Marco Travaglio: con Di Pietro, per fare i guastafeste

MicroMega

Due anni fa votai per l’Italia dei Valori, soprattutto perché nel mio Piemonte candidava Franca Rame, persona straordinaria che sono felice di aver contribuito a mandare al Senato. Credo proprio che anche stavolta tornerò a votare per il partito di Antonio Di Pietro. Conosco le obiezioni dei critici: la gestione padronale e personalistica del partito, da cui molti si sono allontanati; la caduta di stile di far prendere al partito una sede in affitto in uno stabile di proprietà dello stesso Di Pietro; la candidatura di personaggi come Sergio De Gregorio e Federica Rossi Gasparrini, puntualmente usciti dall’Idv dopo pochi mesi dall’elezione; l’adesione di Di Pietro, come ministro delle Infrastrutture, al progetto del Tav per le merci in Valsusa (sia pure dialogando con le popolazioni e discutendo di un possibile nuovo tracciato, alternativo al famigerato «buco» da 54 km a Venaus); la decisione di non chiudere la società Stretto di Messina, pur con la contrarietà ribadita al progetto del ponte; il no alla commissione parlamentare d’inchiesta sui fatti del G8 (secondo me sacrosanto, visto che le commissioni parlamentari in Italia servono a confondere le acque e a ostacolare le indagini della magistratura; ma maldestramente motivato con la richiesta di indagare anche sulle violenze dei black bloc, quasi che il parlamento dovesse occuparsi dei reati dei cittadini comuni). Per essere chiari: voterei molto più volentieri per un Einaudi o un De Gasperi redivivi. Ma, in attesa che rinasca qualcuno di simile e riesca a entrare in politica, penso che l’astensione – da cui sono stato a lungo tentato – finisca col fare il gioco della casta, anzi della cosca. Il non voto, anche se massiccio, non viene tenuto in minimo conto dalla partitocrazia: anche se gli elettori fossero tre in tutto, i partiti se li spartirebbero in percentuale per stabilire vincitori e vinti. E infischiandosene degli assenti, che alla fine hanno sempre torto. Dunque penso che si debba essere realisti, votando non il «meno peggio», ma ciò che si sente meno lontano dai propri desideri.
A convincermi a votare per l’Idv sono le liste che ha presentato Di Pietro, che ospitano diverse persone di valore, alcune delle quali sono amici miei, di MicroMega, dei girotondi e di chi ha combattuto in questi anni le battaglie per la legalità e la libertà d’informazione. Ne cito alcuni. C’è Beppe Giulietti, animatore dell’associazione Articolo 21 contro ogni censura ed epurazione, dunque scaricato dal Pd che gli ha preferito addirittura Marco Follini, ex segretario dell’Udc ed ex vicepremier di Berlusconi, come responsabile per l’Informazione: quel Follini che ha votato tutte le leggi vergogna, compresa la Gasparri che è il principale ostacolo alla libertà d’informazione. C’è Pancho Pardi, che ho incontrato la prima volta al Palavobis, poi in tutti i girotondi e che mi auguro di reincontrare quando – se, come temo, rivincerà Berlusconi – ci toccherà tornare in piazza. C’è la baronessa Teresa Cordopatri, simbolo della lotta alla ’ndrangheta in Calabria. C’è, a Napoli, un sindaco anticamorra come Franco Barbato, che ha militato nel progetto di lista civica nazionale insieme a tanti altri amici. C’è Leoluca Orlando, che in quanto ad antimafia non teme confronti. Non ci sono, in compenso, alcuni personaggi discutibili che si erano avvicinati all’Idv, e che sono stati respinti o non ricandidati. E poi ci sarebbero anche Beppe Lumia e Nando Dalla Chiesa, ai quali Di Pietro aveva offerto un posto nella sua lista in Sicilia dopo l’estromissione (nel primo caso provvisoria, nel secondo definitiva) da quelle del Pd, che in compenso ospitano elementi come Mirello Crisafulli, l’amico