Ungheria, continua l’occupazione studentesca dell’università Szfe

Massimo Congiu



Da oltre un mese gli studenti dell’Università di Arti teatrali e cinematografiche (Szfe) occupano la sede dell’istituto per rivendicarne l’autonomia. I protagonisti dell’iniziativa protestano contro la riforma del governo che ha affidato la guida della Szfe ad una fondazione gestita da figure vicine al primo ministro Viktor Orbán e nominato un rettore a lui fedele. Gli occupanti non si sono limitati a respingere il recente ultimatum che intimava loro di lasciare l’edificio entro la sera di venerdì 16, hanno anche presentato un ricorso alla Corte Costituzionale in quanto, fanno notare, la decisione dell’esecutivo ha privato la Szfe della sua autonomia ed è anticostituzionale.
In effetti gli obiettivi annunciati della riforma danno da pensare, dal momento che consistono nel ridefinire programmi didattici e criteri di finanziamento in osservanza di “uno spirito patriottico” che ha escluso qualsiasi altra ipotesi e controproposta alternativa fatta dal collegio uscente che ha cercato di sottrarre l’istituzione al controllo diretto del sistema. Un controllo sempre più esteso e attivo in diversi campi.
L’occupazione va avanti malgrado i moniti della direzione filogovernativa; coloro i quali la proseguono hanno finora impedito ai nuovi dirigenti l’ingresso nell’istituto appellandosi alla Carta europea dei diritti che garantisce, tra l’altro, l’autonomia accademica. Ma secondo il governo e i suoi sostenitori la Szfe non era altro che un covo di liberali, cosa che a suo avviso imponeva una svolta, un cambiamento per lottare contro quella che il sistema definisce cultura liberale scadente. Una lotta che per il sistema guidato da Orbán ha carattere prioritario e intende riportare in auge i valori nazionali ungheresi contro le suggestioni fuorvianti di quel cosmopolitismo di marca, appunto, liberale che secondo i sostenitori del cosiddetto “sovranismo” è un inganno storico.
Le autorità hanno risposto all’occupazione privando l’edificio del riscaldamento e di Internet per costringere i contestatori a cedere senza peraltro riuscire, finora, nel loro intento. A tutt’oggi, comunque, è stato evitato l’intervento degli agenti di polizia. Poi chissà.

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La Szfe ha 155 anni e la fama di istituzione tra le più prestigiose, in Ungheria, in ambito culturale. Con questo attacco il governo Orbán cerca, senza fare troppi complimenti, di esercitare un controllo sempre più stretto anche sulla cultura, dopo aver colpito duramente il mondo dell’informazione e non solo. Organizzazioni sindacali, docenti e intellettuali contrari alla politica del governo esprimono la loro solidarietà agli studenti che occupano la sede della Szfe dove a turno scrittori, attori e in generale intellettuali attivi sul fronte della critica al governo montano di guardia simbolicamente in appoggio ai sostenitori della protesta. Il 23 ottobre, festa nazionale che celebra l’insurrezione popolare del 1956, ha avuto luogo una manifestazione discretamente partecipata per sostenere la causa. La vicenda con al centro la Szfe ha richiamato l’attenzione di registi e attori di fama mondiale che si sono pronunciati a favore degli occupanti i quali possono anche contare sulla solidarietà del mondo accademico internazionale. Martedì 27 ottobre, rappresentanti delle parti in causa sono intervenute con tesi, chiaramente fra loro contrastanti, a un dibattito avvenuto alla Commissione Cultura e Istruzione del Parlamento europeo introdotto come tema di grande attualità. Attuale e caratterizzato dall’accusa dei contestatori al governo ungherese di voler influenzare e limitare la libertà dei processi didattici e creativi che rappresenta un valore fondante dell’Ue. Sarà poi utile ricordare, a questo proposito che, di recente, la Corte di Giustizia europea ha condannato Budapest per aver costretto l’Università dell’Europa Centro-Orientale (CEU), fondata da George Soros, a trasferirsi a Vienna lasciando nella capitale danubiana un’attività di ricerca e un dipartimento che rilascia diplomi di diritto ungherese.
Soros è considerato dal governo Orbán un nemico del popolo ungherese, una minaccia per la patria. A lui, l’esecutivo magiaro attribuisce, tra l’altro, il disegno di riempire l’Ungheria e il resto dell’Europa di migranti con l’aiuto di una rete di ONG, e di rendere l’intero Vecchio Continente una colonia inerme del capitale globale.
È la terza volta, in pochi mesi, che la Corte di Giustizia dichiara le leggi del governo Orbán irrispettose del diritto europeo. L’esecutivo budapestino, però, non sembra ansioso di correggere la sua condotta e respinge sdegnosamente ogni accusa riguardante il mancato rispetto dello Stato di diritto. Accusa che, non dimentichiamolo, ha fatto mettere in moto, qualche anno fa, le procedure per l’applicazione dell’Articolo 7 nei confronti di Budapest.

(28 ottobre 2020)






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