Una buona legge sull’immigrazione è possibile?

Francesco Damiano Portoghese

Una buona legge sull’immigrazione dovrebbe consentire di entrare in Italia e cercare lavoro, superando finalmente l’irreale binomio offerta di lavoro-visto di ingresso. Una legge che non abbia tra gli obiettivi principali la criminalizzazione, l’emarginazione e l’espulsione, quest’ultima ovviamente irrealizzabile, di centinaia di migliaia di cittadini stranieri.

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Una buona legge sull’immigrazione è possibile? Questa è la domanda che chiunque interessato al tema, dai professionisti ai volontari passando per gli attivisti, spesso si pone. Perché, a prescindere da ogni convinzione personale, se l’immigrazione è al centro di un aspro dibattito politico da quasi 30 anni, molto è dovuto a un complesso di norme desuete, ormai incapaci di interpretare e disciplinare un fenomeno sociale estremamente complesso.

Il pensiero va subito a due leggi degli anni 2000. La prima è la Bossi-Fini del 2002, riflesso di una retorica simil-populista i cui germogli in questi anni hanno trovato un terreno sempre più fertile: la privazione della libertà personale dei cittadini stranieri senza permesso di soggiorno, l’ingresso regolare connesso inderogabilmente a un’offerta di lavoro, la possibilità di effettuare respingimenti in mare, solo per citare alcuni dei punti principali della norma.

La seconda legge è il cosiddetto Pacchetto Sicurezza del 2009, con cui il Governo Berlusconi IV fa uscire il genio dalla lampada e a seguito della quale nulla sarà più come prima: l’ingresso e il soggiorno irregolari diventano reato. La sanzione è pecuniaria ma più che sulla pena bisogna soffermarsi su cosa in concreto è punito: non una condotta criminosa ma la condizione “esistenziale” derivata dal mancato possesso del visto o del permesso di soggiorno.

La criminalizzazione dello straniero raggiunge il suo apice, punendo le persone per ciò che sono, non per ciò che fanno. Da un lato, la possibilità di entrare e soggiornare regolarmente in Italia è difficile quando non impossibile, dall’altro, qualsiasi violazione della normativa è punita alla stregua di un crimine. Questa previsione ha segnato l’impronta ideologica di ogni ulteriore legge approvata in seguito.

Paradossalmente, sia nel 2002 che nel 2009, sono state anche approvate due sanatorie grazie alle quali hanno fatto domanda di rilascio del permesso di soggiorno più di novecentomila persone.

Le caratteristiche di una cattiva legge sull’immigrazione, tendenzialmente, riflettono gli aspetti principali delle norme appena citate: diffidenza nei confronti dello straniero, considerato perlopiù una minaccia ai valori di una società; limitazioni stringenti all’ingresso sul territorio; utilizzo eccessivo e sproporzionato di misure sanzionatorie a carattere penale; ricorso ossessivo alla privazione della libertà personale in attesa dell’espulsione anche in assenza di accordi di rimpatrio con i paesi terzi; e infine una sanatoria per regolarizzare quanti sono rimasti senza documenti a causa delle scellerate scelte precedenti.

Una legge sull’immigrazione che possa definirsi buona non può in alcun modo rifarsi alle esperienze di un passato, recente o remoto, in cui prima si crea una voragine e poi si cerca di arginare i danni con una toppa troppo piccola per risultare efficace.

È la sintesi dell’ultimo Decreto Legge approvato dal Governo Conte bis (, ndr). Al netto delle roboanti dichiarazioni sul superamento dei Decreti Sicurezza, la verità è che l’impianto è rimasto invariato.

Non sarà certo qualche norma positiva introdotta nel nuovo d.l. a rinnovare un Testo Unico sull’Immigrazione che dal 1998 continua a essere rimaneggiato, pezzettino dopo pezzettino, da provvedimenti settoriali che aggiungono ostacoli e burocrazia mentre comprimono diritti e garanzie.

Una buona legge sull’immigrazione è, o dovrebbe essere, quella che consente di entrare in Italia e cercare lavoro, superando finalmente l’irreale binomio offerta di lavoro-visto di ingresso. Una legge che non abbia tra gli obiettivi principali la criminalizzazione, l’emarginazione e l’espulsione, quest’ultima ovviamente irrealizzabile, di centinaia di migliaia di cittadini stranieri senza documento, spesso privati della libertà personale tramite trattenimento nei Centri di permanenza per il rimpatrio. In definitiva, una legge che ampli, e non riduca per partito preso, le ipotesi di rilascio dei permessi di soggiorno per chi di fatto non può essere espulso e per chi ha dimostrato di aver intrapreso un efficace percorso di integrazione nel tessuto sociale.

E mentre la politica stenta a trovare soluzioni strutturali e lungimiranti, la società civile una legge con questi requisiti è riuscita a scriverla e a farla diventare campagna di pressione e mobilitazione pubblica. Si tratta della proposta di Legge di iniziativa popolare redatta dalle associazioni promotrici della campagna Ero Straniero[1].

Nuove norme per la promozione del regolare permesso di soggiorno e dell’inclusione sociale e lavorativa di cittadini stranieri non comunitari è il titolo della proposta firmata da oltre novantamila cittadini italiani e depositata alla Camera dei deputati esattamente 3 anni fa, che aspetta ancora di essere discussa in Parlamento[2].

In questi giorni il comitato promotore ha pubblicato un breve dossier di approfondimento sulla sanatoria del 2020, un’autentica occasione persa dal Governo, e ha rilanciato la necessità di un intervento deciso del legislatore per una legge che vada nella direzione tracciata dalla proposta[3].


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Tre sono i capisaldi attorno ai quali si articola il testo.

Primo tra tutti l’abolizione del reato di clandestinità, su cui per troppo tempo si sono chiusi entrambi gli occhi nonostante sia una norma inutile, ideologicamente pericolosa e immotivatamente afflittiva.

In secondo luogo, si prevede l’introduzione di un meccanismo di regolarizzazione su base individuale per tutti quei cittadini stranieri senza permesso di soggiorno, e ce ne sono sempre di più a causa dei Decreti Sicurezza, che dimostrino la disponibilità di un contratto di lavoro o l’esistenza di particolari legami familiari e sociali sul territorio che non ne giustifichino l’espulsione. La vera sicurezza, infatti, parte dall’integrazione e la sanatoria è solo un timido palliativo per non affrontare il problema alla radice.

Infine, si vuole introdurre la possibilità di entrare in Italia con un permesso per ricerca lavoro di durata annuale, per consentire a tutti quei cittadini stranieri che non hanno ancora una proposta contrattuale di conoscere e inserirsi gradualmente nel nostro mercato del lavoro. Con canali di accesso legali e sicuri, senza la necessità di dover affrontare viaggi della speranza e sfidare la sorte in mezzo al mare o attraversando altre rotte rese ancor più pericolose dalla volontà, non solo italiana ma anche europea, di respingere piuttosto che dall’opportunità di accogliere.

Una buona legge sull’immigrazione è possibile solo se si va in questa direzione.

Una buona legge sull’immigrazione c’è. Quello che ancora manca è la volontà di approvarla.
*A Buon Diritto Onlus
NOTE

[1] https://www.erostraniero.it/

[2] https://www.camera.it/leg18/126?tab=6&leg=18&idDocumento=13&sede=&tipo=

[3] https://erostraniero.radicali.it/sguardo-al-futuro-il-dossier/
(28 ottobre 2020)





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