servirono proprio a mantenere vivo l’orgoglio secessionista attraverso una precoce forma di revisionismo storico, con sfumature di significato che, nel corso di pochi anni, si evolsero dal nostalgico sentimento della cosiddetta “Lost Cause”, mascherato da un pietoso e legittimo omaggio ai vinti e ai caduti in guerra, a una sempre più scoperta e spavalda rivendicazione dei valori ideologici che avevano portato allo scontro con gli stati del Nord.

A parte le statue di personaggi noti come Lee e "Stonewall" Jackson, molti dei monumenti oggi sotto attacco sono dedicati ai soldati sudisti morti durante la Guerra Civile, scoppiata dopo la secessione di undici stati nei primi mesi del 1861. Diversi i fattori politici ed economici scatenanti, ma tra questi lo schiavismo non è da considerarsi secondario, se nello stesso anno il Vicepresidente degli Stati Confederati d’America Alexander Stephens ebbe a dichiarare che uno fondamenti della nuova nazione secessionista era “la grande verità che il negro non è uguale all’uomo bianco; che la schiavitù, la subordinazione alla razza superiore, è la sua condizione naturale e normale”. La guerra si concluse nella primavera del 1865 con la sconfitta degli Stati Confederati; una sconfitta mai pienamente accettata dovuta a una fondamentale inferiorità economica e militare del Sud agricolo rispetto al Nord industrializzato e che, sottotraccia rispetto al generale cordoglio che accomunava le due parti del paese, divenne presto la base di un’interpretazione secondo la quale il sacrificio degli uomini del Sud morti in battaglia contro un nemico superiore era una prova del loro valore, del loro idealismo, del loro coraggio e della loro lealtà nei confronti della “Lost Cause”.

Poiché, nei primi anni del dopoguerra, dichiarare la propria fedeltà alla causa secessionista sarebbe stato passibile di un’accusa di tradimento, si nascose l’ideologia e la militanza proprio dietro il sentimento incontestabile del cordoglio. Considerando il lutto e la pietà prerogative femminili, furono in particolare le donne del Sud (di solito appartenenti alla buona borghesia in realtà meno toccata dalla perdita di figli, mariti e fratelli) a farsi depositarie orgogliose e insospettabili di simboli politicamente pericolosi: nacquero per questo motivo diverse Ladies’ Memorial Associations con lo scopo dapprima di fondare e gestire cimiteri militari, e ben presto di erigere monumenti ai caduti negli spazi cittadini. Mano a mano che l’occupazione del governo nazionale nei territori del Sud seguita alla fine della guerra retrocedeva dando spazio alla riconciliazione, venne meno anche il controllo sull’oppressione razziale, e l’iconografia dei monumenti funebri divenne sempre più esplicita. Dalle colonne, gli obelischi e i cippi decorati con corone di fiori, alla figura del soldato in posizione piedarm con la canna del fucile rivolta in basso (che simboleggiava la resa), a quella più minacciosa del soldato con il fucile rivolto verso l’alto.

Nel periodo dal 1895 ai primi decenni del XX secolo, tali monumenti furono collocati principalmente nelle piazze delle corti di giustizia, venendo ad assumere un preciso significato simbolico. Negli stessi anni, infatti, venivano emanate in molti stati del Sud le cosiddette “Jim Crow Laws”, volte a perpetrare la segregazione razziale. I luoghi dove la giustizia era amministrata erano dunque fortemente connotati anche visivamente dallo spirito che ispi
rava queste leggi. E’ del 1924 il romanzo dell’attivista per i diritti civili degli afroamericani Walter White intitolato The Fire and the Flint, in cui il rogo di un ragazzo nero catturato e linciato dalla folla è ambientato proprio nella piazza di un tribunale, ai piedi di un monumento confederato:

Back to the public square. In the open space before the Confederate Monument, wood and excelsior had been piled. Near by stood cans of kerosene. On the crude pyre they threw the body. Saturated it and the wood with oil. A match applied. In the early morning sunlight the fire leaped higher and higher. Mingled with the flames and smoke the exulting cries of those who had done their duty — they had avenged and upheld white civilization… The flames died down. Women, tiny boys and girls, old men and young stood by, a strange light on their faces. They sniffed eagerly the odour of burning human flesh which was becoming more and more faint. […] Into the dying flames darted a boy of twelve. Out he came, laughing hoarsely, triumphantly exhibiting a charred bone he had secured, blackened and crisp.

Come emerso dalle ricerche di Sarah Beetham, storica dell’arte della Pennsylvania Academy of the Fine Arts, molte delle statue contestate sono perlopiù copie identiche, in bronzo o in zinco, del tipo chiamato “Silent Sentinel”, e furono prodotte e commercializzate a partire dalla fine del XIX secolo dall’azienda Monumental Bronze Co. di Bridgeport, in Connecticut. Sparse a decine nelle piazze e nei luoghi importanti di varie città degli stati ex-secessionisti, che senza porsi problemi le acquistavano da uno stato nemico, questa figura di soldato senza nome non ricorre soltanto negli stati del Sud, ma anche in molti centri del Nord, nelle vesti, in questo caso, di un soldato dell’Unione. Unica differenza nello stampo in cui venivano gettate, la sigla “U.S.” (“United States”) o “C.S.” (“Confederate States”) sulla fibbia della cintura.

Insomma, in anni in cui la tutela dei diritti civili passava in secondo piano rispetto all’obiettivo diplomatico di riunificare il paese, e sul mercato cresceva la domanda di statue commemorative, aziende come la Monumental Bronze Co., che durante la guerra avevano prodotto armamenti e munizioni, non si facevano ora troppi scrupoli a fornire eroi senza nome all’una o all’altra fazione. Il prezzo medio per una statua cui si poteva attribuire, come si è visto, qualsiasi significato si volesse, era di 450 dollari per il modello economico in zinco a grandezza naturale, e di 750 dollari per il quello alto otto piedi e mezzo nello stesso materiale. Un difetto di questi bambolotti patriottici prodotti in serie? Come abbiamo visto in molti video e foto di queste settimane, lo zinco non resiste ad urti violenti e tende ad afflosciarsi in pose davvero poco marziali.

(Thanks to Ph.D. Sarah Beetham for kindly letting me read her helpful essay "From Spray Cans to Minivans: Contesting the Legacy of Confederate Soldier Monuments in the Era of ‘Black Lives Matter‘, Public Art Dialogue, 6:1, 9-33, 2016 DOI: 10.1080/21502552.2016.1149386)

(12 settembre 2017)



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