del boss di Enna: alla fine, grazie anche all’Idv, Lumia è rientrato nel Pd, mentre Nando ha rispettabilmente deciso di declinare l’offerta. E poi c’è Di Pietro che, pur con tutti i suoi difetti, ha saputo pronunciare – da ministro e da leader di partito – una serie di «no» molto pesanti contro le vergogne del centro-sinistra. No all’indulto extralarge salva-Previti, salva-furbetti, salva-corrotti e salva-mafiosi. No al segreto di Stato e al ricorso alla Consulta sul sequestro Abu Omar contro i giudici di Milano. No alla depenalizzazione strisciante della bancarotta tentata da qualche ministro furbetto. No agli attacchi contro De Magistris e Forleo. No al salvataggio di Previti alla Camera (il deputato Idv Belisario, per un anno e mezzo, è stato il solo con il Pdci a chiedere la cacciata del pregiudicato berlusconiano, mentre gli altri facevano i pesci in barile). No al salvataggio di D’Alema e Latorre da parte della giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera (lì il dipietrista Palomba s’è pronunciato per autorizzare le intercettazioni Unipol-Antonveneta-Rcs, senza se e senza ma). No all’inciucio mastelliano sulla controriforma dell’ordinamento giudiziario e a tutte le altre porcate del cosiddetto ministro della Giustizia ceppalonico. No all’inciucio in commissione Affari costituzionali per la legge-truffa di Franceschini e Violante sul conflitto d’interessi (anche qui, solo il Pdci con Licandro e l’allora Ds Giulietti han tenuto botta con l’Idv). No alla limitazione delle intercettazioni telefoniche e no – dopo un’iniziale esitazione alla Camera – alla legge-bavaglio di Mastella & C. contro la pubblicazione delle intercettazioni e degli altri atti d’indagine fino al processo. No all’aumento del finanziamento pubblico dei partiti e al colpo di mano tentato in tal senso dai tesorieri di tutti i partiti (tranne quelli dell’Idv, Silvana Mura, e della Rosa nel pugno, Fabrizio Turco). No al comma Fuda che assicurava la prescrizione agli amministratori pubblici indagati dalla Corte dei conti per infrazioni contabili.
Come ministro delle Infrastrutture, poi, Di Pietro ha bonificato quel lombrosario che era prima il vertice dell’Anas, cacciando gli inquisiti e i condannati e denunciando i responsabili di certi ammanchi. Ha razionalizzato la miriade di progetti faraonici ereditati da Lunardi, concentrando le poche risorse disponibili su alcune opere davvero necessarie. E, in campagna elettorale, è stato il solo a dire papale papale che Rete 4 deve andare sul satellite e che bisogna applicare immediatamente la sentenza dell’Alta Corte di Giustizia europea di Lussemburgo che, dichiarando illegittime le proroghe concesse a Mediaset dal 1999, privano da nove anni Europa 7 di Francesco Di Stefano delle frequenze necessarie per trasmettere. Infine, last but not least: sia che vinca Berlusconi sia che Pdl e Pd arrivino al pareggio e magari tentino un bel governissimo di larghe intese, mi auguro che arrivi in parlamento una pattuglia di guastatori capaci di fare opposizione con fermezza e competenza sui due temi cruciali, la libertà d’informazione e la giustizia uguale per tutti. Di gente così ce n’era anche nel Pd, ma è stata scientificamente eliminata con una specie di pulizia etnica. Ricordiamoci quel che accadde nel 2001, quando l’Idv mancò il quorum per un soffio: l’unica vera opposizione al regime berlusconiano non era in parlamento (a parte i cani sciolti alla Dalla Chiesa e alla De Zulueta, ora scomparsi dalle liste), ma in piazza. Se stavolta entrano in parlamento Di Pietro, Orlando, Pardi, Giulietti, Cordopatri, Mura e qualcun altro come loro, è meglio per tutti.

(Da MicroMega n°2/2008, in edicola dal 25 marzo 2008)



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